Un ergastolo di pubblica utilità

Il nostro Paese, si sa, è un giardino delle meraviglie giuridiche, dove spesso i tribunali sembrano ispirarsi più al vento dell’opinione pubblica che alla sacralità delle leggi. L’ultimo episodio in scena è la condanna all’ergastolo di Filippo Turetta, reo confesso dell’omicidio di Giulia Cecchettin. Un delitto atroce, senza dubbio, e una pena che, per quanto severa, non manca di suscitare domande: davvero il caso meritava il massimo della pena, raramente inflitta anche per crimini ben più cruenti? O forse, si potrebbe malignare, il giudizio è stato un po’ “tarato” per placare le folle inferocite e ripulire l’immagine un po’ ammaccata della magistratura?

È chiaro che le toghe, recentemente, hanno accumulato un certo credito negativo presso il “popolino”. Procedimenti interminabili, scarcerazioni improvvide, amnesie sui diritti delle vittime: tutto questo ha gettato un’ombra su quel che una volta era il tempio della giustizia. Ma come recuperare punti quando il pubblico comincia a dubitare? Semplice: si cavalca l’onda emotiva del momento, si allarga la maglia dell’interpretazione giuridica e si offre alla folla una punizione esemplare. L’ergastolo a Turetta diventa così un piccolo tributo alla sete di giustizia—o di vendetta?—di un’opinione pubblica furibonda, ma soprattutto assai utile per la reputazione del sistema.

Il peso dell’aggravante

L’ingrediente decisivo, manco a dirlo, è stato l’aggravante della premeditazione. Grazie alle recenti leggi sul femminicidio, questa aggravante comporta un impatto determinante sulle pene. Si dirà: era giusto così. Premeditare un omicidio è certamente indice di una ferocia particolare. Ma qui è opportuno fermarsi e riflettere: non è che, con il nobile intento di punire il crimine, rischiamo di costruire una giurisprudenza di emergenza che sacrifica la coerenza del sistema sull’altare dell’indignazione? Se premeditazione ed efferatezza bastano per l’ergastolo, allora perché non applicarlo sempre, a ogni delitto che rechi le stesse caratteristiche, senza distinzione di vittima o carnefice?

E mentre ci interroghiamo su questi dilemmi, spunta il dettaglio meno raccontato: l’avvocato Giovanni Caruso, difensore di Turetta, ha ricevuto minacce gravissime, tra cui una busta contenente tre proiettili. Una scena degna del più scadente noir, che però ci ricorda un fatto fondamentale: il diritto di difesa non è un optional. Minacciare un avvocato per il solo fatto di svolgere il proprio lavoro è un attacco alla giustizia stessa, e su questo non vi può essere spazio per alcuna indulgenza.

Kabobo e i pesi della bilancia

A proposito di coerenza, vale la pena ricordare un altro caso emblematico, quello di Adam Kabobo, il cittadino ghanese che, armato di un piccone, uccise tre persone e ne ferì gravemente altre due nel 2013. Per lui, la giustizia italiana stabilì una pena di appena 21 anni, un risultato che sembra quasi grottesco se paragonato all’ergastolo di Turetta. Certo, ci venne spiegato che Kabobo agiva in preda a un raptus, che non aveva pianificato nulla. Ma forse—mi si conceda la provocazione—era colpa nostra, incapaci di offrirgli aiuto e integrazione. E così, nel nome del buonismo e delle attenuanti, la pena fu ridotta al minimo indispensabile, lasciando sul terreno tre vittime dimenticate.

Dunque, il messaggio è chiaro: il peso della bilancia della giustizia non è uguale per tutti. Esistono crimini che indignano più di altri, categorie di vittime che generano una maggiore empatia collettiva e colpevoli che fanno comodo come esempio. In tutto questo, si perde di vista un principio basilare: la legge non dovrebbe essere né vendicativa né accomodante, ma semplicemente equa.

Conclusione

Che si tratti di Turetta, Kabobo o di chiunque altro, la giustizia italiana continua a navigare a vista, oscillando tra il giustizialismo spettacolare e il lassismo cronico. Di fronte a questa schizofrenia istituzionale, è lecito chiedersi: quale Italia vogliamo costruire? Quella che fa giustizia per consenso popolare, o quella che applica le leggi con rigore e coerenza? Fino a quando non risponderemo a questa domanda, ci limiteremo a commentare sentenze e scandali, dimenticando che la vera vittima, in fondo, resta sempre lei: la giustizia.

(Francesco Cozzolino)

Prompt:

Intro: L'avvocato Giovanni Caruso, difensore di Filippo Turetta, ha ricevuto minacce molto serie. Il 4 dicembre 2024, una busta contenente tre proiettili è stata recapitata al suo studio legale a Padova. Caruso ha immediatamente avvisato la Questura, e sul posto sono intervenuti gli agenti della squadra mobile, la Digos e la Scientifica per esaminare il materiale. Queste minacce sono arrivate dopo la condanna all'ergastolo di Filippo Turetta per l'omicidio di Giulia Cecchettin. L'Ordine degli avvocati di Padova ha espresso massima solidarietà a Caruso, definendo l'episodio un attacco al diritto di difesa.

Processo: Per quanto sia stato un delitto gravissimo che meritava una pena enorme, in quale maniera questo omicidio richiedeva l'ergastolo, quando questo è raramente applicato nel nostro paese per crimini comuni non legati alle mafie? Forse per fare piacere all'opinione pubblica, ovviamente. I magistrati hanno sviluppato un piccolo problema di PR negli ultimi tempi, perché non rifarsi così. Mi pare che questo sia il classico caso di 'grazie alle maglie larghe della interpretazione giuridica soddisfiamo la brama di sangue del popolino'.

Aggravante: Oggi esiste il reato di femminicidio, da quanto ne so con pene sue specifiche. L'aggravante della premeditazione in base alle nuove leggi fa la differenza rispetto all'ergastolo, qui si è giocata infatti tutta la battaglia della difesa.

Kabobo: Il mitico Kabobo si è preso 21 anni con tre morti e due feriti - ma forse è colpa nostra che non lo abbiamo saputo aiutare.

Articolo: intro, processo, aggravante, paragone con Kabobo.

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