
Cecilia Sala è diventata, suo malgrado, il simbolo dell’improvvisa scoperta italiana dell’Iran, un Paese che, fino a ieri, sembrava per molti un’astrazione geografica buona giusto per un paio di documentari sulla Via della Seta e qualche poesia di Rumi. Oggi, all’improvviso, il dramma iraniano è entrato con forza nelle case italiane, ma con il solito filtro narcisistico: non sono le donne torturate, gli oppositori impiccati o le minoranze perseguitate a tenere banco, ma una giovane reporter italiana. E non perché lei lo abbia chiesto, ma perché, in fondo, siamo fatti così: ci serve sempre un volto, una storia da appiccicare a una tragedia per renderla digeribile al nostro piccolo ego collettivo. Se c’è una cosa che l’italiano medio odia più del regime iraniano – per quei cinque minuti in cui se ne ricorda – è la noia della complessità geopolitica senza un protagonista “nostrano”. E quindi eccola lì, Cecilia, trasformata in eroina, martire, bersaglio, icona, a seconda di chi parla e da quale pulpito.
Le prime reazioni, come sempre, sono bipolari: da una parte, chi la vuole trasformare in Giovanna d’Arco; dall’altra, chi si chiede se non poteva fare qualcosa di meno “pericoloso”, tipo scrivere guide di viaggio su città italiane. In mezzo, il silenzio ipocrita di chi non si era mai preoccupato della repressione iraniana prima che una giovane con passaporto tricolore fosse coinvolta. Certo, c’è chi grida allo scandalo per il sessismo che ancora colpisce Sala e, con un balzo acrobatico, riesce persino a farne un caso interno: il machismo italiano, la difficoltà di essere una donna reporter, il sistema mediatico che “non valorizza abbastanza”. Tutto vero, intendiamoci, ma sono le stesse persone che, una settimana fa, erano impegnate a guardare altrove mentre il regime iraniano continuava indisturbato a impiccare oppositori e a far marcire in carcere migliaia di donne che hanno avuto l’audacia di non abbassare lo sguardo.
Ed eccoci qui, a celebrare – si fa per dire – un momento di improvvisa coscienza collettiva che, come un temporale estivo, è rumoroso, violento e, soprattutto, breve. Perché sì, una volta risolta questa vicenda, e ce lo auguriamo presto, torneremo tutti alla nostra solita indifferenza. Torneremo a dimenticare i volti anonimi di quelle donne iraniane che hanno gridato contro l’ingiustizia senza la protezione di un passaporto occidentale e torneremo a discutere del prossimo caso che agiterà le nostre timeline. Cecilia Sala, con la sua professionalità e il suo coraggio, non merita questo trattamento: non merita né la beatificazione forzata né lo sciacallaggio politico e mediatico. E, soprattutto, non merita di essere usata come specchio per riflettere le miserie della nostra coscienza nazionale, sempre pronta a lavarsi le mani di tutto, tranne che della propria narrazione autoreferenziale.
Quello che ci resta da sperare è che questa attenzione improvvisa non si dissolva come sempre nel nulla. Che, una volta tornata Cecilia Sala – perché tornerà, deve tornare – non ci dimenticheremo di quelle storie che lei ha raccontato con coraggio, dei volti anonimi che non riceveranno mai la nostra solidarietà twittata. Ma temo che sto chiedendo troppo a un Paese che ha la memoria corta e una passione incrollabile per il teatrino del giorno.
(Serena Russo)
Prompt:
Cecilia Sala: la teocrazia iraniana fa marcire da anni in carcere, quando non le elimina direttamente dopo torture, migliaia di donne e di oppositori politici, senza che si levino alte grida di protesta, senza che se ne discuta in Parlamento, senza che i governi facciano sentire la loro voce, senza che scendano in piazza partiti, sindacati, organizzazioni, associazioni, gruppi femministi o altri. Un accelerato processo di canonizzazione, beatificazione, santificazione ha trovato in Cecilia Sala, che si spera sia viva e vegeta, un’eroina che ripulisca quella Bella Addormentata nella discarica che è la coscienza nazionale. Tutti i bradipi morali del Paese si sono svegliati e, scoperta improvvisamente l’inciviltà assassina praticata dal governo iraniano. Nel frattempo, il pattume miserabile del moralismo immorale si fa sentire per sciacallare sulla stessa Sala che scrive dalle pagine di pubblicazioni -ahi ahi- non “ortodosse”, come Il Foglio e, dunque, non adatte alla sensibilità delicata dell’antisemitismo di trincea. Volano accuse di sessismo, si ricordano le innumerevoli difficoltà affrontate dalla stessa Sala nella sua pur non lunghissima carriera di ventinovenne, gli sbandieratori di Destra e di Sinistra si lanciano reciprocamente accuse, si parla nuovamente del ruolo della donna nelle società moderne, il machismo fa la sua comparsa e affiorano i dubbi dei casalinghi e casalinghe di Voghera che chiedono: “Ma non poteva Cecilia Sala starmene a casa sua?” Da tutto questo pastrocchio spuntano poche verità, se non che Cecilia Sala è rapidamente diventata la solita cartina di tornasole del Bel Paese, dove del mondo poco importa ma importano gli schieramenti caserecci e maramaldi in cui la vittima di turno, viva o morta che sia, serve a lavare preventivamente la coscienza del Paese nel lavello incrinato dei suoi meriti o dei suoi demeriti. E, naturalmente, delle donne iraniane, degli oppositori impiccati dalla teocrazia, dell’omofobia e misoginia di un governo omicida si parla tangenzialmente, quasi casualmente: se la povera Sala non fosse in carcere, il silenzio li avvolgerebbe come sempre. Il giorno, il prima possibile, in cui ci auguriamo tornerà Cecilia Sala, ripiomberemo nella solita quotidianità in attesa della prossima miseria da celebrare degnamente.
Articolo: Cecilia Sala; aggiungi qualche tua riflessione.
Assumendo personalità, background e stile di scrittura di Serena Russo, scrivi un articolo; usa un tono coinvolgente e ironico.
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