Meloni e la Giustizia: Un Mondo di Contraddizioni

Le recenti cronache, come sempre, ci ricordano che in Italia esistono sessanta milioni di esperti di diritto. Quelli che fino a ieri erano commissari tecnici della Nazionale, virologi provetti e, quando serve, coltivatori di asparagi, oggi si scoprono fini giuristi, dispensando sentenze con la stessa sicurezza con cui il bar sotto casa serve il caffè. Il caso del giorno riguarda la decisione del Governo Meloni – e del Ministro della Giustizia Carlo Nordio – di non eseguire un ordine di arresto internazionale contro un individuo accusato di crimini contro l’umanità. Apriti cielo.

Una decisione politica, un errore colossale

La scelta, politicamente disastrosa e istituzionalmente dubbia, è arrivata nonostante i pareri contrari della Digos e della Procura Generale di Roma, rispettivamente il 19 e il 20 gennaio. Eppure, checché ne dicano i moralisti da salotto, il Governo risponde delle proprie decisioni al Parlamento e ai cittadini, non alla magistratura. Qualcuno già scalpita per accusare Nordio e compagnia di reati gravissimi, dimenticando che un atto giudiziario non può essere compiuto senza una preventiva valutazione di “non infondatezza”.

Ipocrisia? Certo, e nemmeno poca. Del resto, negli ultimi trent’anni la magistratura ha invaso il terreno della politica con “atti dovuti” che spesso hanno avuto il sapore della sentenza politica più che della giustizia imparziale. Da Tangentopoli in poi, la toga si è spesso sostituita all’urna, con il risultato che chi vince le elezioni si ritrova sistematicamente sotto processo nel giro di qualche mese. E così, mentre la politica si è abituata a camminare sulle uova, il sistema giudiziario si è trasformato in un colabrodo di contraddizioni e opportunismi.

La disfunzione di un sistema

Veniamo al cuore della questione. Se l’azione penale è davvero obbligatoria – come recita la nostra Costituzione – e se la denuncia dell’ex senatore Li Gotti si basa su fatti già noti, ci sono solo due possibilità.

La prima: l’azione penale non è così obbligatoria come ci raccontano, e quindi il procuratore Francesco Lo Voi non ha violato alcun dovere scegliendo di non iscrivere Giorgia Meloni nel registro degli indagati.

La seconda: Li Gotti ha presentato fatti nuovi e clamorosi. Ma qui il castello crolla, perché la sua denuncia si basa esclusivamente su articoli di giornale. E da quando in Italia la stampa sostituisce l’indagine giudiziaria? Sappiamo tutti che basta un titolo ben piazzato su una testata amica per creare il “caso”, anche quando di nuovo non c’è nulla.

Nel frattempo, Meloni – con il fiuto politico che le va riconosciuto – ha saputo trasformare questa situazione potenzialmente imbarazzante in un assist perfetto per la sua propaganda. La narrazione mediatica ha presentato il tutto come un “atto dovuto”, come se dietro ogni iscrizione nel registro degli indagati non ci fosse una valutazione soggettiva sulla plausibilità del reato. Ma se davvero bastasse rappresentare fatti noti per far scattare l’azione penale, avremmo tribunali paralizzati da denunce basate su articoli di cronaca. Il che, a ben vedere, è esattamente il punto: il nostro sistema giudiziario è disfunzionale perché non distingue tra giustizia e giustizialismo, tra legalità e uso politico della legge.

Realpolitik: Bettino più che Giulio

Alla fine, la questione si riduce alla solita, vecchia ragion di Stato. E fin qui, nulla di nuovo. Nessun governo, in nessun paese serio, può permettersi di sacrificare gli interessi nazionali sull’altare della purezza ideologica. Ma c’è modo e modo.

Il modo della Meloni, purtroppo, ricorda più Bettino Craxi che Giulio Andreotti. Perché se il Divo Giulio muoveva i fili con discrezione, senza clamore e con un cinismo che era quasi arte, la gestione meloniana di questa vicenda ha il sapore grossolano di chi si è trovato in un ginepraio e cerca di uscirne gridando al complotto.

Meloni, alla fine, vincerà questa battaglia politica. Ma il prezzo da pagare sarà alto. Perché quando la magistratura è debole e la politica gioca a fare la vittima, a rimetterci è sempre la credibilità dello Stato. E quella, purtroppo, non si ricostruisce con uno slogan.

(Francesco Cozzolino)

Prompt:

Intro: le recenti cronache e i sessanta milioni di esperti di diritto (quelli che sono pure CT della nazionale, virologi e, alla bisogna, coltivatori di asparagi) richiedono un altro intervento. Il motivo è la decisione del Governo e del Ministro della Giustizia Carlo Nordio di non eseguire un ordine di arresto internazionale contro una persona accusata di gravi crimini contro l'umanità.

Parte1: questa decisione, politica e sciagurata, è stata presa nonostante le segnalazioni della Digos e della Procura Generale di Roma rispettivamente il 19 e il 20 gennaio. Il Governo risponde delle sue scelte politiche al Parlamento e ai cittadini, non alla Procura della Repubblica o al Tribunale dei Ministri, anche se qualcuno sostiene che tali decisioni costituiscano reati. Un atto giudiziario non può essere compiuto senza una preventiva valutazione di "non infondatezza". Evidente l'ipocrisia di questa situazione, del resto negli ultimi 30 anni la magistratura ha spesso invaso la sovranità della politica con "atti dovuti".

Parte2: se l'azione penale è obbligatoria e la denuncia di Li Gotti si basa su fatti già noti al pubblico, allora ci sono due possibilità. La prima è che l'azione penale non sia realmente obbligatoria, il che significherebbe che il procuratore Francesco Lo Voi non ha violato il suo dovere non iscrivendo Meloni nel registro degli indagati. La seconda possibilità è che Li Gotti abbia presentato fatti nuovi, ma questa ipotesi sembra improbabile dato che la denuncia era accompagnata solo da articoli di stampa. Nel frattempo, Giorgia Meloni ha trasformato questa situazione potenzialmente imbarazzante in un'opportunità di propaganda politica. I media hanno raccontato la vicenda come un "atto dovuto", suggerendo che non ci sia un giudizio soggettivo sulla plausibilità del reato dietro l'iscrizione nel registro degli indagati. E' inevitabile una valutazione personale sulla possibilità che il reato sia stato commesso. Se basta rappresentare fatti noti a tutti per far scattare l'iscrizione nel registro degli indagati, il sistema giuridico appare disfunzionale.

Realpolitik: vero, la ragion di stato. Ma c'è modo e modo. Quella della Meloni purtroppo riecheggia Bettino Craxi più che Giulio Andreotti.

Articolo: intro, parte1, parte2, realpolitik.

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