Never Say Die

Londra, 1978. Avevo messo da parte ogni lira possibile per quella vacanza rock nella Mecca dei rocker europei. Obiettivo: vedere i Black Sabbath dal vivo all’Hammersmith Odeon, finalmente. Il Santo Graal dell’heavy metal, la band che aveva insegnato al mondo a suonare più lento e più cattivo. Un’esperienza mistica, pensavo.

Arrivato in sala, scopro che prima di loro c’è un gruppo americano al debutto, di cui in Italia non si sapeva nulla: Van Halen. Un nome che suonava come una marca di sigarette olandesi. Poi parte la musica: Eddie Van Halen si mette a violentare la chitarra con quei tapping infernali e David Lee Roth saltella sul palco come se avesse la caffeina direttamente in vena. Non erano una band d’apertura: erano una fottuta invasione aliena. Quando, dopo di loro, i Sabbath salgono sul palco con la stessa energia di un ufficio postale a fine turno, il risultato è impietoso. Bolsi, sfiatati, appesantiti dalla loro stessa leggenda. Ma non importava: avevo visto Ozzy. Missione compiuta.

IL TEMPO (E IL METALLO) NON PERDONA

Per rivedere la formazione originale ci vollero vent’anni. Era il 1998 e i Sabbath erano di nuovo insieme per un tour celebrativo. Non avevo grandi aspettative, ma, sorpresa delle sorprese, furono decisamente migliori di quella lontana serata londinese. Più compatti, più rodati, meno persi nei fumi degli anni ‘70. A volte il tempo fa miracoli. A volte, invece, fa danni irreparabili.

Fu la mia ultima volta. Non perché la band non meritasse più, ma perché ho sempre creduto in un principio sacro del rock: meglio tenersi buoni ricordi, piuttosto che assistere alla lenta e dolorosa decomposizione dei propri eroi.

L’ULTIMO ADDIO (QUELLO VERO? MAH…)

E siamo arrivati a oggi. Dopo decenni di addii mai definitivi, ecco che arriva l’annuncio: i Black Sabbath terranno l’ultima, ultimissima, giuro-che-è-l’ultima, davvero-per-sempre data dal vivo a Birmingham, la loro città natale. Un concerto fortemente voluto da Ozzy Osbourne per congedarsi dai fan una volta per tutte.

Ora, capisco l’attaccamento alle radici e capisco anche che Ozzy, a 78 anni suonati, con il Parkinson e l’agilità di un paracarro, voglia salutare il pubblico un’ultima volta. Ma il problema è che l’ultima volta avrebbe dovuto essere almeno vent’anni fa. L’idea di un Ozzy che probabilmente canterà due o tre brani prima di cedere il microfono a un’orda di ospiti speciali (tra cui Slayer e Pantera) mi fa venire un dubbio: siamo sicuri che questo non sia più un memoriale che un concerto?

Perché diciamolo chiaramente: qui non si tratta più di nostalgia, ma di necrofilia. Il rock ha sempre avuto un rapporto complicato con la vecchiaia, ma adesso siamo arrivati al punto in cui le grandi band sembrano più delle reliquie esposte in una teca che delle entità vive e pulsanti.

QUANDO IL PALCO È OCCUPATO DA CHI NON MOLLA

Ecco il vero problema: il panorama musicale è saturo di vecchi leoni che non vogliono (o non possono) scendere dal palco. Per ogni giovane band che prova a emergere, ci sono dieci nomi storici che continuano a macinare tour e anniversari, lasciando pochissimo spazio alle nuove generazioni.

Non che il pubblico aiuti. Il pubblico del rock, un tempo sinonimo di ribellione e rinnovamento, oggi è il più conservatore di tutti. Non vuole novità, vuole rassicurazioni. Vuole vedere le stesse band, suonare le stesse canzoni, nello stesso modo. E così ci ritroviamo con settantenni che girano il mondo per suonare pezzi scritti quando ne avevano venti, mentre la nuova musica fatica a trovare un suo spazio.

Il rock doveva essere il grido dei giovani contro il passato, invece è diventato il passatempo dei vecchi.

CONCLUSIONI (PROVVISORIE, COME QUESTI ADDII)

Alla fine, sarò cinico, ma il concerto di Birmingham non è tanto il grande addio dei Black Sabbath quanto l’ennesima prova che nel rock nessuno si arrende mai del tutto. Lo spettacolo deve continuare, anche quando i protagonisti non hanno più voce.

Forse Ozzy riuscirà a chiudere con dignità. O forse no. Ma una cosa è certa: la storia dei Black Sabbath è troppo grande per essere rovinata da un ultimo concerto di troppo. La leggenda rimane, a prescindere da quante volte si alzi il sipario.

E comunque, l’ho già detto: io la mia ultima volta l’ho avuta nel ‘98. Meglio così.

(Luigi Colzi)

Prompt:

Intro: nel 1978 hai fatto una delle prime vacanze-rock a Londra, la Mecca del rocker europeo. Obiettivo: riuscire finalmente a vedere i Black Sabbath dal vivo al celebre Hammersmith Odeon. Come gruppo d'apertura, una band al primo album, che stava sbancando in America, di cui si parlava molto in Inghilterra, e mai sentita nominare in Italia: i Van Halen, che fecero fare una brutta figura a dei Black Sabbath bolsi e sfiatati. Ma non importava: finalmente avevo visto Ozzy e compagnia!

Poi: per rivedere la formazione originale dei Black Sabbath ci vollero vent'anni, col tour di reunion del 1998. Senza grosse aspettative, furono assai meglio di quella prima volta a Londra. E' stata la tua ultima volta: meglio tenersi buoni ricordi, con queste vecchie band.

Oggi: dopo tante traversie, è stata annunciata l'ultimissima data dal vivo dei Black Sabbath nella natia Birmingham, una data fortemente voluta da Ozzy Osbourne in persona per salutare definitivamente i fan. Ozzy Osbourne che molto probabilmente canterà due o tre brani, lasciando poi il microfono in mano alle tante star che si esibiranno in giornata - Slayer, Pantera e tantissimi altri.

Perplessità: anche l'affetto ha un limite. Capisci il desiderio di Ozzy di congedarsi definitivamente dal pubblico, anche se probabilmente questo congedo è in ritardo di almeno vent'anni; però ormai si va nella necrofilia, con un cantante 78enne afflitto dal Parkinson che non riesce nemmeno a stare in piedi. Ma, come detto già qualche articolo fa, si tira la corda finché regge.

Articolo: intro, poi, oggi, perplessità; elabora ulteriormente poi su fan, artisti, panorama occupato dai vecchi che non vogliono mollare.

Assumendo la personalità di Luigi Colzi, scrivi un articolo, usando un tono sarcastico e arguto.


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