La Battaglia per la Musica nel Mondo Digitale

Lo avrete sentito più volte negli ultimi anni: Bob Dylan, Paul McCartney, Bruce Springsteen, i Kiss, Neil Young e tanti altri hanno venduto i diritti delle loro canzoni per cifre da capogiro. Una pioggia di milioni che, per chi vende, ha il sapore di una scelta pragmatica: meglio incassare ora che sperare nelle briciole del mercato discografico in decadenza. E poi, diciamolo, non si può mica vivere con solo due Ferrari per villa. Ma chi compra?

I fondi di investimento: Wall Street scopre la musica

C’era un tempo in cui la musica era considerata arte, emozione, espressione dell’anima. Poi sono arrivati i fondi di investimento, che hanno guardato i cataloghi musicali e hanno visto un’altra cosa: flussi di cassa costanti, rendite sicure e royalties che piovono da streaming, pubblicità, film, videogiochi e spot di yogurt probiotici. Insomma, la musica è diventata un asset finanziario, una commodity al pari del petrolio o del grano.

Hipgnosis, Round Hill e Primary Wave sono solo alcuni dei fondi che si sono lanciati nella corsa all’oro musicale, acquistando interi cataloghi di canzoni come fossero terreni edificabili a Dubai. Il boom dello streaming e la digitalizzazione hanno reso queste operazioni ancora più appetibili: mentre le vendite di dischi fisici crollano e il valore dell’arte viene diluito in playlist algoritmiche, i diritti musicali rimangono una miniera d’oro per chi sa come sfruttarli.

Il fascino dell’investimento in musica

Per gli investitori, la musica ha un vantaggio: non segue le montagne russe dei mercati finanziari. La gente ascolterà sempre le hit di ieri e di oggi (e di domani, anche se generate dall’IA), indipendentemente dall’andamento della borsa. Questo la rende un rifugio sicuro nei momenti di incertezza economica, un po’ come l’oro, solo che invece di lingotti si accumulano playlist.

Inoltre, i fondi non si limitano a sedersi e aspettare che le royalties arrivino: promuovono attivamente i brani acquistati, li infilano ovunque possibile, dagli spot dei pannolini alle colonne sonore delle serie TV. E c’è chi sta già sperimentando la blockchain per tracciare i diritti musicali, aumentando trasparenza ed efficienza. Perché niente grida “anima e passione” più di una gestione patrimoniale algoritmica.

La protesta silenziosa degli artisti britannici

Ma mentre la musica diventa sempre più un prodotto finanziario, dall’altra parte della barricata i musicisti cercano disperatamente di far sentire la propria voce. O meglio, di far sentire il proprio silenzio.

Oltre 1.000 artisti britannici, tra cui Damon Albarn, Kate Bush e Annie Lennox, hanno risposto alla proposta di legge del governo del Regno Unito con un album intitolato Is This What We Want?, composto da 12 tracce di puro, assordante silenzio. Un gesto simbolico per protestare contro una normativa che potrebbe cambiare il rapporto tra IA e copyright, permettendo alle aziende di intelligenza artificiale di usare liberamente musica protetta per addestrare i loro modelli.

Il rischio? Che il futuro della musica sia popolato da canzoni create da IA che attingono ai brani degli artisti umani senza che questi vedano un centesimo. Un mondo in cui Paul McCartney potrebbe trovarsi a competere con un’intelligenza artificiale che sforna nuove hit dei Beatles senza il bisogno di una band.

La legge che regala la musica alle AI

Secondo la proposta di legge britannica, se un’azienda di AI ha accesso legale a un brano, può usarlo per addestrare i suoi modelli. Gli artisti devono opporsi esplicitamente, altrimenti il loro catalogo è alla mercé degli algoritmi.

Il governo dice che questo stimolerà l’innovazione e renderà il Regno Unito un hub per lo sviluppo dell’IA. Gli artisti, invece, temono che stimolerà soprattutto la loro bancarotta. Kate Bush l’ha definito un furto legalizzato, mentre Paul McCartney ha ribadito l’importanza di proteggere i creativi.

Ed Newton-Rex, uno degli organizzatori della protesta, ha spiegato che questa legge permetterebbe alle aziende di AI di usare il lavoro dei musicisti per creare nuovi prodotti, senza compensarli. Insomma, un altro bel regalo alle Big Tech, che già da tempo hanno trovato il modo di guadagnare sulle spalle degli artisti senza doverli pagare più del necessario.

La battaglia legale negli Stati Uniti

Nel frattempo, dall’altra parte dell’oceano, le major discografiche non stanno a guardare. Le principali case discografiche americane hanno già intentato cause contro servizi di generazione musicale AI per violazione del copyright.

La protesta britannica ha almeno avuto l’effetto di far riflettere il governo, che ora dice di voler tenere conto del feedback degli artisti. Ma tra il dire e il fare, sappiamo tutti quanti album di silenzio potrebbero essere pubblicati.

Spotify e il diritto di essere rimaneggiati

E se non bastassero i fondi di investimento e l’IA a complicare la vita ai musicisti, ci pensa anche lo streaming. Spotify ha recentemente aggiornato i termini di servizio dei suoi aggregatori (CD Baby, DistroKid e simili) per includere una chicca interessante: ora può prendere la musica degli artisti e modificarla a piacimento, creando remix o usando le tracce per addestrare i generatori musicali AI.

In pratica, non solo gli artisti guadagnano pochissimo dallo streaming, ma ora devono anche accettare che la loro musica possa essere rimaneggiata dalle macchine senza il loro consenso. Che fortuna, eh? Ai bei tempi, un musicista doveva solo preoccuparsi di essere derubato da manager e case discografiche. Oggi ha l’onore di essere sfruttato direttamente dagli algoritmi.

Il futuro del musicista: suonare dal vivo e sperare bene

A questo punto, cosa può fare un musicista oggi? La risposta è semplice: suonare tanto, vendere poco e non diventare mai troppo appetibile per chi vuole mettere le mani sui grandi cataloghi.

Il futuro della musica sembra dividersi tra chi riesce a trasformare la propria arte in un prodotto finanziario redditizio e chi cerca di sopravvivere nell’era dello streaming e dell’intelligenza artificiale. I primi vendono i diritti per cifre astronomiche. I secondi continuano a suonare nei club, sperando che almeno il pubblico non sia un esercito di bot.

Dopotutto, la musica è sempre stata una questione di cuore, anima e… ottimi investimenti.

(Luigi Colzi)

Prompt:

Intro: lo avrete sentito più volte, nel corso degli ultimi anni - musicisti, come Bob Dylan, Paul McCartney, Bruce Springsteen, i Kiss, Neil Young e tanti altri, hanno venduto i diritti del proprio catalogo per una cifra smodata. Per chi vende, si tratta di una valutazione costi-benefici mettendo su un piatto della bilancia la contrazione del mercato, l'età che avanza e la necessità di avere tre Ferrari in ogni villa. Ma per chi compra?

Parte 1: i fondi di investimento hanno scoperto il potenziale dei diritti musicali come asset finanziario, trasformando la musica in una commodity. Questo fenomeno è stato accelerato dalla crescita dello streaming musicale e dalla digitalizzazione dell'industria. Fondi come Hipgnosis, Round-Hill e Primary Wave acquistano cataloghi di canzoni di artisti famosi, generando entrate costanti attraverso royalties derivanti da streaming, vendite, licenze per pubblicità, film, videogiochi e altro.

Parte 2: investire in diritti musicali offre una diversificazione interessante per i portafogli degli investitori. La musica è un asset che non è strettamente correlato ai mercati finanziari tradizionali, rendendolo attraente in periodi di incertezza economica. I diritti musicali possono generare un flusso di reddito passivo costante, e i fondi di investimento possono aumentare il valore dei loro cataloghi promuovendo attivamente le canzoni attraverso vari canali. Alcuni fondi stanno anche esplorando l'uso della blockchain per gestire e tracciare i diritti musicali, migliorando la trasparenza e l'efficienza nella distribuzione delle royalties.

Parte 3: Parallelamente a questa trasformazione finanziaria, il mondo della musica britannica ha lanciato una protesta silenziosa contro una proposta di legge del governo del Regno Unito che potrebbe cambiare il rapporto tra intelligenza artificiale (AI) e diritti d’autore. Oltre 1.000 artisti, tra cui Damon Albarn, Kate Bush, Annie Lennox e altri, hanno partecipato rilasciando un album intitolato Is This What We Want? composto da 12 tracce di puro silenzio. Questo gesto simbolico rappresenta il silenzio che potrebbe derivare dalla proposta di legge, che rischia di compromettere la sostenibilità delle carriere musicali.

Parte 4: La proposta di legge prevede un'eccezione al copyright che permetterebbe alle aziende di AI di utilizzare liberamente contenuti protetti per addestrare i loro modelli, a condizione che abbiano accesso legale al materiale. Gli artisti dovrebbero opporsi esplicitamente all'uso delle loro opere, altrimenti queste sarebbero utilizzabili senza permesso. Il governo sostiene che questa misura stimolerebbe l'innovazione e farebbe del Regno Unito un hub per lo sviluppo dell'IA, ma gli artisti temono che ciò possa danneggiare gravemente la loro industria. Kate Bush ha dichiarato che queste modifiche consegnerebbero il lavoro di una vita dei musicisti alle aziende di AI gratuitamente. Paul McCartney ha sottolineato l'importanza di proteggere i creativi. Ed Newton-Rex, organizzatore del progetto, ha affermato che la proposta permetterebbe alle aziende di AI di sfruttare il lavoro dei musicisti per competere contro di loro.

Parte 5: Negli Stati Uniti, le principali case discografiche hanno già intentato cause contro servizi di generazione musicale AI per violazione del copyright. Le proteste degli artisti britannici hanno portato il governo a dichiarare che nessuna decisione finale è stata presa e che terrà conto del feedback ricevuto.

Parte 6: Quando si parla di Spotify, molti artisti vedono la piattaforma come dannosa per la loro carriera. Spotify e altri servizi di streaming utilizzano aggregatori come CD Baby e DistroKid per distribuire la musica degli artisti. Tuttavia, recentemente è stata aggiunta una clausola nei termini contrattuali di questi aggregatori che permette a Spotify e ad altre piattaforme di utilizzare la musica degli artisti per creare remix con o senza l'aggiunta di altri suoni. Questo significa che la musica può essere utilizzata per addestrare generatori musicali AI senza il consenso esplicito degli artisti. Questa situazione è ì un ulteriore esempio del potere monopolistico delle grandi piattaforme tecnologiche, che possono sfruttare il lavoro creativo degli artisti senza offrire adeguate compensazioni o tutele.

Parte 6: che fortunati i musicisti di una volta, che rischiavano solo di essere derubati da manager e casa discografica!

Parte 7: cosa deve fare il musicista di oggi? Suonare molto in giro, vendere poco e non essere appetibile per chi richiede grandi cifre.

Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5, parte 6, parte 7; esplora approfonditamente tutto quanto è emerso.

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