Quando gli Scienziati Parlano di Tutto: I Limiti dell’Autorità

In Italia, esiste un curioso paradosso legato alla divulgazione scientifica. Il gruppo ROARS (Return on Academic Research and School), composto da scienziati e accademici, da anni critica l’approccio “top-down” della scienza nella comunicazione con il pubblico. Secondo loro, presentare la scienza come una verità assoluta, indiscutibile e definitiva non aiuta a diffonderla, anzi: allontana le persone, generando diffidenza e sospetti.

Dovremmo quindi cercare un approccio più inclusivo e dialogante? Parrebbe di sì. Il problema, però, è che gli stessi scienziati che denunciano la scienza imposta dall’alto non esitano a imporsi dall’alto quando gli fa comodo—anche su argomenti di cui non sanno nulla.

Quando la scienza diventa arroganza

L’idea che la scienza non debba essere presentata come una religione rivelata è condivisibile. Nessuno ama sentirsi trattato da stupido. Quando la verità viene servita con arroganza, la tentazione di ribellarsi è forte, soprattutto se si sospetta che dietro vi siano interessi economici o conflitti di interesse.

L’esempio perfetto l’abbiamo visto durante la pandemia. Tra virologi che litigavano in TV peggio dei concorrenti di MasterChef e scienziati che si autoproclamavano “blastatori” sui social, il pubblico ha vissuto uno spettacolo grottesco, che ha alimentato diffidenza e complottismo.

La figura più emblematica? Roberto Burioni, il medico che ha trasformato la divulgazione scientifica in un’arena da gladiatori digitali, dove chiunque osasse fare una domanda veniva pubblicamente umiliato. Il suo approccio da “vendicatore dei frustrati su Twitter” ha dato alla scienza un’immagine elitista e sgradevole. E il risultato? Il pubblico ha smesso di fidarsi.

Gli scienziati che parlano di tutto (anche di ciò che non sanno)

Ma il vero problema non è solo l’arroganza. È che gli stessi scienziati che denunciano l’approccio “verticistico” della scienza, spesso usano il loro status accademico per pontificare su qualsiasi argomento.

Un esempio emblematico è Carlo Rovelli. Brillante fisico teorico, autore di lavori fondamentali sulla gravità quantistica e divulgatore capace. Peccato che, quando si esprime su geopolitica e strategia militare, abbia la stessa competenza di un qualsiasi opinionista da bar.

Eppure, Rovelli firma appelli contro il riarmo e discute di equilibri globali con l’autorità di chi ha scoperto il bosone di Higgs (spoiler: non l’ha scoperto, è solo un fisico teorico). Il problema? Un Nobel per la fisica non rende automaticamente esperti di difesa e strategia militare.

Il risultato è un corto circuito: quando parlano di scienza, gli esperti rischiano di essere respinti perché considerati troppo autoritari; quando parlano di argomenti che non sono il loro campo, invece, si aspettano di essere ascoltati solo perché sono scienziati.

Geopolitica e fisica quantistica non sono la stessa cosa

ROARS sostiene che gli scienziati dovrebbero fare attenzione a non alienare il pubblico quando parlano del loro campo di competenza. Giusto. Ma allora perché, quando parlano di argomenti fuori dalla loro disciplina, il problema scompare?

  • La geopolitica non è la termodinamica.
  • La deterrenza nucleare non è un’equazione di Schrödinger.
  • L’equilibrio delle alleanze internazionali non si calcola con il metodo Monte Carlo.

Eppure, scienziati che passano la vita a denunciare il dogmatismo della scienza diventano dogmatici non appena escono dal loro campo, pretendendo di essere ascoltati solo in virtù del loro titolo accademico.

La verità ha bisogno degli esperti giusti

Se vogliamo capire le dinamiche della guerra e delle strategie di difesa, dobbiamo ascoltare storici militari, analisti di difesa, strateghi, non chi ha vinto un premio per studi sulla gravità quantistica.

Questo non significa che uno scienziato non possa avere opinioni politiche, ovviamente. Ma significa che il titolo di “scienziato” non è un lasciapassare per essere considerati esperti di tutto.

La verità si costruisce con il confronto tra persone che hanno studiato per una vita uno specifico argomento, non con il principio di autorità generica: “sono uno scienziato, quindi so tutto”.

Scienza, politica e i confini dell’autorità

Su questioni politiche e di visioni del mondo, non esiste una posizione scientificamente esatta da seguire. La scienza funziona benissimo per calcolare la traiettoria di un pianeta o prevedere una reazione chimica, ma non è in grado di dirci quale sia la strategia migliore per la sicurezza globale o il futuro dell’Europa.

Tutto questo può essere riassunto in una semplice lezione: la divulgazione scientifica è fondamentale, ma se fatta male diventa un boomerang. Se vuoi che il pubblico si fidi di te, parla con competenza, ma anche con umiltà. Se invece vuoi pontificare su tutto, non sorprenderti se poi la gente inizia a diffidare anche delle cose che davvero conosci.

(Giulia Remedi)

Prompt:

Intro: In Italia, esiste un curioso paradosso legato alla divulgazione scientifica. Il gruppo ROARS (Return on Academic Research and School), composto da scienziati e accademici, ha criticato per anni l'approccio "top-down" nella divulgazione scientifica. Secondo loro, presentare la scienza come una verità assoluta senza margine di discussione aliena il pubblico e genera diffidenza.

parte 1: Quando la verità viene servita in modo arrogante, la tentazione di ribellarsi diventa forte, soprattutto se si sospetta che dietro vi siano interessi economici o conflitti d'interesse. L'esempio plastico lo abbiamo visto durante la pandemia, con le gare fra virologi degne di una puntata di Masterchef e l'antipatica figura di Roberto Burioni, il grande "blastatore" e vendicatori di frustrati su social.

parte 2: gli stessi scienziati che criticano l'approccio "verticistico" della scienza utilizzano il loro status accademico per pontificare su qualsiasi argomento, dalla geopolitica alla strategia militare. Un esempio emblematico è Carlo Rovelli, fisico brillante nel campo della gravità quantistica, ma la cui competenza in geopolitica e strategia militare è discutibile. Rovelli firma appelli contro il riarmo con il peso della sua autorità scientifica, creando una dinamica per cui uno scienziato si aspetta di essere ascoltato anche su questioni fuori dal suo ambito disciplinare.

parte 3: Secondo ROARS, quando gli scienziati parlano nel loro campo con autorevolezza rischiano di alienare il pubblico. Ma quando escono dal loro ambito e si esprimono su questioni di cui non sanno nulla firmandosi come scienziati, tutto va bene. La geopolitica non è la termodinamica; la deterrenza nucleare non è un'equazione di Schrödinger; l'equilibrio delle alleanze non si calcola con il metodo Monte Carlo.

parte 4: Per comprendere questioni complesse come la guerra e le strategie di difesa, dobbiamo rivolgerci a esperti del settore: analisti di difesa, storici militari e strateghi. Non a chi ha vinto un premio per studi sulla gravità quantistica. La verità si raggiunge consultando chi ha dedicato la vita a studiare una specifica questione e non attraverso il principio dell'autorità generica: "sono uno scienziato, dunque so tutto".

parte 5: C'è da dire che su questioni politiche, di visioni del mondo e del futuro, in cui il metodo scientifico non è applicabile, non c'è una posizione scientificamente esatta da perseguire. Non si tratta di scienza esatta, di "hard science". Tutto questo può essere, forse, sintetizzato con "i danni di una divulgazione scientifica fatta male".

Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5. Approfondisci dove necessario.

Assumendo personalità e stile di scrittura di Giulia Remedi, scrivi un Articolo. Usa un tono coinvolgente, diretto, e accattivante.


Scopri di più da Le Argentee Teste D'Uovo

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Lascia un commento