Radical Chic e altri animali fantastici

Sapete da dove viene il termine radical chic, vero? No? Dovevo immaginarlo. È uno di quei termini che oggi la gente ripete con la stessa sicurezza con cui un dodicenne ripete la formazione del Napoli senza aver mai visto una partita. Ma approfondire la sua origine? Troppo complicato.

Dunque, facciamo un breve ripasso per chi, nel tempo libero, si dedica all’insulto politico senza aver mai aperto un libro. Radical chic è un’espressione coniata nel 1970 da Tom Wolfe, giornalista e scrittore statunitense, in un articolo pubblicato sul New York Magazine, Radical Chic: That Party at Lenny’s. E chi sarebbe questo Lenny? Leonard Bernstein, uno dei più grandi direttori d’orchestra della storia, che aveva avuto l’ardire di organizzare un party per raccogliere fondi a favore delle Pantere Nere nel suo attico a Manhattan. Immaginatevi la scena: i ricchi borghesi newyorkesi, flute di champagne in mano, che discutono di lotta armata. Un contrasto così grottesco che nemmeno Wolfe, il più brillante tra i giornalisti caustici, poté trattenersi dal massacrarli.

Bello, vero? Uno scontro fra titani. Tom Wolfe vs Leonard Bernstein. Cultura, ironia, intelligenza. E oggi? Oggi il termine radical chic non viene scagliato da grandi giornalisti a direttori d’orchestra e musicisti di alto livello sociale e culturale, ma da una cittadinanza di destra contro una cittadinanza di sinistra, entrambe meschine, provinciali e ridicole.

Negli occhi del piccolo imprenditore o del suo dipendente in nero, il radical chic è l’insegnante con la casa di proprietà che di pomeriggio tiene ripetizioni private e nel fine settimana va a teatro o alla presentazione di un libro. Una visione ristretta, figlia dell’ignoranza reciproca: chi odia i radical chic non ha mai letto Wolfe, e chi viene chiamato radical chic si sente lusingato senza sapere esattamente perché.

Il Delicatissimo Bacino del Pensiero Collettivo

Questi radical chic, nel frattempo, sono diventati il bacino di riferimento dell’intellighenzia nazionale. Un bene preziosissimo, che va coltivato, coccolato, mai indispettito. Perché? Perché il radical chic ha il potere di determinare il valore di un libro, un film, un festival, semplicemente con la sua approvazione. Se dice che è bello, è bello. Se dice che è brutto, è fascista.

Del resto, gli intellettuali e gli artisti di riferimento di questa compagine sono quasi sempre insegnanti di scuola media (categoria rispettabilissima, pure mio padre lo è) che, a un certo punto, hanno svoltato. La loro è un’ascesa sociale discreta, fatta di articoli giusti scritti sulle riviste giuste e di collaborazioni con l’editoria che conta. Nessun rischio, nessuna dichiarazione scomoda, solo un continuo adattamento di opinioni per rimanere sempre in sintonia con il proprio ambiente.

Il risultato? Una fiera dell’opportunismo. Gente che tiene l’orecchio teso per captare quale sia la linea del momento, per poi ripeterla con convinzione assoluta. Se ieri si parlava di decostruzione del patriarcato, oggi si parla di decolonizzazione, domani di neurodivergenza. Cambiano i temi, resta l’identico terrore di essere esclusi dalla conversazione.

La Biennale Democrazia: il Festival delle Sicurezze Ideologiche

Vogliamo un esempio pratico? Prendiamo il programma della Biennale Democrazia, che si tiene a Torino e che ogni due anni raduna il meglio della riflessione progressista nazionale.

Sbirciando l’elenco dei panel, troviamo un fiorire di tematiche e linguaggi degli anni Settanta: femminismo, decolonizzazione, antimilitarismo, critiche al sistema carcerario e alle forze dell’ordine. A vederlo così, sembra una di quelle riunioni universitarie in cui se sbagli un aggettivo ti guardano come se avessi citato Evola.

L’evento, ovviamente finanziato con fondi pubblici, non contempla alcuna diversità di pensiero. È uno di quegli ambienti dove le tesi sono già stabilite in partenza, e il dibattito serve solo a ribadirle con parole più sofisticate. Chi partecipa lo fa per sentirsi confortato, per ascoltare concetti con cui è già d’accordo, per rafforzare la propria identità. La democrazia, in questo caso, è un applauso reciproco tra persone che la pensano allo stesso modo.

Vannacci e Salis: Due Libri, Nessuna Lettura

Ma se vogliamo un esempio ancora più lampante di questa assurda dinamica culturale, guardiamo ai due libri più chiacchierati degli ultimi tempi: quello del generale Vannacci e quello di Ilaria Salis. Due persone che, in un mondo normale, non avrebbero mai dovuto scrivere una riga, ma che sono diventate simboli perfetti dei due gruppi ideologici contrapposti.

Chi compra Vannacci si sente un patriota in trincea, pronto a difendere la nazione dai complotti woke. Chi compra la Salis si sente un lettore forte, uno che legge per capire, per approfondire.

Ma il bello è che entrambi i libri avranno lo stesso scopo: essere ricettacoli di autografi e selfie. Nessuno li leggerà davvero. Nessuno li discuterà criticamente. Servono solo a dimostrare appartenenza.

Quindi eccoci qui, nel grande circo dell’intellighenzia italiana, dove la cultura è una posa, l’opinione un accessorio di moda e il radical chic un insulto lanciato alla cieca, senza sapere nemmeno cosa significhi. Ma non preoccupatevi: l’importante non è capire. L’importante è sapere con chi schierarsi.

(Margherita Nanni)

Prompt:

Intro: sapete da dove viene il termine "radical chic", vero? No? Dovevo aspettarmelo. Il termine "radical chic" è stato coniato nel 1970 dal giornalista e scrittore statunitense Tom Wolfe. L'espressione è nata in un articolo pubblicato sul New York Magazine, intitolato "Radical Chic: That Party at Lenny’s".

parte 1: capite bene che si parlava di scontro fra titani, Tom Wolfe vs Leonard Bernstein. Oggi il termine "radical chic" non viene scagliato da grandi giornalisti a direttori d'orchestra e musicisti di alto livello sociale e culturale, ma da una cittadinanza di destra ad una cittadinanza di sinistra, entrambe meschine, provinciali, ridicole. Negli occhi del piccolo imprenditore o del suo dipendente in nero, radical chic è l'insegnante con la casa di proprietà che di pomeriggio tiene ripetizioni private e nel fine settimana va a teatro o alla presentazione di un libro. Nessuna delle due compagini sa niente né di Tom Wolfe né di Leonard Bernstein.

parte 2: questi "radical chic" sono il bacino di riferimento dell'intelligenzia nazionale. Un bene preziosissimo che va attentamente coltivato, coccolato, mai indispettito. Il che volendo è implicito: gli intellettuali e artisti di riferimento sono, di solito, altri insegnanti di scuola media (categoria contro cui non ho nulla, pure mio padre lo è) che ad un certo punto hanno svoltato. Questo atteggiamento, che l'autore definisce borghese, spinge gli intellettuali a un continuo adattamento di opinioni, dettato dalle tendenze del momento e dalla pressione del proprio circolo sociale. L'immagine evocata è quella di figure sedute comodamente, con l'orecchio teso per captare quale sia la linea da seguire, un comportamento che tradisce opportunismo e una mancanza di autenticità.

parte 3: Guardiamo il programma della Biennale Democrazia. E' un fiorire di tematiche e linguaggi degli anni Settanta, con un'attenzione centrale su femminismo, decolonizzazione, antimilitarismo e critiche al sistema carcerario e alle forze dell'ordine. L'evento appare schierato ideologicamente e dominato da un'unica prospettiva, sostenuta da nomi noti dell'intellighenzia progressista. I finanziamenti pubblici sembrano coprire questa carenza di diversità.

parte 4: il generale Vannacci e Ilaria Salis coi rispettivi libri sono emblematici. Due persone che non avrebbero mai dovuto toccare carta, o pc, ma simboli identitari perfetti dei due gruppi di cui sopra. Il bello è che chi compra il libro della Salis si riterrà parte dei "lettori forti", quando in realtà il libro avrà lo stesso scopo di quello di Vannacci: un ricettacolo di autografi e selfie.

Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4.

Assumendo background, personalità e stile di scrittura di Margherita Nanni, scrivi un articolo. Usa un tono pungente, ironico e divertito.

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