
Ciò che sta facendo Donald Trump nel suo secondo mandato alla Casa Bianca viene spesso paragonato alle mosse di leader come Vladimir Putin o Hugo Chávez. Accostamenti affascinanti, certo, ma del tutto superficiali. Ci sono punti di contatto – la guerra ai media, la demonizzazione del dissenso, la retorica del “popolo contro l’élite” – ma il contesto fa tutta la differenza del mondo.
Putin ha consolidato il suo potere in un paese che la democrazia non l’ha mai conosciuta veramente, se non come breve intermezzo traumatico tra l’implosione dell’impero sovietico e il caos degli anni ’90. In quel contesto, Putin appare quasi come una figura di stabilità. Uno zar col Wi-Fi, un KGBista con la giacca Brioni, che ha dato ordine a un paese abituato al pugno duro. Non è un’eccezione, è la regola.
Hugo Chávez? Ancora meno. Fa parte di una lunga dinastia di caudillos sudamericani, da Perón in giù, che hanno sempre usato il carisma e le piazze per affondare le istituzioni democratiche in nome del “popolo”. Il chavismo è solo l’ennesima reincarnazione della stessa logica: il leader come salvatore, il Parlamento come zavorra.
Ma se vogliamo davvero capire dove ci sta portando Trump, bisogna guardare altrove. Bisogna guardare a Budapest.
Orbán, l’ideologo dei nuovi autocrati
Viktor Orbán non viene dalla steppa, e nemmeno dalle selve tropicali del socialismo rivoluzionario. Orbán viene da un paese membro dell’Unione Europea, firmatario di trattati, vincolato a regole democratiche. Orbán è il vero laboratorio dell’autocrazia del XXI secolo: non più costruita con i colpi di Stato, ma a colpi di legge.
Il suo manuale è semplicissimo, e Trump lo sta seguendo alla lettera:
- Controlla i media. Non con la censura palese, ma con l’acquisto, il ricatto, le concessioni pubblicitarie, i fondi pubblici. Fai in modo che i media privati si trasformino in altoparlanti governativi.
- Cambia le regole democratiche senza abolirle. Non serve chiudere il Parlamento. Basta riscrivere le circoscrizioni, cambiare il sistema elettorale, ridurre l’indipendenza della magistratura. La democrazia resta, sulla carta. Ma è un contenitore vuoto.
- Identifica un nemico interno ed esterno. Che siano i migranti, Soros, Bruxelles o i liberal americani, serve sempre un nemico da agitare. Il “noi contro loro” è la colonna vertebrale del nuovo autoritarismo.
Trump ha già messo in campo tutte e tre le strategie. Il secondo mandato è iniziato con un’ondata di purghe burocratiche: licenziamenti di giudici, pubblici ministeri e dirigenti federali considerati “sleali” (cioè non inginocchiati alla nuova liturgia). La Corte Suprema è da tempo un organo amico. Il Dipartimento della Giustizia è ora usato come un randello contro i nemici politici, mentre i media critici sono etichettati quotidianamente come “traditori”.
Erdogan, l’ambizione illiberale mascherata da religione
L’altro modello – sempre più presente nell’architettura trumpiana – è quello turco. Recep Tayyip Erdoğan ha fatto in Turchia ciò che Trump sogna per l’America: ha svuotato le istituzioni repubblicane, islamizzato lo Stato in modo strisciante e consolidato un potere personale capillare.
Il modello Erdoğan ha una peculiarità: maschera l’autoritarismo dietro una retorica religiosa e nazionalista. Anche qui, Trump ha imparato bene: il revival cristiano del secondo mandato non ha nulla a che vedere con la fede, ma tutto a che vedere con l’ideologia. Croce, Bibbia, bandiera: l’equivalente a stelle e strisce della mezzaluna anatolica.
Il culto della forza, il disprezzo per i check and balance, la convinzione che “l’uomo forte” debba prevalere sulla legge: questi sono i pilastri che uniscono Trump, Orbán ed Erdoğan. Non è una coincidenza che i tre si stimino, si frequentino e si citino. È un’Internazionale del potere personale, un’alleanza trasversale che unisce Washington, Budapest e Ankara sotto lo stesso principio: il leader prima della Repubblica.
L’Occidente dentro l’autocrazia
Il problema – gigantesco – è che tutto questo non avviene fuori dall’Occidente, ma dentro. Orbán è ancora membro dell’UE, Erdoğan è parte della NATO, Trump è presidente degli Stati Uniti. Questo è l’autocrazia dal di dentro, quella che non invade da fuori ma si insinua dentro le istituzioni esistenti, svuotandole come un parassita.
E no, non è più il tempo delle domande retoriche. È il tempo di riconoscere che siamo già dentro una nuova stagione politica in cui la democrazia liberale non è più il punto di partenza, ma un ostacolo da rimuovere.
E Trump, oggi, non è un’anomalia. È l’avanguardia.
(Roberto De Santis)
Prompt:
Intro: ciò che sta facendo Donald Trump viene spesso paragonato con le mosse di personaggi come Vladimir Putin o Hugo Chavez. Ci sono punti di contatto, e sono molti, ma il contesto è molto diverso: Putin ha consolidato il suo potere in Russia, un paese che non ha mai conosciuto la democrazia ed è passata da un regime autoritario all'altro - guardando la Russia in prospettiva storica, Putin è il moderato. Hugo Chavez fa parte di una lunga serie di caudillos sudamericani, e pure lì, il continente è sempre stato cavalcato da figure simili.
parte 1: se vogliamo capire bene dobbiamo invece guardare all'Ungheria e a Viktor Orbàn, le cui mosse costituiscono un vero e proprio manuale d'istruzioni per gli autocrati del XXI secoli. La differenza dovrebbe essere ovvia: Orbàn ha fatto quel che ha fatto in Ungheria e all'interno dell'UE.
parte 2: inserisci nel discorso pure Erdogan e la Turchia.
Articolo: intro, parte 1. Prosegui poi sulla linea tracciata dall'articolo.
Assumendo personalità e stile di scrittura di Roberto De Santis, scrivi un articolo; usa un tono brillante e polemico.
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