Dio, Patria, Famiglia: l’egemonia culturale che l’antifascismo ha lasciato andare

Nella storia politica del Novecento – e non solo – il fascismo ha saputo fare qualcosa che i suoi oppositori non sono mai riusciti a controbilanciare: appropriarsi di ciò che tocca le viscere dell’umano. Spiritualità, radici, relazioni. Tre fili che legano ogni individuo a qualcosa di più grande di sé. Il fascismo ci ha messo sopra un’etichetta potente – Dio, Patria, Famiglia – e l’ha fatta diventare un’icona popolare, un inno, uno scudo. Ha fornito risposte semplici, riconoscibili, totalizzanti. Che fossero giuste o sbagliate è un altro discorso. Il punto è che funzionavano.

Il dramma dell’antifascismo – e lo dico da uomo cresciuto nella sinistra, che ha sognato con Berlinguer e bestemmiato con Bertinotti – è che su quei temi ha balbettato. Ha demolito con zelo tutto ciò che in quel motto poteva sembrare oppressivo, conservatore, reazionario. Giustamente, in molti casi. Ma dopo aver smontato la macchina, ha lasciato i pezzi per terra. Ha contestato la religione senza offrire un’altra forma di senso. Ha sbeffeggiato la patria riducendola a un feticcio del Ventennio, rinunciando a qualsiasi visione condivisa del “noi”. Ha ironizzato sulla famiglia borghese salvo poi affidare le relazioni umane all’individualismo consumista o alle griglie relazionali del gender studies da assemblea universitaria. Applausi a scena aperta, poi calano le luci e il pubblico torna a casa senza più sapere chi è, da dove viene e dove sta andando.

Eppure, quelle domande restano. Sempre. Anche oggi, mentre ci affoghiamo nella retorica della performance, della produttività, del benessere auto-ottimizzato. La gente, quando smette di scrollare TikTok, ha ancora bisogno di sapere chi è. Ha ancora bisogno di credere in qualcosa. Di sentire che esiste un tessuto umano che la tiene insieme ad altri. Chi glielo dice, se non glielo dice la sinistra?

E allora immaginiamo di farlo noi. Di riprendere quei tre temi – spiritualità, radici, relazioni – e riscriverli con parole nuove, finalmente nostre. Una spiritualità laica, non come negazione della fede, ma come tensione al significato. Come ricerca collettiva di orizzonti, non di dogmi. Invece di vergognarci delle nostre radici culturali perché “troppo occidentali”, recuperiamo la complessità della nostra eredità. Non solo Roma imperiale, ma i greci, gli etruschi, il Mediterraneo intero. Il nostro passato è plurale, stratificato, vivente. Rivendichiamolo. Non per chiudere, ma per aprire.

E infine, torniamo a occuparci delle relazioni. Non solo in termini di diritti civili – che restano fondamentali – ma come legami concreti: la socialità di quartiere, i circoli culturali, le piccole reti mutualistiche. Il senso di comunità non è una bestemmia. È il fondamento della politica. I fascisti lo chiamavano corpo organico della nazione, noi possiamo chiamarlo società solidale, rete sociale, mutualismo. Chiamatelo come vi pare, ma ricominciamo a coltivarlo.

Perché non farlo è un suicidio. È la rinuncia definitiva a rappresentare la carne viva della società. È il motivo per cui oggi le destre parlano un linguaggio comprensibile e vincono. Mentre l’antifascismo resta bloccato in un eterno 25 aprile, utile per le manifestazioni, inutile per governare il presente. Chi non ha una proposta di senso, una narrazione che tocchi la pancia e il cuore delle persone, ha perso in partenza.

E allora sì, bisogna avere il coraggio di dirlo: se l’antifascismo non tornerà a parlare di Dio, di Patria, di Famiglia – o meglio, dei bisogni profondi che quelle parole sintetizzano – continuerà a perdere. Perché la gente, in fondo, è sempre la stessa. Cambiano gli smartphone, non le domande fondamentali.

Serve una nuova politica. Una che non si vergogni di dire che la spiritualità non è un residuo medievale, che le radici non sono una bestemmia nazionalista, che le relazioni umane contano più degli algoritmi. Serve, insomma, una sinistra che sappia essere popolare senza essere populista. Che ricominci da qui.

Se lo farà qualcuno all’estero, tanto meglio. Se aspettiamo gli italiani, stiamo freschi. Ma intanto, chi ha un briciolo di lucidità e coraggio, cominci a tracciare la rotta. Il tempo stringe, e non sarà con i meme che ci salveremo.

(Roberto De Santis)

Prompt:

Intro: Nella storia politica, il fascismo ha saputo appropriarsi e imporsi come tutore di tre temi fondamentali dell’esistenza umana: la spiritualità, le radici culturali e le relazioni interpersonali. Attraverso il motto “Dio, Patria, Famiglia”, ha fornito risposte soggettive a queste necessità, garantendo un’identità chiara a chi vi si riconosceva.

parte 1: L’antifascismo, pur avendo contestato queste risposte, non è riuscito a proporre una visione alternativa altrettanto forte e unitaria su questi temi cruciali. Ha criticato l’approccio conservatore alla religione, la concezione nazionalistica della patria e il modello familiare tradizionale, senza però offrire una prospettiva convincente che potesse sostituirli.

parte 2: Ma cosa accadrebbe se si tornasse a parlare di questi argomenti con una nuova impostazione? Un progetto politico moderno potrebbe riprendere il discorso sulla spiritualità in senso laico, aiutando le persone a trovare un significato nella propria esistenza e a costruire il futuro desiderato. La valorizzazione delle radici culturali, non limitate alla romanità ma estese ai greci, ai latini e agli etruschi, potrebbe restituire profondità storica all’identità collettiva. Infine, una rinnovata attenzione alle relazioni umane, incentivando il senso di comunità e il rafforzamento dei legami locali, potrebbe ridare vitalità ai rapporti sociali.

parte 3: L’assenza di una proposta chiara su questi temi da parte dell’antifascismo spiega, in parte, il suo declino a livello elettorale e il crescente consenso delle destre. Se non si torna a parlare alle persone attraverso valori fondamentali e universali, perché nonostante tutto l'umanità è sempre la stessa, si rischia di lasciare spazio a chi è in grado di farlo con maggiore incisività.

parte 4: E' evidente la necessità di un nuovo approccio politico, capace di fornire risposte coerenti e di ricostruire un dialogo profondo con la società. La speranza è che all'estero ci pensi qualcuno e poi l'onda lunga arrivi pure da noi, perché se aspettiamo gli italiani stiamo freschi. Ma abbiamo abbastanza tempo?

Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4. Approfondisci dove ritieni necessario.

Assumendo personalità e stile di scrittura di Roberto De Santis, scrivi un articolo; usa un tono brillante e polemico.


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