Hanno ucciso l’Uomo Ragno (di nuovo): Gli 883, il revisionismo pop e il culto della mediocrità

Non mi definirei un intenditore raffinato di musica, né un collezionista maniacale di vinili rari — quegli snob che ti guardano dall’alto in basso se non sai chi suonava il basso nella formazione originale dei Bauhaus. Io al liceo, nei primi anni ’90, ascoltavo quello che ascoltavano i miei amici: i Nirvana, i Guns, gli AC/DC, i Metallica del Black Album, i Pearl Jam, i Queen. Musica con le chitarre, col sudore, col sangue. Quella roba che ti svegliava, che ti faceva venire voglia di spaccare tutto o almeno di mollare la scuola per salire su un furgone e vivere di concerti e birra calda. Gli 883? Musicaccia da sfigati, roba che girava su Radio Deejay mentre aspettavi che partisse Enter Sandman. Eppure — sarò onesto — quando ho visto che Sky trasmetteva Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883, ho ceduto. L’ho guardata. Con una certa curiosità. E, lo ammetto, con un pizzico di nostalgia.

Una serie ben fatta (anche se parla degli 883)

La serie, firmata da Sydney Sibilia — uno che sa girare roba pop senza sembrare il solito pubblicitario frustrato — racconta la genesi del duo Max Pezzali–Mauro Repetto. Otto episodi che fanno il loro dovere: ritmo solido, regia pulita, colonna sonora furba. Gli attori? Bravi. Persino realistici. Soprattutto: non parlano con l’accento romano. E questo, in un’Italia in cui ogni produzione sembra ambientata a Centocelle anche se si svolge a Bolzano, è già un miracolo. È una serie che funziona perché non pretende di essere quello che non è: racconta un’epoca, un’estetica (inguardabile, ma ormai “vintage”), e un certo modo di fare musica. Il revival anni ’90, d’altronde, tira più di un carro di buoi. Sky lo sa.

Gli haters compulsivi del pop: una razza in cerca d’identità

Ma il punto non è la serie. Il punto è la reazione che scatena. Perché in Italia esiste una razza curiosa: quelli che vivono i propri gusti culturali come un badge d’onore aristocratico. Quando sentono nominare gli 883, si sentono in dovere di ribadire che nel ‘92 loro già ascoltavano Diamanda Galás, gli Einstürzende Neubauten, magari pure Throbbing Gristle. E forse era anche vero. Ma quel rigurgito elitario, quel bisogno di rimarcare pubblicamente il proprio disprezzo, è il sintomo di un’inquietudine più profonda: l’insicurezza culturale di chi ha sempre bisogno di posizionarsi contro per sentirsi superiore. Una battaglia sterile, quella contro il pop — soprattutto contro quello che ha parlato, piaccia o meno, a milioni di persone. Come se l’intelligenza si misurasse dalla quantità di feedback nei pedali o dai decibel di un urlo isterico in loop su un drone industriale.

Io gli 883 continuo a non ascoltarli. E mai lo farò per scelta. Ma Max Pezzali, alla fine, mi sta pure simpatico. Non ha mai finto di essere altro da quello che è: un ragazzo di provincia che ha scritto canzoni leggere, che parlavano di motorini, amori finiti male e sabati sera. Non ci ha mai venduto l’illusione di essere Kurt Cobain.

Il revisionismo pop è servito: da coglioni a icone generazionali

E ora? Ora tocca rivalutarli. Perché ogni fenomeno trash o dimenticato attende la sua beatificazione, e oggi è il turno degli 883. Preparatevi agli articoli — qualcuno già è arrivato, firmato TV Sorrisi e Canzoni, che con impeto surreale ha sparato: “Gli 883 erano i nostri Nirvana”. Ecco, qui io mi fermo. Perché ci vuole un certo talento, e un certo coraggio, per scrivere una frase tanto assurda con tono solenne.

Ma ormai funziona così: Mauro Repetto, quello che ballava a caso nei video e sembrava capitato lì per sbaglio, diventa l’artefice visionario di un’estetica naïf; Max Pezzali, l’autore dei testi su bidoni di benzina e compagni delle medie, diventa il cantore della gioventù italiana. E così il mainstream si prende la sua rivincita, trasformando la mediocrità in mitologia. Da coglioni a eroi. Il passo è breve, basta aspettare vent’anni e l’oblio selettivo del pubblico.

Conclusione (che non è una riconciliazione)

Io non ci sto. No, gli 883 non erano i nostri Nirvana. Non lo saranno mai. Non c’erano chitarre taglienti, né rabbia, né catarsi generazionale nei loro pezzi. C’era semmai un racconto rassicurante, un karaoke da spiaggia con dentro le frustrazioni di una generazione che voleva solo sopravvivere al sabato sera. E va bene così, se serve a qualcuno. Ma non riscriviamo la storia.

La musica è (anche) un fatto di pancia, di identità, di visione del mondo. Io, da liceale con la felpa dei Metallica e le mani spaccate dal rugby, non mi sono mai sentito rappresentato dagli 883. E nemmeno oggi, imprenditore digitale e cinico darwinista del mercato, riesco a vedere in Max e Mauro due profeti del pop. Li guardo, semmai, con la stessa distanza con cui osservo le figurine Panini degli anni ’90: un ricordo, niente di più.

Ma almeno — grazie a questa serie — ora sappiamo con certezza una cosa: Hanno ucciso l’Uomo Ragno. Di nuovo. E questa volta, ci hanno fatto pure otto episodi.

(Giovanni Sarpi)

Prompt:

Intro: non ti definisci un appassionato o conoscitore di musica particolarmente raffinato; nei primi anni '90, al liceo, coi tuoi amici ascoltavate il rock più popolare del momento - Nirvana, Guns'n'Roses, AC/DC, Queen, Pearl Jam, Metallica del Black Album per esempio - e consideravi gli 883 musicaccia da sfigati. Poco è cambiato da allora in termini di gusti musicali, gli 883 certo non ti piacciono ma non hai nulla di personale contro Max Pezzali, che anzi ti sembra pure una persona simpatica, e hai guardato la serie tv sugli 883 con misto di curiosità e inevitabile nostalgia.

parte 1: La serie TV "Hanno ucciso l'Uomo Ragno - La leggendaria storia degli 883" è stata trasmessa su Sky e in streaming su NOW. Diretta da Sydney Sibilia, racconta la storia del duo musicale formato da Max Pezzali e Mauro Repetto. Con otto episodi, la serie mescola musica e moda, e include una colonna sonora con i successi degli 883. La serie sa evocare nostalgia e mantenere alta la qualità della narrazione, con attori in gamba che, deo gratias, non parlano con accento romano.

parte 2: Il problema con gli 883 ce l'hanno, credo, quelli che vomitano bile preventiva rimarcando con forza che quando usciva "Hanno Ucciso L'Uomo Ragno" loro avevano già in casa le discografie complete di Diamanda Galas e degli Einstürzende Neubauten. Come spesso capita, alla radice c'è l’insicurezza con cui molti vivono i loro consumi culturali, invece di fregarsene del giudizio degli altri.

parte 3: siccome ciascun fenomeno passato attende una classe di critici che la rivaluti, adesso è il turno degli 883; puoi già immaginare articoli in cui gli 883 avrebbero lasciato un'impronta indelebile nella musica pop italiana degli anni '90 e oltre con melodie accattivanti e testi che rispecchiano la vita quotidiana, i sogni e le esperienze della gioventù italiana dell'epoca, catturando lo spirito del tempo, con un mix di ironia, riflessione e narrativa che ha parlato direttamente al cuore della gente comune, anche per le generazioni successive... e Mauro Repetto diventa un "artefice", anziché "quell'altro"! Da coglioni a eroi, chi l'avrebbe mai detto? Ma "gli 883 erano i nostri Nirvana", come ha recentemente scritto un articolo di TV Sorrisi e Canzoni, non lo accetterai mai.


Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3. Approfondisci dove ritieni necessario.

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