Ghost In The Machine

Avete presente quella puntata di South Park in cui Cartman fonda una startup di intelligenza artificiale e, invece di algoritmi, assume un gruppo di indiani sottopagati che lavora in una cantina? No? Neanch’io. Peccato, sarebbe geniale. Il punto è che la realtà, ancora una volta, ha superato la satira. Non serve la fantasia di Trey Parker per raccontare il surreale mondo dell’AI contemporanea: basta guardare cosa è successo con Builder.ai.

Il paradosso Builder.ai

Builder.ai doveva essere il ponte tra l’uomo comune e la sacra terra dello sviluppo software. “Non serve programmare, basta cliccare qui”, dicevano. E i fondi piovevano. Centinaia di milioni di dollari raccolti a suon di pitch evangelici, slide glossy e buzzwords messe in fila come mattoncini Lego. Microsoft ci ha creduto, e non solo loro. Investitori con l’acquolina in bocca davanti alla promessa di una nuova era post-umana.

E invece dietro quella promessa futurista c’era il solito copione vecchio come l’industria: manodopera sottopagata e una gigantesca operazione di maquillage tecnologico. Altro che “intelligenza artificiale”, era sfruttamento umano vestito da magia algoritmica. Un caso da manuale di AI-washing—il greenwashing dell’era digitale.

Il marketing come fumo negli occhi

L’idea di “democratizzare” lo sviluppo software è bella, eh. Fa venire in mente il povero ragazzo africano che lancia la sua app agricola da uno smartphone sgangherato, o la madre single americana che crea un gestionale per il suo food truck mentre allatta. Bello. Ma è pura pornografia retorica.

Builder.ai non ha costruito un algoritmo capace di creare applicazioni: ha costruito un racconto. Ha impacchettato la vecchia outsourcing indiana, l’ha infiocchettata con parole come automation, machine learning, cognitive engines, e l’ha venduta al mercato come se fosse next-gen.

Il punto è che la macchina non c’era. Il motore non era il software, era il sudore.

Gli umani nascosti nella macchina

Secondo l’inchiesta, la stragrande maggioranza del lavoro veniva svolta da sviluppatori in carne, ossa e tastiere logore. Non AI generativa, non sistemi auto-programmanti. Umani. Programmatori spinti fino allo stremo, malpagati e compressi in un workflow disumano per rispettare deadline imposte da un’illusione.

Il prodotto? Spacciato come generato automaticamente. Il cliente? Convinto che bastassero pochi clic per ottenere un’app. L’investitore? Abbindolato con il miraggio di una tecnologia inesistente.

È come spacciare una catena di montaggio di Fiat Panda per una fabbrica Tesla gestita da robot. Con la differenza che, almeno alla Fiat, i lavoratori hanno un contratto.

La bolla che scricchiola

Questo caso non è isolato: è un sintomo. Il primo, evidente scricchiolio nella bolla speculativa dell’intelligenza artificiale.

Oggi il settore AI è pompato da un’isteria collettiva. Si vendono narrazioni, non tecnologie. Ogni settimana salta fuori un nuovo paper, una nuova startup, un nuovo guru che ci spiega come gli LLM “penseranno” meglio di noi, “decideranno” meglio di noi, “vivranno” per noi.

Intanto, il lavoro sporco lo fanno ancora le persone. Il codice lo scrivono ancora gli sviluppatori. E le previsioni apocalittiche (“il 50% dei lavori impiegatizi sparirà in cinque anni!”) non sono altro che marketing strategico per posizionarsi nel dibattito regolatorio.

In realtà, l’IA non sta mangiando il mondo. Sta mangiando le parole.

L’IA come trucco linguistico

L’intelligenza artificiale di oggi è poco più che un esercizio linguistico avanzato. Sì, è potente. Sì, può impressionare. Ma sul piano epistemico è un castello di carta: non ha comprensione, non ha agency, non ha coscienza. È come un pappagallo drogato di Wikipedia: parla bene, ma non sa cosa dice.

Fintanto che non affronteremo con rigore il tema dell’affidabilità, ogni discorso sull’impatto dell’IA sarà puro fumo negli occhi. Come quello di Builder.ai. Una narrazione elegante, vendibile, ma fondata sul nulla.

E a pagare il prezzo non saranno le macchine, saranno gli esseri umani nascosti dietro le quinte, ancora una volta ignorati.

Il futuro va meritato, non immaginato

Il mondo tecnologico oggi non ha bisogno di illusionisti, ma di costruttori. Gente capace di dire le cose come stanno. L’innovazione vera non ha bisogno di bugie. L’automazione reale arriverà, ma non sarà né magica né improvvisa.

E finché continueremo a credere a chi spaccia schiavitù per progresso, rimarremo spettatori di un teatro di ombre. Uno dove la “rivoluzione digitale” si regge sul lavoro di chi non vedremo mai.

E io, da imprenditore, ve lo dico chiaramente: preferisco una verità scomoda a una bugia elegante. Perché il progresso, quello vero, non si compra con una demo in PowerPoint. Si costruisce. Con sudore. E con merito.

Prompt:

Intro: avete mai visto la puntata di South Park in cui Eric Cartman fonda una start-up di intelligenza artificiale ma in realtà a svolgere il lavoro dell'IA è un gruppo di indiani schiavizzati nella sua cantina? No? Beh, in effetti non credo che esista. Sarebbe divertente, ma la realtà è andata un passo oltre.

parte 1: il caso di Builder.ai rappresenta un clamoroso paradosso. L’azienda, che si proponeva come una piattaforma rivoluzionaria per la creazione automatica di software, è finita al centro di un’inchiesta che ha svelato una realtà ben diversa: dietro l’apparente magia dell’IA, c’erano centinaia di sviluppatori indiani sottopagati.

parte 2: Fondata con l’obiettivo di democratizzare lo sviluppo software, Builder.ai ha attirato l’attenzione di investitori di alto profilo, tra cui Microsoft, raccogliendo centinaia di milioni di dollari. Il suo messaggio era chiaro: grazie all’intelligenza artificiale, chiunque poteva creare un’app in pochi clic, senza competenze tecniche. Ma la promessa si è rivelata in gran parte una costruzione di marketing.

parte 3: Secondo l’inchiesta, la maggior parte del lavoro non veniva svolta da algoritmi intelligenti, bensì da programmatori in carne e ossa, spesso costretti a turni estenuanti e pagati ben al di sotto degli standard internazionali. Questi sviluppatori operavano in condizioni difficili, con scadenze serrate e pressioni costanti, mentre il prodotto finale veniva presentato ai clienti come frutto dell’intelligenza artificiale. In pratica, Builder.ai ha mascherato il lavoro umano come output dell’IA, creando un’illusione di automazione che ha ingannato clienti e investitori. Un caso da manuale di AI-washing: l’uso improprio del termine “intelligenza artificiale” per nascondere pratiche aziendali discutibili.

parte 4: questa vicenda potrebbe essere il primo scricchiolio nella grande bolla dell'IA. Perché c'è una grandissima bolla speculativa che prima o poi esploderà, pompata dall'hype e della narrazione che circonda i modelli LLM. Una narrazione comoda, ansiogena e vendibile, che li presenta come “intelligenze nascenti” destinate a sostituire l’umano, a cancellare lavori, a rivoluzionare la società. In questo scenario nebuloso continuano a circolare dichiarazioni esagerate. Frasi come “il 50% dei lavori impiegatizi sparirà entro cinque anni” sembrano una previsione tecnica, ma sono solo uno strumento per posizionare l’azienda nel dibattito regolatorio, non a descrivere la realtà.

parte 5: L’intelligenza artificiale, oggi, è ancora un’illusione linguistica: potente, promettente, ma epistemicamente inconsistente. E finché non affronteremo seriamente il problema dell’affidabilità, ogni discorso sul suo impatto resterà sospeso nel vuoto: elegante, suggestivo, ma privo di fondamento. Proprio come Boulder.AI.

Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5. Approfondisci dove ritieni necessario.

Assumendo personalità, background e stile di scrittura di Giovanni Sarpi, descritte sopra nella chat, scrivi un Articolo; usa un tono brillante


Scopri di più da Le Argentee Teste D'Uovo

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Lascia un commento