Siamo Tutti Bellissimi, Tranne Quando Non Lo Siamo

La bellezza è una trappola. Ma anche un privilegio. Una bugia. Ma anche una verità lapalissiana, come dire che il cielo è blu o che le pubblicità dei profumi non hanno senso. La bellezza non si può ingabbiare in un solo canone, certo — e grazie al cielo, o saremmo tutti a frignare davanti allo specchio come in un monologo di Phoebe Waller-Bridge. Tuttavia, da qui a dire che “siamo tutti belli”, il passo è quello tipico della retorica zuccherina che trasforma la realtà in una favola woke in cui ogni rana è segretamente una principessa, ogni poro dilatato è una dichiarazione politica, e ogni selfie è un manifesto di autodeterminazione.

No, amore mio. Non siamo tutti belli. E fingere che lo siamo non ci rende più liberi: ci rende semplicemente più bugiardi.

Un gioco di specchi (e di onestà)

A chi sostiene che siamo tutti belli — col punto esclamativo, con le emoji del cuoricino e possibilmente accompagnato da una foto sfocata in controluce — propongo un gioco. Semplice, diretto, e vagamente crudele (come tutte le cose oneste):
immagina di poterti svegliare domattina nel corpo di un altro. Due opzioni:

  • Opzione A: Gal Gadot.
  • Opzione B: il tuo zio pelato con la forfora, ma con un bellissimo spirito interiore.

Ora, chi scegli?

Non voglio sapere la risposta, perché la so già. A meno che tu non sia Gal Gadot — in quel caso, ciao cara, scrivimi in DM — la verità è che ti cambieresti con lei in un battito di ciglia (finte, ovviamente). E ti capisco: pure io lo farei. E guarda che non ho di che lamentarmi, esteticamente parlando: ho quella combinazione genetica che definirei “appetibile nella luce giusta”, e sono perfettamente consapevole dei miei punti forti (zigomo da cinema d’essai, sorriso storto ma intrigante, collo da regina decapitata).

Eppure, so riconoscere la distanza siderale fra il mio selfie migliore e Gal Gadot che scende da un SUV con i capelli raccolti e la pelle che grida L’Oréal. Ecco: non c’è niente di sbagliato in questa constatazione. Anzi. È liberatoria. È come riconoscere che c’è chi canta meglio di noi o chi fa il risotto senza bruciarlo: l’unicorno esiste.

Inclusività sì, ma con criterio

Ora, veniamo alla parola magica: inclusività.
Che oggi funziona come la maionese vegana: la metti su tutto per non sentirti in colpa. Anche sulla bellezza.

Inclusività non significa raccontare che tutto è meraviglioso. Significa — o, meglio, dovrebbe significare — che non è necessario essere belli per essere trattati con rispetto. La nostra generazione dei “body positivity”, “gender fluidity” e “attaccatici la vanity” sembra aver dimenticato una lezione base delle nostre nonne: si chiama buona educazione. Ovvero, che non si ride della persona brutta. Non perché è segretamente bella, ma perché è cattivo e volgare.

Dobbiamo accettare, senza scadere nella brutalità, che non essere belli non è un delitto, non è un’eresia, non è nemmeno un problema. È solo una realtà. Come avere il naso importante, il mento sfuggente o l’armadio pieno di vestiti taglia 42 che non entrano più da tre governi. Non è una tragedia. È umano. Ma non c’è bisogno di infiocchettarlo con le parole da manualetto per l’autostima.

Perché in fondo, dietro a quella frase “siamo tutti belli”, si nasconde una grande paura: che se non sei bello, non vali nulla. E allora bisogna dirti che lo sei per forza, come si direbbe a un bambino con un disegno orrendo che è “davvero bravissimo”. Ma questa è una bugia a fin di bene che, nel lungo periodo, fa solo danni.

Il rispetto non si ottiene con le bugie bianche, ma con la verità detta bene. Il mondo non sarà giusto — non lo è mai stato — ma può essere più gentile. Basta smettere di mentire. E cominciare a trattare tutti con la stessa dignità, senza pretendere che siano modelli di bellezza per meritarsela.

In conclusione, cari miei: non siamo tutti belli, ma possiamo smettere di fingere che lo siamo per accettarci meglio. E in questa accettazione — sincera, scomoda, luminosa come una verità al neon — c’è molto più amore di quello nascosto dietro una story con filtro glitter.

Ora scusate, vado a cercare una foto in cui assomiglio vagamente a Monica Bellucci. Non perché sia vera, ma perché ogni tanto mentire… fa bene anche a me.

(Margherita Nanni)

Prompt:

Intro: La bellezza: non bisogna discriminare in base all'aspetto fisico, si può essere belli in tantissimi modi diversi, non esiste un canone fisso, ma sono vere due cose: il mondo dei media e dell'immagine privilegia la bellezza, e soprattutto quest'ultima esiste; sostenere che siamo tutti belli è come dire che nessuno è bello ed è, in definitiva, una grossa bugia.

parte 1: a tutti coloro che sostengono che siamo tutti belli, suggerisco un giochino: ovvero di rispondere sinceramente alla domanda "con chi ti cambieresti, fra X e Y?" con X molto bello e Y per nulla; io, che già ho la fortuna di un aspetto ritenuto piacevole, non ho problemi a constatare che Gal Gadot sia molto più bella di me, e certamente ti cambieresti molto volentieri con lei;

parte 2: concetti oggi molto dibattuti come "apertura" e "inclusività" non devono deformare la corretta visione delle realtà, ma andrebbero interpretati con ciò che le nostre notte definivano "buona educazione", cioè che è sbagliato, è una cattiveria ridere della persona brutta, senza per questo dire che è diversamente bella.

articolo: intro, parte 1, parte 2. Approfondisci dove ritieni necessario.

assumendo la personalità di Margherita Nanni, scrivi in articolo brillante, divertente, colorito, senza moralismo, ma cogliendo il fascino dell'inverosimiglianza della vicenda.


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