
Negli ultimi giorni, una parte del dibattito pubblico ha assunto toni così surreali da far sembrare plausibili persino i monologhi di certi opinionisti televisivi in cerca di gloria su TikTok. Alcuni sedicenti pacifisti — quelli che confondono la geopolitica con un corso accelerato di educazione civica per liceali svogliati — hanno sostenuto, con sorprendente leggerezza, che anche l’Iran avrebbe diritto alla sua bomba atomica.
Sì, avete capito bene. Come se la proliferazione nucleare fosse una questione di equità e non di sicurezza globale. “Perché loro sì e Teheran no?”, si chiedono con tono scandalizzato, dimenticando (forse) che il mondo non è un’aula del primo anno di Giurisprudenza, dove si può discutere astrattamente di “principio di parità”. No, qui si parla di regimi che finanziano milizie armate, reprimono le donne, impiccano dissidenti e sognano la fine di Israele con la stessa insistenza con cui certi talk show sognano un ritorno in prima serata.
L’idea che la bomba atomica possa essere concessa come premio di consolazione a un regime teocratico solo perché “è ingiusto che ce l’abbiano solo gli altri” è l’equivalente geopolitico del bambino che, non potendo avere il gelato, cerca di farlo cadere di mano all’amichetto. Ma qui non stiamo parlando di gelato. Stiamo parlando di un ordigno capace di cancellare milioni di vite in pochi secondi. Ma tranquilli, per alcuni basta citare Gandhi su Instagram e tutto si aggiusta.
IL FALSO DOGMA DELL’AUTOLIBERAZIONE
Archiviata questa perla di pensiero strategico, il nuovo mantra del progressismo da tastiera sembra essere: “I popoli oppressi devono liberarsi da soli, senza aiuti esterni!”. Una frase ad effetto, ideale per i meme motivazionali con Che Guevara e tramonti in slow motion, ma totalmente smentita dalla storia.
Basterebbe un modesto ripasso della seconda metà del Novecento per rendersi conto della follia di questa idea. L’Italia, ad esempio — sì, quel Paese che oggi si riempie la bocca di “resistenza”, “memoria”, “25 aprile” — non si è liberata da sola. Il fascismo è caduto anche grazie allo sbarco degli Alleati, che hanno rimesso piede in Europa non per farsi una passeggiata turistica sulla via Appia, ma per annientare il nazifascismo. E non solo: hanno finanziato la ricostruzione del nostro Paese, aiutato a riscrivere le istituzioni, fornito protezione militare nel bel mezzo della Guerra Fredda.
Immaginate se allora qualcuno avesse detto: “No, grazie. Preferiamo cadere da soli, rialzarci da soli e magari rimanere sotto occupazione per qualche altro decennio, per amor di coerenza.” Il fascismo sarebbe finito? Probabilmente sì. Dopo qualche altro centinaio di migliaia di morti, decenni di isolamento e un’eventuale guerra civile in stile siriano. Ma ehi, volete mettere la coerenza?
ANTIFASCISMO A CORRENTE ALTERNATA
Il punto è che oggi molti di quelli che si proclamano “antifascisti” a tempo pieno — con tanto di bio militante, bandierina e citazione di Calamandrei — sono gli stessi che, di fronte a regimi autoritari contemporanei, invocano la neutralità. Come se la libertà fosse un privilegio storico, e non un bene da difendere ogni giorno.
Si dimentica (volutamente?) che innumerevoli rivoluzioni democratiche sono riuscite non grazie alla sola forza interna, ma anche — e spesso soprattutto — grazie al sostegno internazionale. Dalla caduta di Milosevic all’Ucraina post-Maidan, dalla resistenza kurda all’apartheid in Sudafrica, il supporto esterno ha fatto la differenza. E sì, anche quando era scomodo, imperfetto, ambivalente.
Chi oggi teme “quello che potrebbe venire dopo” un regime totalitario, al punto da giustificare l’inazione, dovrebbe farsi una domanda molto semplice: se questo principio fosse stato applicato nel 1943, dove saremmo oggi?
La risposta è semplice e brutale: ce la saremmo tenuta, quella dittatura. Con i suoi manganelli, il culto del capo, l’olio di ricino e magari una bomba in più, se fosse toccato anche a noi il ragionamento “equilibrato” sull’equità nucleare.
L’IDEOLOGIA NON È UNA SCUSA
La verità è che buona parte del pacifismo contemporaneo ha smarrito il contatto con la realtà. Si traveste da idealismo, ma spesso è solo una forma aggiornata di cinismo, mascherata da superiorità morale. Ha paura di schierarsi, di sporcarsi le mani, di affrontare il fatto che esistano regimi talmente oppressivi che l’unica scelta giusta è fermarli, anche con la forza.
Ma la libertà, come insegna la storia, non si conquista mai con i like. E la neutralità, quando ci sono vittime e carnefici, non è saggezza: è complicità travestita da prudenza.
Nel dubbio, la prossima volta che qualcuno vi dice che “anche l’Iran ha diritto alla bomba”, chiedetegli se sarebbe favorevole a distribuire pistole nei manicomi per garantire parità d’armamento. Poi, magari, ripartiamo da lì.
(Serena Russo)
Prompt:
Intro: Negli ultimi giorni, una parte del dibattito pubblico ha assunto toni surreali. Alcuni sedicenti pacifisti hanno sostenuto, con sorprendente leggerezza, che anche l’Iran avrebbe diritto alla sua bomba atomica, come se la proliferazione nucleare fosse una questione di equità e non di sicurezza globale.
parte 2: Archiviata questa discutibile argomentazione, il nuovo mantra sembra essere: “I popoli oppressi devono liberarsi da soli, senza aiuti esterni!”. Un’affermazione che, se presa alla lettera, ignora completamente la lezione della storia. Basterebbe ricordare che l’Italia, per liberarsi dal giogo fascista, ha ricevuto un aiuto esterno decisivo. Gli Alleati non solo hanno contribuito in modo determinante alla sconfitta del nazifascismo, ma hanno anche sostenuto la ricostruzione democratica del Paese. E nessuno, all’epoca, si è sognato di rifiutare quell’aiuto.
parte 3: È curioso come chi oggi si proclama antifascista sia spesso il primo a invocare la neutralità quando si tratta di regimi autoritari contemporanei. Si tende a dimenticare che la libertà, in molti casi, è stata conquistata anche grazie al sostegno internazionale. E che temere ciò che potrebbe venire “dopo” un regime tirannico non può mai giustificare l’inazione. Altrimenti, per lo stesso principio, avremmo dovuto tenerci Mussolini.
Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3; approfondisci dove ritieni necessario.
Assumendo la personalità e lo stile di scrittura di Serena Russo, scrivi un articolo tagliente e brillante, con sarcasmo.
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