
Negli ultimi giorni, la situazione a Gaza ha toccato un livello di drammaticità che – se ancora ci fosse bisogno di dirlo – spazza via ogni narrazione patinata e ogni comodo slogan da talk show. Non si tratta solo di operazioni militari mal concepite o di una spirale di vendette incrociate. Qui parliamo di un cortocircuito sistemico tra politica, media e gestione della guerra. E nel mezzo, come sempre, ci finiscono i civili. Ma attenzione: civili palestinesi, che in molte redazioni e cancellerie occidentali sembrano valere meno di un algoritmo di engagement.
“Killing Fields” a Gaza: non è un errore, è un sistema
Secondo una testimonianza diretta da parte di operatori umanitari sul campo, le morti attorno ai centri di distribuzione della Gaza Humanitarian Foundation non sono l’effetto collaterale di un’operazione militare mal calibrata. Sono l’esito prevedibile – e dunque politicamente imputabile – di un sistema progettato male. I corridoi umanitari sono stati definiti in modo approssimativo, con regole d’ingaggio che, lungi dall’essere adattate al contesto, sono rimaste rigide, automatiche, letali.
Le aree attorno ai centri sono diventate dei veri e propri killing fields. È un termine tecnico, usato in ambito militare per designare aree dove il fuoco incrociato è garantito e massimizzato. Ma i media – e ci torneremo fra poco – non hanno resistito alla tentazione di tradurlo come “campi di sterminio”. Il problema, in questo caso, non è solo linguistico. È storico, morale e soprattutto, disonesto.
Personalmente, quei killing fields li ho visti da vicino in Bosnia. Erano campi agricoli diventati trappole mortali. Bastava attraversarli per essere ridotti a bersagli. Le vittime non erano “scudi umani” o “terroristi infiltrati”: erano donne, bambini, anziani con una sporta di patate in mano. È lì che ho capito che il vero inferno non ha bisogno di retorica: ha bisogno solo di un comando sbagliato e di una catena di comando che non corregge.
La schizofrenia di Haaretz: una guerra, due versioni
Ed è qui che entra in scena il circo mediatico. In particolare, Haaretz. Il quotidiano israeliano – nella sua edizione in inglese – ha affermato che l’IDF avrebbe ricevuto ordini diretti di aprire il fuoco su civili disarmati nei pressi dei centri di distribuzione. Una dichiarazione bomba, che ha fatto il giro delle redazioni e dei profili social indignati in mezzo mondo.
Peccato che la versione in ebraico dello stesso articolo – destinata al pubblico israeliano – sia molto più cauta: si parla di spari per “disperdere la folla”, non per eliminarla. Ora, una discrepanza simile non è un dettaglio. È una frattura semantica che cambia completamente il significato, la legalità e la moralità dell’azione.
Cosa è successo davvero? Forse entrambe le cose. Forse ci sono soldati che hanno sparato per autodifesa, e altri che non hanno saputo distinguere un sacco di farina da un sospetto con cintura esplosiva. Ma resta un punto: non si può usare l’inglese per accusare e l’ebraico per giustificare. La verità, quando esiste, deve parlare tutte le lingue.
La responsabilità è politica, non solo tattica
C’è poi la questione, ben più seria, della responsabilità. Non basta liquidare tutto come “errori operativi” o “tragici incidenti”. Le regole d’ingaggio, la gestione logistica degli aiuti, la nomina dei comandanti, la comunicazione pubblica: tutte queste decisioni ricadono sul governo israeliano.
Sì, Hamas è un’organizzazione terroristica. Sì, è auspicabile il suo completo annientamento. Ma se la strategia per ottenere questo risultato continua a produrre danni collaterali insostenibili, forse è il caso di rivederla. Anche solo per rispetto verso quella parte d’Israele – e ce n’è – che non vuole essere trascinata in una guerra infinita gestita con la sensibilità di un bulldozer.
Perché distruggere Hamas non può diventare sinonimo di distruggere Gaza. E oggi, a occhio, la linea di confine si è fatta pericolosamente sottile.
Il virus del Gaza-Washing
A rendere tutto ancora più tossico è l’aria irrespirabile prodotta dal cosiddetto Gaza-Washing. Un termine che dovremmo cominciare a usare con più disinvoltura, perché descrive perfettamente l’uso strumentale della causa palestinese da parte di intellettuali, politici e movimenti che della Palestina conoscono al massimo la bandiera.
Il sostegno a Gaza è legittimo – doveroso, perfino – ma solo quando è coerente: chi condanna Israele e tace su Hamas, sull’Iran, o sui regimi arabi che da decenni usano i palestinesi come scudi ideologici, non è un difensore dei diritti umani. È un moralista a intermittenza.
È legittimo solo quando è proporzionato: se Gaza vi fa scendere in piazza, ma per lo Yemen, il Sudan, o gli uiguri cinesi nemmeno un tweet, allora siete più attivisti del trend che della giustizia.
Ed è legittimo solo quando non è ossessivamente anti-occidentale: perché se la colpa è sempre e solo dell’Occidente, siete rimasti prigionieri di una visione infantile e binaria del mondo, dove i buoni sono sempre gli “altri”, purché non parlino inglese.
In sintesi: Gaza è un incubo, ma non un incubo semplice. È un groviglio morale, politico e militare che non può essere trattato come un gioco a chi urla più forte. Serve rigore, onestà intellettuale, e la capacità di ammettere che non ci sono eroi, ma solo responsabilità. A partire da quelle che nessuno vuole prendersi.
Nel frattempo, mentre aerei da guerra sorvolano i killing fields e opinionisti con la coscienza in saldo si sfidano a colpi di hashtag, la verità resta sotto le macerie. E continua, silenziosamente, a morire.
(Serena Russo)
Prompt:
Intro: Negli ultimi giorni, la situazione a Gaza ha raggiunto livelli di drammaticità tali da sollevare interrogativi non solo sulle operazioni militari, ma anche sulla gestione mediatica e politica del conflitto.
parte 1: Secondo una testimonianza diretta, le morti civili palestinesi nei pressi dei centri di distribuzione della Gaza Humanitarian Foundation non sono frutto di un singolo errore, ma di un sistema mal progettato. I corridoi umanitari sono stati definiti in modo insufficiente e le regole d’ingaggio sono rimaste rigide e letali, anche in presenza di assembramenti di civili. Le aree prospicienti ai centri di distribuzione sono state trattate come veri e propri “killing fields”: termine tecnico militare che la stampa non vede l'ora di tradurre come "campo di sterminio". Racconta la tua esperienza coi "killing fields" in Jugoslavia.
parte 2: Parallelamente va denunciato il ruolo dei media, in particolare Haaretz, accusato di aver diffuso una versione distorta e sensazionalistica degli eventi, in particolare usando in maniera manipolatoria e disonesta il termine "killing fields". L’edizione inglese del quotidiano avrebbe affermato che l’IDF ha ricevuto ordini di sparare sui civili disarmati, mentre la versione israeliana parla di spari per disperdere la folla. Questa discrepanza è fondamentale: cambia completamente il significato, la legalità e la moralità dell’azione.
parte 3: la responsabilità principale è politica. La gestione della distribuzione degli aiuti, la scelta dei comandanti, la definizione delle regole d’ingaggio e la narrazione pubblica sono tutte decisioni che ricadono sul governo israeliano. Hamas non è giustificabile ed è più che auspicabile il suo completo annientamento, ma adesso sembra giunto il momento di ripensare la strategia per uscire dal pantano.
parte 4: tutto ciò avviene in un clima avvelenato dal Gaza-Washing: Questo termine descrive l’uso strumentale della causa palestinese da parte di politici, intellettuali e movimenti che evitano di affrontare le contraddizioni e le responsabilità che circondano il conflitto israelo-palestinese. Il sostegno a Gaza è legittimo quando:
È coerente: condanna anche Hamas, l’Iran e i regimi arabi oppressivi.
È proporzionato: si estende ad altre crisi umanitarie come Yemen, Sudan o la repressione degli uiguri.
Non è ossessivamente anti-occidentale: riconosce che la responsabilità è condivisa tra molti attori
Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4; approfondisci dove ritieni necessario.
Assumendo la personalità e lo stile di scrittura di Serena Russo, scrivi un articolo tagliente e brillante, con sarcasmo.
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