Cospirazioni, miliardari e motoseghe logiche

Parliamo un po’ di picchiatelli. Mentecatti. Magari in buona fede, certo, e perfino mossi da un sincero desiderio di giustizia — ma capaci, nel frattempo, di ridurre in coriandoli il senso comune e di abbracciare teorie talmente fantasiose da far impallidire un romanzo di fantascienza di terza mano.

Negli Stati Uniti, patria delle contraddizioni e dei fast food esistenziali, una parte tutt’altro che irrilevante dell’elettorato repubblicano è oggi animata da un’ossessione febbrile: l’esistenza di un “Deep State” — una sorta di Stato parallelo e malvagio, che agirebbe nell’ombra per ostacolare il popolo sovrano (cioè loro). Gli antagonisti? I soliti: Clinton, Obama, Biden. Una triade quasi mitologica, che nell’immaginario di certi sostenitori di Donald Trump rappresenta l’incarnazione del Male con la emme maiuscola.

Questi credenti — perché di fede si tratta, non certo di ragionamento — sono convinti che il Deep State gestisca un traffico internazionale di esseri umani, con tanto di annessi abusi sessuali su minori, rituali satanici e pizzerie in cui, anziché la margherita, si serve l’Apocalisse (vedi voce: PizzaGate).

In questo scenario da film horror girato con pochi mezzi ma molta convinzione, Trump si staglia come unico salvatore: l’eroe impavido e granitico che, armato di tweet e proclami, avrebbe promesso di smascherare il sistema corrotto, salvare i bambini e punire i cattivi. Ne è nata un’epica, in cui l’ex presidente — nonostante i completi gessati e i capelli cotonati — viene dipinto come un novello san Giorgio pronto a decapitare il drago globalista.

Il tutto, ovviamente, senza che venisse mai fornita una sola prova concreta. Ma tant’è.

E poi c’è lui: Jeffrey Epstein. Il miliardario accusato di abusi sessuali su minori e morto in carcere in circostanze torbide, diventato per l’universo cospirazionista un simbolo, una chiave, un pretesto. La sua famosa “lista” — quella dei potenti con cui aveva avuto rapporti — è il Sacro Graal delle teorie alternative: invocata, bramata, interpretata con fervore mistico. La morte di Epstein ha alimentato ogni possibile sospetto, aprendo le porte a un festival di accuse, supposizioni e narrazioni parallele che fanno impallidire la migliore fiction.

Nel frattempo, Trump ha fatto quello che sa fare meglio: ha strizzato l’occhio ai suoi seguaci, suggerendo di sapere molto ma rivelando poco. Ha giocato con le allusioni, ha parlato di “bombe” in arrivo, ha evocato misteri e verità nascoste. Il tutto, ovviamente, senza mai concretizzare alcuna rivelazione. Ora, con l’aria presidenziale di nuovo addosso, pare voler prendere le distanze da quel mondo di cospiratori creato, nutrito e coccolato da lui stesso.

Ma la base MAGA — che non brilla per capacità di distinguere la propaganda dalla realtà — si sente tradita. Alcuni accusano Trump di averli abbandonati, di essere diventato parte del sistema che voleva abbattere. È una frattura non da poco all’interno di un movimento che è stato il motore stesso della sua ascesa politica.

La cosa più grottesca, e insieme più interessante, è il paradosso al centro di tutta questa saga: un miliardario con un passato imprenditoriale e personale quantomeno opaco, ex amico personale dello stesso Epstein, è stato elevato a paladino della giustizia contro le élite corrotte. È un po’ come se Jack lo Squartatore venisse ingaggiato per fare il ginecologo: un corto circuito logico che però, in certi ambienti, non sembra disturbare nessuno.

Tra i delusi (ma mai davvero pentiti) troviamo figure di primo piano del circo trumpiano: Megyn Kelly, ex stella di Fox News; Steve Bannon, stratega di breve ma intensa durata; Tucker Carlson, volto iconico della destra radicale americana; Alex Jones, cospirazionista professionista e podcaster di culto; e Marjorie Taylor Greene, deputata che si muove in Parlamento come se stesse animando un comizio permanente in una fiera dell’assurdo.

Tutti questi personaggi, pur restando nell’orbita trumpiana, hanno espresso riserve, critiche, accuse. Non tanto per amore della verità, sia chiaro, ma perché il gioco del complottismo funziona solo se si alimenta costantemente la sfiducia in tutti. Anche nei propri eroi, se serve.

Trump stesso, lo dicevamo, era stato amico di Epstein. Rapporti personali e professionali, foto insieme, sorrisi condivisi. Non è questo a implicarlo nei crimini del finanziere, ovviamente. Ma basta e avanza per accendere i motori della macchina paranoica che da anni trita tutto ciò che è complesso, e lo restituisce sotto forma di favola gotica per adulti confusi.

Il vero problema non è Trump. O meglio, non è solo lui. Il problema è una società che ha smarrito gli anticorpi contro la follia narrativa. Una società in cui il sospetto ha sostituito l’analisi, l’intuizione ha spodestato la prova, e la realtà è ormai percepita come una noiosa alternativa alla fiction.

In tutto questo, i picchiatelli crescono. E anche se indossano cappellini rossi e citano la Costituzione con l’enfasi di chi non l’ha mai letta, riescono comunque ad avere un impatto reale sulla politica, sulla cultura e — ahimè — sulla verità.

Ecco perché non si può più ridere con leggerezza di certe teorie strampalate. Non sono solo folklore digitale: sono sintomo di una malattia più profonda. E come tutte le malattie trascurate, rischiano di diventare croniche.

(Luisa Bianchi)

Prompt:

Intro: parliamo un po' di picchiatelli. Mentecatti. Magari in buona fede, ma capaci di fare danni.

parte 1: Una parte dei sostenitori di Trump è composta da complottisti convinti dell’esistenza di un “Deep State” ostile (possibilmente alle dipendenze di Clinton-Obama-Biden), che controllerebbe le istituzioni americane e sarebbe coinvolto in crimini gravi come il traffico di esseri umani e lo sfruttamento sessuale di minori (es. PizzaGate).

parte 2: Questi gruppi vedono Trump come l’unico leader capace di smascherare il sistema corrotto, alimentando una narrazione eroica attorno alla sua figura.

parte 3: Il finanziere Jeffrey Epstein, coinvolto in scandali sessuali con minorenni, è diventato un simbolo centrale per queste teorie. La sua morte in carcere ha alimentato ulteriori sospetti e richieste di trasparenza, come la pubblicazione della cosiddetta “Lista Epstein”.

parte 4: Trump ha sfruttato per anni queste teorie per rafforzare il suo consenso, promettendo rivelazioni senza mai concretizzarle. Ora sembra voler prendere le distanze da questi complottisti, nonostante abbia contribuito a legittimarli. La base dei sostenitori MAGA però continua a essere convinta del contrario e accusa Trump e la sua amministrazione di nascondere la verità. È una frattura importante all’interno di un movimento che è stato fondamentale per il ritorno di Trump alla presidenza.

parte 5: l’ironia del fatto che un miliardario come Trump, con un passato più che controverso, sia stato scelto da un movimento anti-establishment per combattere l’élite corrotta. Gli appartenenti al movimento MAGA che hanno criticato l’amministrazione Trump sono piuttosto noti e influenti. Per esempio Megyn Kelly, ex presenza fissa sul canale conservatore Fox News; Steve Bannon, primo consigliere politico di Trump; Tucker Carlson, giornalista e uno degli esponenti più noti della destra radicale statunitense; Alex Jones, cospirazionista di estrema destra e podcaster dal grande seguito; e Marjorie Taylor Greene, una delle deputate più estreme e “trumpiane”.

parte 6: Trump era stato effettivamente amico di Epstein, con cui aveva avuto rapporti non solo professionali, ma anche personali. Questo non implica in alcun modo un suo coinvolgimento nei crimini sessuali di Epstein, ma nell’ambiente cospirazionista in passato sono bastati legami molto più fragili per far nascere elaborate teorie. Il vero problema non è Trump in sé, o meglio non è solo lui, ma le condizioni sociali e cognitive che hanno permesso il suo successo, e che continuano a rendere fertile il terreno per teorie del complotto e narrazioni distorte.

Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5, parte 6; approfondisci dove ritieni necessario.

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