
“Chi sei?” “Sono contro.”
Ecco la biografia emotiva più diffusa dell’epoca digitale.
Odio dunque sono. Eccessivo? Forse. Ma neanche troppo. Perché oggi l’odio non è solo un’emozione tossica da reprimere con un po’ di yoga e infusi al finocchio: è diventato la pietra angolare su cui molti edificano la propria identità. E se non sai bene chi sei, nessun problema: scegli un nemico, attaccalo con regolarità, e il gioco è fatto.
L’identità negativa: mi definisco per esclusione
Un tempo si costruiva la propria identità con fatica: un po’ di letture, qualche crisi esistenziale, notti insonni, esperienze vissute o perlomeno fantasticate. Oggi invece non serve tutto questo. È sufficiente sapere chi si odia.
Non importa se sei per i diritti civili, contro il patriarcato, per l’autarchia alimentare o contro i monopattini elettrici: l’importante è esserci contro. L’odio prende il posto del pensiero, del dialogo, persino dell’amore, e ci consegna un’identità compatta, pronta da esibire come un badge nei commenti di un post qualunque.
È una forma di narcisismo al contrario: invece di dire “guardami quanto sono speciale”, si dice “guarda quanto disprezzo chi non lo è”.
Odio a 360 gradi
L’odio non discrimina: è una forza universalista. Ce n’è per politici, élite, influencer, poveri col cellulare e ricchi con lo yacht, giovani che non rispettano nulla e vecchi che non capiscono più niente. Anche le ideologie vengono scelte più per il gusto di avere un nemico che per convinzione reale.
Il bello — si fa per dire — è che l’odio è una risorsa inesauribile. Non finisce mai, si rigenera con ogni post, ogni tweet, ogni passaggio al bar. E ha il vantaggio di far sentire subito “giusti”. Chi odia, in fondo, si autoproclama moralmente superiore. È una scorciatoia identitaria, perfetta per chi ha perso l’orientamento ma non la voglia di giudicare.
La struttura perfetta per gli algoritmi
Ma l’odio non è solo un problema morale o politico. È anche — e soprattutto — un problema strutturale. Il suo successo non si spiega solo con le ferite personali o i fallimenti della società, ma con una perfetta compatibilità con la logica digitale.
L’odio è diretto, semplice, immediato. Non richiede approfondimenti, non contempla sfumature. È perfetto per un commento secco sotto un video, per un meme condiviso in fretta, per una story indignata.
Gli algoritmi non vogliono riflessioni, vogliono reazioni. E l’odio è la reazione per eccellenza: attiva, rumorosa, monetizzabile. Fa cliccare, fa restare connessi, fa “engagement”. E più si odia, più si è visibili.
Un tempo il pensiero complesso era un valore. Oggi è un ostacolo all’indignazione performativa.
Una coerenza che non esiste
Odiando, si elimina ogni complessità. Non si è più costretti ad accettare di avere parti in contraddizione, lati fragili, desideri che si smentiscono tra loro.
L’odio unifica, semplifica, rassicura.
Diventa una forma di autoipnosi: io sono così perché non sono come quelli là. Una versione emotiva del muro: dietro siamo tutti uguali, compatti, sicuri. Ma è una sicurezza illusoria. Una pace da recinto, che fa rima con prigione.
Altri cammini (più impervi, ma più veri)
Esistono alternative, certo. Ma richiedono una dose inaspettata di coraggio.
Accettare l’incertezza. Ammettere che a volte non si sa bene da che parte stare. Abitare l’ambiguità senza sentirsi traditori di nessuna causa. Smettere di definire se stessi in opposizione costante.
Richiede tempo, silenzio, riflessione. Anche qualche fallimento. Insomma: l’opposto di tutto ciò che la cultura della performance digitale ci insegna a desiderare. Ma è lì, in quello spazio lento e poco spettacolare, che forse possiamo cominciare a riconoscerci. Non in ciò che odiamo, ma in ciò che accettiamo di non poter controllare.
E magari anche in ciò che impariamo a non dire subito.
Perché, sia detto senza troppa enfasi, a volte il primo atto d’amore verso noi stessi è non commentare.
(Luisa Bianchi)
Prompt:
Intro: odio dunque sono. Eccessivo? Forse. Ma nella società contemporanea, l’odio è diventato un elemento centrale nella costruzione dell’identità personale.
parte 1: Oggi non è più necessario sapere chi si è, basta sapere chi si odia. L’odio diventa un modo per affermare se stessi, sostituendo il pensiero, l’amore o il dialogo.
parte 2: L’odio si rivolge a tutto e a tutti — politici, élite, poveri, ricchi, giovani, vecchi, ideologie opposte. È una risorsa inesauribile per chi cerca un’identità.
parte 3: Non è solo un problema morale o politico, ma strutturale. L’odio è semplice, diretto, compatibile con la logica dei social e degli algoritmi, che premiano l’indignazione e il conflitto.
parte 4: L’odio elimina la complessità, la contraddizione e la vulnerabilità, offrendo una falsa coerenza e una pace apparente.
parte 5: Esistono vie diverse, ma richiedono coraggio: accettare l’incertezza, abitare l’ambiguità, rinunciare all’ego.
Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5; approfondisci dove ritieni necessario.
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