
È difficile esprimere un giudizio definitivo sull’accordo recentemente raggiunto tra Stati Uniti ed Europa. Non perché manchino elementi critici — ce ne sono, eccome — ma perché alcune informazioni cruciali continuano a mancare, in particolare su settori chiave come il farmaceutico e l’agroalimentare. Settori in cui l’Italia, è bene ricordarlo, ha un ruolo strategico: il farmaceutico è il primo comparto per export verso gli USA, e l’agroalimentare rappresenta non solo valore economico, ma identità culturale.
Eppure, ancora una volta, ci tocca commentare decisioni prese in stanze chiuse, con dossier parziali e comunicati stampa ambigui. Siamo abituati. Ma non per questo rassegnati.
Un presidente americano da manuale. Di disastro
Il quadro geopolitico non aiuta. Lo dico senza giri di parole, come ho fatto altre volte: l’attuale presidente degli Stati Uniti rappresenta una sciagura. Arrogante, imprevedibile, privo di una visione coerente, e animato da quella forma di narcisismo pre-politico che riduce ogni trattativa a un episodio da reality show.
Per lui, l’equilibrio globale non è una costruzione diplomatica da manutenere con attenzione, ma una trattativa immobiliare da vincere col trucco del bluff. Il problema è che non siamo in una puntata di The Apprentice, e l’Occidente — quello vero, fatto di alleanze, valori e pesi bilanciati — non si tiene in piedi a colpi di tweet o pacche sulle spalle ai CEO.
Ma è con questa realtà che l’Europa deve fare i conti. E lo deve fare da una posizione scomoda, se non umiliante.
Il mito della “linea dura” europea
C’è chi sostiene che l’UE avrebbe dovuto rispondere colpo su colpo, adottando una linea più muscolare. Fascinoso, certo, soprattutto se si ama la retorica da “orgoglio europeo” e le locuzioni latine. Ma il realismo impone altro. L’Europa non ha leve strategiche forti: non controlla terre rare come la Cina, non ha una politica industriale unitaria, e ha scelto (sciaguratamente) di abbandonare o delegittimare il nucleare, rendendosi energeticamente dipendente da fornitori instabili o geopoliticamente ostili.
Senza energia autonoma, senza difesa comune, senza piattaforme tecnologiche proprie, con quali armi si sarebbe potuto negoziare alla pari?
L’idea che l’UE possa battere i pugni sul tavolo fa sorridere. Siamo bravi a redigere regolamenti, ma non a sostenere scontri ad armi pari. E quando ci proviamo, finiamo — come in questo caso — con un accordo scritto altrove, su cui possiamo solo firmare e sperare che l’inchiostro regga.
Vaso di coccio tra vasi d’acciaio
L’accordo di Edimburgo (che già chiamarlo “accordo” è generoso) ha prodotto un classico compromesso zoppo: riduzione dei dazi sulle automobili, aumento del 5% su numerose altre categorie, promesse di investimenti americani in energia e tecnologia… che sembrano più titoli da conferenza stampa che impegni reali. In compenso, nessuna tutela esplicita su settori vitali come il farmaceutico, che — ricordiamolo — è uno dei pochi comparti europei in cui siamo ancora competitivi.
Perché l’Europa è diventata il vaso di coccio? Perché non abbiamo mai davvero costruito un progetto politico comune. Ci siamo affidati a un’architettura tecnocratica, frammentata, lenta. E oggi paghiamo il prezzo della nostra confusione strutturale: non abbiamo un asset sicuro comune (un equivalente del Treasury Bond americano), non abbiamo una leadership unificata, e non abbiamo visione condivisa sul lungo termine.
Abbiamo, invece, una lunga lista di veti incrociati, paure identitarie e piccoli interessi nazionali. Risultato: ci si siede al tavolo già sconfitti, sperando che gli americani non affondino troppo il colpo.
Il coraggio di porre le domande vere
Ecco, tutto questo è la premessa. La vera domanda è: quando si deve trattare con diplomazia, e quando bisogna (metaforicamente) sbattere la pistola sul tavolo? Qual è il confine tra compromesso e servilismo? Perché a forza di cedere terreno in nome del realismo, si finisce per non avere più neppure lo spazio in cui porre una domanda scomoda.
La domanda delle domande però è un’altra: torneranno mai gli Stati Uniti a una forma di normalità strategica e valoriale? O dobbiamo iniziare a ragionare come una civiltà autonoma — se mai ne saremo capaci — smettendo di comportarci come una provincia decorosa dell’Impero?
Ci mancano gli statisti, non i comitati
E qui arriviamo al nodo. Il vero problema europeo oggi non è l’America. È che non abbiamo una classe dirigente all’altezza. Ci mancano gli statisti. L’unico, forse, che meriterebbe ancora quel titolo è Mario Draghi. Ma non lo si vuole: troppo scomodo, troppo serio, troppo poco incline a baciare bambini e fare il giro delle sagre.
L’Europa è divisa in tante piccole tribù che si guardano in cagnesco: Nord contro Sud, Est contro Ovest, francesi contro tedeschi, italiani contro se stessi. I gruppi di pressione — da Coldiretti a certi potentati industriali regionali — dettano legge più dei parlamenti. E i leader? Se va bene, sono onesti secondi. Ma spesso sono terze file che si occupano di sciocchezze mentre il mondo brucia.
Desiderio (forse illuso) di chiarezza
Io, lo ammetto, adorerei una figura politica — uomo o donna, poco importa — che dicesse le cose come stanno. Che parlasse con lucidità, non cercando il consenso, ma cercando di costruire un’idea. Qualcuno che avesse il coraggio di dire che non possiamo fare la transizione ecologica con le batterie cinesi e il gas algerino. Che non possiamo parlare di difesa europea finché non smettiamo di comprare aerei in ordine sparso. Che non possiamo credere nella sovranità digitale usando server Amazon.
Invece abbiamo un coro di nani e nane, impegnati in micro battaglie simboliche, mentre il nostro spazio strategico si restringe ogni giorno.
(Emma Nicheli)
Prompt:
intro: è difficile esprimere un giudizio definitivo sull’accordo recentemente raggiunto tra Europa e Stati Uniti, soprattutto in assenza di informazioni cruciali su settori chiave come il farmaceutico, primo comparto italiano per export verso gli USA.
parte 1: Ciò che è certo, però, è che l’attuale presidente americano rappresenta una sciagura. Come ho già detto più volte, è arrogante, imprevedibile e privo di una logica coerente. La sua visione della politica, ridotta a una trattativa immobiliare di basso livello, sta minando le fondamenta stesse del concetto di “Occidente”. Ma è con questa realtà che l’Europa dovrà confrontarsi nell'immediato futuro.
parte 2: C’è chi sostiene che l’UE avrebbe dovuto rispondere con la stessa durezza, adottando una linea più aggressiva. Ma questa strategia, per quanto affascinante sul piano retorico, si scontra con la realtà dei fatti: l’Europa non dispone di leve negoziali forti come la Cina (si pensi al controllo sulle terre rare), e ha scelto nel tempo una strada fatta di dipendenza energetica (rinunciando al nucleare) e scarsa innovazione.
parte 3: In questo scenario, qualsiasi tentativo di rappresaglia avrebbe probabilmente danneggiato più l’Europa che gli Stati Uniti. I mercati finanziari europei sono frammentati, manca un asset sicuro comune, e l’assenza di una governance efficace rende l’UE il “vaso di coccio” tra le potenze globali. L’accordo raggiunto in Scozia, pur pessimo, potrebbe essere stato il miglior compromesso possibile. Ma per valutarlo appieno sarà necessario attendere chiarimenti su settori strategici come il farmaceutico e l’agroalimentare.
parte 4: Nel frattempo, si registrano alcuni effetti immediati: una riduzione dei dazi sulle automobili e un aumento del 5% su molti altri beni. Le promesse di investimenti miliardari e acquisti energetici da parte degli USA appaiono più come strumenti di propaganda che come impegni concreti, soprattutto considerando la dipendenza energetica europea e il rifiuto del nucleare.
parte 5: ecco, tutto questo era la premessa. La vera domanda è: quando bisogna saggiamente trattare e quando si deve invece trattare sbattendo (metaforicamente) la pistola sul tavolo? Dove inizia il compromesso e dove il servilismo, la progressiva riduzione degli spazi, fino ad essere confinati in una prigione? Torneranno gli Stati Uniti alla normalità? Dobbiamo avvero porci questi problemi.
parte 6: Il problema è che non abbiamo statisti in giro. L'unico, forse, è Draghi. Ma nessuno lo vuole. L'Europa è divisa in tante piccole tribù che si guardano con ostilità. Siamo ostaggio dei vari Coldiretti, dei vari gruppi di pressione e gestiti da gente che sarebbe, se va bene, etichettata come seconda fila. Io adorerei un politico/a che dicesse le cose come stanno. Purtroppo abbiamo tanti nani e nane che si occupano di scemenze.
articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5, parte 6; approfondisci dove necessario.
Assumendo la personalità di Emma Nicheli, scrivi un articolo approfondito, con tono serio ma gradevole, non privo di una certa ironia.
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