
Ogni tanto, sui social o nei talk show, arriva qualcuno con aria indignata a spiegarci perché il capitalismo ha fallito. Non sulla base di un’analisi economica solida, di un confronto tra modelli istituzionali, o di uno studio sui dati di produttività e diseguaglianza. No. Il punto di partenza è spesso qualcosa di molto più popolare: Leo Messi ha comprato un orologio da 800.000 euro.
Ecco la prova — secondo costoro — che il sistema è marcio. Che viviamo in una distopia in cui i ricchi bruciano denaro mentre i poveri faticano ad arrivare a fine mese. Un commentatore professionista come Saverio Tommasi, con la consueta indignazione ben pettinata, non ha perso l’occasione per deplorare l’eccesso, aggiungendo che “non si può comprare ciò che si vuole solo perché si hanno i soldi”.
Ora, fermiamoci un secondo. Non per giustificare l’acquisto — che, a mio gusto, è più kitsch che colpevole — ma per affrontare il tema da adulti.
“Non si può comprare ciò che si vuole coi propri soldi”? E perché no?
Questa affermazione, per quanto travestita da moralità, è puro populismo. È l’idea — vecchia quanto il pauperismo medievale — che la ricchezza sia immorale in sé, e che l’uso libero del denaro privato debba essere subordinato a un criterio etico collettivo stabilito da… chi, esattamente?
La libertà economica è parte integrante della libertà individuale. Certo, può essere esercitata con gusto o senza, con generosità o con ostentazione, ma resta un diritto. E difendere il diritto di Messi di comprare un orologio ridicolo non significa idolatrare il lusso: significa proteggere l’architettura della libertà economica che — con tutti i suoi limiti — è ciò che consente anche a un piccolo imprenditore, a un insegnante, o a un professionista di costruirsi un futuro dignitoso.
Purtroppo, troppa politica — sia a sinistra che a destra — è ancora prigioniera di una visione economicamente analfabeta, in cui il “ricco” è sempre colpevole e il “povero” sempre innocente. Una visione che ignora le dinamiche della produzione di valore e vive di slogan scollegati dalla realtà.
La ricchezza si crea. Non si redistribuisce per magia
Uno dei miti più tossici, eredità posticcia di un marxismo mai veramente metabolizzato, è l’idea che ci sia una quantità fissa di ricchezza nel mondo, e che per ogni orologio da 800.000 euro ci debba essere, da qualche parte, un bambino a cui sono stati tolti i pannolini.
Spiace, ma non funziona così.
La ricchezza si crea attraverso innovazione, impresa, concorrenza, istituzioni solide e capitale umano. Pensare che tassando i “super-ricchi” si risolva la povertà è come credere che svuotando la vasca da bagno si riempia la piscina comunale. È una scorciatoia emotiva, ma anche una pericolosa illusione politica.
Redistribuire senza produrre nuova ricchezza non porta a maggiore equità, ma a stagnazione. La vera sfida è rendere possibile a più persone di entrare nei meccanismi della produzione del valore — non semplicemente far loro da spettatori arrabbiati.
I paesi più prosperi? Quelli più capitalisti
Chi ama il refrain “il capitalismo ha fallito” dovrebbe spiegare perché i Paesi in cui si vive meglio, si guadagna di più e si è più liberi sono anche quelli con le economie di mercato più avanzate. Penso alla Danimarca, alla Svizzera, a Singapore. Sistemi diversi, certo, ma accomunati da una combinazione virtuosa: libero mercato, welfare intelligente, istituzioni trasparenti e cultura della responsabilità.
Non sono utopie. Sono risultati concreti di un sistema che — pur imperfetto — si è dimostrato superiore a ogni sua alternativa. Certo, il capitalismo va regolato, corretto, aggiornato. Ma affermare che “ha fallito” sulla base delle abitudini di consumo di un calciatore è un argomento che non reggerebbe nemmeno in un primo anno di economia politica.
Questa non è una difesa dei ricchi. È una difesa dei poveri
Sembra un paradosso, ma è così. Difendere la razionalità del mercato, la libertà di iniziativa e il principio di proprietà privata non significa coccolare chi ha già molto. Significa proteggere le possibilità di chi ha ancora poco.
Il populismo redistributivo, che promette soluzioni semplici a problemi complessi, è un tradimento delle classi meno abbienti. Perché le condanna a dipendere dallo Stato, a rincorrere sussidi invece di costruire competenze, e a restare fuori dal gioco dove si produce vera crescita.
Il capitalismo ha mille difetti. Ha creato disuguaglianze, ha alimentato bolle speculative, ha lasciato indietro intere fasce della popolazione. Ma ha anche portato — per la prima volta nella storia umana — a un mondo in cui miliardi di persone vivono più a lungo, meglio e con più diritti. Questo non va dimenticato. E non va ridicolizzato ogni volta che un VIP fa una scelta discutibile.
Il capitalismo non ha bisogno di essere santificato. Ma merita, almeno, di essere capito prima di essere condannato. Perché l’orologio di Messi passerà di moda. Ma la povertà, se smettiamo di ragionare, rischia di restare.
(Emma Nicheli)
Prompt:
intro: ogni tanto arriva quello che vi spiega perché il capitalismo ha fallito. Ma non sull abase di un complesso lavoro di studio e analisi: sulla base di un fatto di cronaca insignificante, tipo Leo Messi che compra un orologio da 800.000 euro: non è un crimine contro l’umanità, è solo cattivo gusto. Usarlo come prova del fallimento del capitalismo è ridicolo. Saverio tommasi naturalmente non è d'accordo.
parte 1: “Non si può comprare ciò che si vuole coi propri soldi” Questa affermazione è populismo puro. Una visione moralista e paternalista che ignora la libertà individuale. Troppa politica, sia a sinistra che a destra, è prigioniera di un’ideologia anticapitalista ignorante e superficiale.
parte 2: Pensare che la ricchezza sia una costante e che i ricchi rubino ai poveri è marxismo mal digerito sotto steroidi. La ricchezza si crea, non si redistribuisce per magia. Tassare i ricchi senza creare nuova ricchezza è una scorciatoia illusoria. La prosperità nasce da innovazione, concorrenza, istituzioni trasparenti e investimenti.
parte 3: I paesi più prosperi del mondo (Danimarca, Svizzera, Singapore) sono anche quelli con più capitalismo. Spiace, ma è così.
parte 4: la mia non è una difesa dei ricchi È una difesa dei poveri, che vengono danneggiati da chi propone soluzioni semplicistiche e inefficaci con le migliori intenzioni. Il capitalismo ha mille difetti, ma ha portato più benessere, diritti e libertà di qualsiasi altro sistema. Non serve distruggerlo, serve capirlo e migliorarlo.
articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4; approfondisci dove necessario.
Assumendo la personalità di Emma Nicheli, scrivi un articolo approfondito, con tono serio ma gradevole, non privo di una certa ironia.
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