Memoria corta e semplificazioni da salotto

La scorsa settimana si è assistito a uno dei dibattiti più superficiali e inconcludenti degli ultimi tempi, scaturito da una frase di Paolo Mieli: “I terroristi rossi erano comunisti, i terroristi neri erano fascisti.” Una constatazione talmente ovvia da risultare quasi irritante nella sua ripetizione, come se servisse davvero ribadirla in prima serata. È la logica del talk show: ridurre la complessità a slogan da 280 caratteri, perfetti per fare il giro dei social e alimentare un paio di risse verbali da bar.

Ma la realtà storica del terrorismo in Italia è ben più articolata di così. Nella destra “istituzionale” non mancavano figure colluse con ambienti eversivi, legate a progetti golpisti o a trame nere che avevano come obiettivo destabilizzare il Paese per rifondarlo in chiave autoritaria. Allo stesso tempo, i primi brigatisti rossi non erano tutti figli di Marx e della rivoluzione bolscevica: molti venivano da ambienti cattolici, cresciuti nel mito resistenziale, nutriti da un’educazione che mescolava vangelo e fucile.

Ci sono stati terroristi neri che hanno agito contro il Movimento Sociale Italiano, accusato di essere troppo tiepido o compromesso con il sistema. E terroristi rossi che hanno colpito sindacalisti, colpevoli di riformismo, di trattare con il “padrone”. Gli anni di piombo non furono una partita a scacchi tra fascisti e comunisti: furono una guerra sporca, intrisa di contraddizioni, in cui le categorie ideologiche tradizionali si frantumavano alla prova della realtà.

Quella stagione di violenza politica, a destra come a sinistra, ha lasciato cicatrici profonde. Ha favorito l’espansione del potere giudiziario, legittimando l’uso di strumenti eccezionali che hanno trasformato lo Stato in una macchina repressiva, pronta a sospendere garanzie fondamentali in nome dell’emergenza. È in quegli anni che si sono gettate le basi culturali e politiche di Tangentopoli e, più tardi, del populismo contemporaneo: il magistrato come eroe nazionale, la piazza come tribunale, l’opinione pubblica come ghigliottina.

Lo Stato, incapace di rispondere al terrorismo con la forza del diritto, ha scelto la scorciatoia: derogare al diritto stesso. Una scelta che ha avuto conseguenze devastanti sul nostro assetto democratico, lasciandoci un’eredità di sfiducia nelle istituzioni e un’ossessione per l’“uomo forte” o il “giudice salvifico” a seconda delle stagioni.

E qui veniamo al nodo culturale. La cultura giuridica italiana resta intrisa di un’impostazione inquisitoriale, cattolica, gesuitica, malamente adattata ai tempi moderni. Un sistema che premia il sospetto più della prova, la confessione più della difesa, l’interpretazione più del fatto. Non è un lascito neutro: è il risultato di secoli in cui il potere temporale e quello spirituale hanno camminato mano nella mano, controllando non solo il corpo del cittadino, ma la sua coscienza.

Se invece di rinfocolare lo scontro sterile tra nostalgici degli opposti estremismi ci interrogassimo sulle responsabilità istituzionali e culturali che hanno permesso la degenerazione della violenza politica, forse avremmo una possibilità di crescere come democrazia. Continuare a semplificare quella stagione, riducendola a una contrapposizione tra “rossi” e “neri”, significa non voler vedere le complicità, le ambiguità, le zone grigie in cui si annidava il vero veleno.

La memoria non si costruisce con frasi fatte o nostalgie tossiche, ma con l’analisi impietosa del passato. E finché questo Paese non avrà il coraggio di guardare in faccia la propria storia, continuerà a restare prigioniero di una democrazia incompiuta, sempre a un passo dal ripetere gli stessi errori.

(Roberto De Santis)

Prompt:

intro: La scorsa settimana si è assistito a uno dei dibattiti più superficiali e inconcludenti degli ultimi tempi, scaturito da una frase di Paolo Mieli: “I terroristi rossi erano comunisti, i terroristi neri erano fascisti.” Una constatazione talmente ovvia da risultare quasi irritante nella sua ripetizione.

parte 1: La realtà storica del terrorismo in Italia è ben più articolata. Nella destra “istituzionale” vi erano figure colluse con ambienti eversivi, con mire golpiste. Allo stesso tempo, tra i primi brigatisti rossi si trovavano individui cresciuti nel mito della Resistenza, anche se molti provenivano da ambienti cattolici. Ci sono stati terroristi neri che hanno agito contro il Movimento Sociale Italiano e terroristi rossi che hanno colpito sindacalisti. La semplificazione ideologica non rende giustizia alla complessità di quegli anni.

parte 2: La stagione della violenza politica, sia di destra che di sinistra, ha avuto conseguenze profonde: ha favorito l’espansione del potere giudiziario e ha contribuito alla trasformazione dello Stato in una macchina repressiva. Le radici di Tangentopoli e del populismo contemporaneo affondano proprio in quell’epoca, segnata dall’incapacità dello Stato di rispondere al terrorismo con la forza del diritto.

parte 3: la cultura giuridica italiana è ancora intrisa di un’impostazione inquisitoriale, cattolica e gesuitica, malamente adattata ai tempi moderni. È su questo che bisognerebbe riflettere.

parte 4: Invece di alimentare lo scontro tra nostalgici degli opposti estremismi, sarebbe più utile interrogarsi sulle responsabilità istituzionali e culturali che hanno permesso il degenerare della violenza politica. Solo così si può costruire una memoria condivisa e una democrazia più matura.

articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4. Approfondisci dove ritieni necessario.

Assumendo personalità e stile di scrittura di Roberto De Santis, scrivi un articolo; usa un tono brillante e polemico.


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