Lotta Continua, le donne e la rivoluzione che non fu

Negli anni ’70, Lotta Continua era una delle organizzazioni più rumorose e irrequiete della sinistra extraparlamentare italiana. Nata nel 1969 dalle ceneri del Sessantotto, raccoglieva studenti, operai, intellettuali e una buona dose di spirito barricadero. Tra il 1969 e il 1972, molte militanti donne parteciparono con passione alle lotte nelle fabbriche, nei quartieri, nelle piazze. Portavano avanti assemblee, volantinaggi, picchetti. Insomma: c’erano, eccome se c’erano. Eppure, in quello che voleva essere il laboratorio della rivoluzione proletaria, le donne finirono ancora una volta a sparecchiare dopo la cena.

Maschi alfa in riunione, donne alla macchina da scrivere

La contraddizione era evidente. Da un lato, Lotta Continua parlava di abbattere ogni forma di oppressione. Dall’altro, dentro l’organizzazione si riproduceva esattamente quel sistema di gerarchie maschili che si diceva di voler distruggere. Leader uomini, spesso carismatici e pronti a infiammare le platee, dominavano le interminabili riunioni. Alle donne rimanevano le mansioni “di servizio”: dattilografe, organizzatrici logistiche, distributrici di volantini. In pratica, l’ala casalinga della rivoluzione.

Il dogma era semplice: la liberazione delle donne sarebbe arrivata automaticamente con la rivoluzione proletaria. Il che suonava un po’ come dire: “Stai buona, cara, che poi quando vinciamo noi, ti liberiamo anche te”.

Quando le donne alzarono la voce

Nel frattempo, in Italia stavano nascendo i primi gruppi femministi autonomi. Tra il 1970 e il 1971, le donne iniziarono a portare avanti battaglie “scandalose” per l’epoca: aborto, sessualità, violenza domestica. Argomenti che, per i compagni di Lotta Continua, puzzavano di “piccolo-borghese”.

Le militanti provavano a introdurre questi temi nell’organizzazione, ma venivano accolte con paternalismo, resistenza o, peggio, con l’accusa di dividere la classe operaia. Dentro quella piccola e limitata ottica rivoluzionaria, l’individuale non esisteva. Se denunciavi il sessismo interno, eri tu la colpevole, non chi ti trattava da segretaria.

Il congresso di Rimini: quando scese il sipario

Il momento simbolico arrivò durante il congresso di Rimini. Un gruppo di donne salì sul palco e denunciò pubblicamente il maschilismo strutturale di Lotta Continua. Poi, senza girarsi indietro, abbandonò la sala. Fu un gesto teatrale, forte, definitivo.

Quel gesto segnò di fatto la fine di Lotta Continua. Molte di quelle militanti confluirono nel movimento femminista autonomo, che in poco tempo avrebbe cambiato l’agenda politica italiana più di quanto la sinistra extraparlamentare fosse mai riuscita a fare. Lotta Continua, invece, privata di un pezzo fondamentale della sua base, si dissolse poco dopo, lasciando più rimpianti che risultati.

Una lezione che brucia ancora

Quella storia ci ricorda che nessuna rivoluzione è possibile lasciando indietro metà della popolazione. LC era convinta che la lotta di classe bastasse a spiegare tutto, ma furono proprio le donne a far saltare il banco. Non accettarono di aspettare il “dopo la rivoluzione” per essere considerate soggetti politici. Una sconfitta per Lotta Continua (e qui ammetto di non piangere), ma una vittoria netta per il femminismo.

Dal femminismo concreto agli slogan di oggi

E arriviamo all’oggi. L’attività delle donne di allora mi pare enormemente più concreta e sana del velleitarismo pronominale che imperversa oggi. Forse perché, in cinquant’anni, tante cose sono migliorate davvero: divorzio, aborto, diritti sul lavoro, rappresentanza politica. Forse perché ormai sono anch’io un po’ vecchia, e l’età porta impazienza per le mode linguistiche.

Ma non riesco proprio a entusiasmarmi per un femminismo che sembra più concentrato a combattere contro il “Patriarcato” come se fosse un mostro di cartapesta, invincibile e grottesco al tempo stesso, piuttosto che a sporcarsi le mani nella realtà. Quelle donne degli anni ’70, con i loro limiti e le loro contraddizioni, seppero mettere in crisi un’intera organizzazione politica maschilista. E lo fecero senza hashtag, senza slogan preconfezionati, senza il culto dell’ego digitale.

Forse è nostalgia, forse è pragmatismo: ma a me, quel femminismo che nasceva dalle fabbriche e dalle piazze sembra ancora più rivoluzionario di tante battaglie odierne che rischiano di perdersi in un lessico da seminario universitario.

E se oggi possiamo permetterci di litigare sui pronomi, è perché qualcuna, allora, ebbe il coraggio di alzarsi dal tavolo e dire: “Così non va”.

(Luisa Bianchi)

Prompt:

Intro: Negli anni '70, Lotta Continua era una delle organizzazioni più attive della sinistra extraparlamentare italiana. Tra il 1969 e il 1972, molte militanti donne partecipavano con passione alle lotte nelle fabbriche, nei quartieri e nelle piazze.

parte 1: Nonostante la retorica rivoluzionaria, LC riproduceva gerarchie patriarcali: Leader carismatici uomini dominavano le riunioni interminabili. Le donne erano relegate a ruoli subalterni (dattilografe, organizzazione logistica, diffusione volantini). LC sosteneva che la liberazione delle donne sarebbe arrivata automaticamente con la rivoluzione proletaria, rifiutando l’idea che l’oppressione femminile fosse un problema autonomo.

parte 2: Tra il 1970 e il 1971, in Italia nacquero gruppi femministi autonomi che portarono avanti battaglie su aborto, sessualità e violenza domestica. Le militanti di LC cercarono di introdurre questi temi nell’organizzazione, ma la risposta fu paternalismo, resistenza o marginalizzazione. Quando le donne denunciavano il sessismo interno, venivano accusate di: "Dividere la classe operaia" ed Essere "piccolo-borghesi".

parte 3: L’episodio più simbolico avvenne durante il congresso di Rimini. Un gruppo di donne salì sul palco, denunciò pubblicamente il maschilismo strutturale di LC e abbandonò la sala. Quel gesto segnò la fine di Lotta Continua. Molte militanti confluirono nel movimento femminista autonomo, mentre l’organizzazione, privata di un pezzo fondamentale della sua base, si dissolse poco dopo.

parte 4: Quella storia dimostra che nessuna rivoluzione è possibile senza metà della popolazione – e che il femminismo vero non accetta di essere messo in secondo piano. LC credeva che la lotta di classe bastasse, ma furono proprio le donne a far saltare il banco, mostrando che la parità non può essere rinviata a dopo la "rivoluzione". Una sconfitta per Lotta Continua (deo gratias), ma una vittoria per il femminismo.

parte 5: e oggi? L'attività delle donne di allora mi pare enormemente più concreta e sana del velleitarismo pronominale odierno. Sarà perché di fatto tante cose da allora sono talmente migliorate che ci resta giusto da litigare sui pronomi (lo che non è vero, è un'iperbole), sarà che ormai sono vecchia pure io, ma proprio non riesco a condividere niente del femminismo contemporaneo. E vi spiego come mai, facendo un confronto con il femminismo tribale e violento di oggi che ha trasformato il vecchio maschilismo in un nemico grottesco e apparentemente invincibile: il Patriarcato.

Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5; approfondisci dove ritieni necessario.

Assumendo personalità, background e stile di scrittura di Luisa Bianchi, scrivi un approfondito articolo come se fossi lei. Usa il suo tono ironico e leggero, col giusto umorismo.


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