
C’è un momento, in ogni dibattito a sinistra, in cui la retorica si schianta contro la realtà. È quando, dopo l’ennesima denuncia del “sistema”, arriva la domanda inevitabile: «E allora? Cosa proponete?». Ieri, ascoltando Luciana Castellina – lucidissima a 96 anni – quel momento è arrivato. Alla provocazione del figlio Pietro Reichlin, “cosa mettiamo al posto del capitalismo?”, la risposta è stata un balbettio: Gramsci, Rosa Luxemburg, assemblee deliberative.
Disarmante. Non per cattiva fede, ma perché svela la miseria del pensiero politico della sinistra radicale: rifugiarsi nell’album dei ricordi, citare qualche santino ideologico e poi scrollare le spalle. È la “piattaforma Speranza”: un “riproviamoci” senza programma, un “basta volere” che si ferma alla suggestione.
Il richiamo ai valori, va bene: libertà ed eguaglianza insieme, come ricordava Bobbio. Ma i valori non bastano. Tirare fuori Rosa Luxemburg a 2025 suona come la musica di un grammofono rotto: suggestiva, ma inutile. Gramsci, ormai, è ridotto a una reliquia da comizio, mentre la sua lezione – l’analisi spietata della società del proprio tempo – è dimenticata. Oggi la sinistra non studia: non studia la finanziarizzazione estrema, l’economia digitale, le catene globali del valore, l’impatto delle tecnologie sul lavoro. Preferisce rifugiarsi nel comfort del “passato glorioso”, come se evocare vecchi nomi potesse risolvere i problemi del presente.
Facciamo un esperimento mentale. L’estrema sinistra vince le elezioni con il 50%+1. Il giorno dopo, che succede? Nazionalizzazioni di massa? Uscita dal capitalismo con decreto ministeriale? O il solito riformismo vago, buono per un convegno ma non per un consiglio dei ministri? La verità è che non c’è un’idea di transizione, non c’è un modello alternativo, non c’è un pensiero strategico.
Ho ancora in mente quel militante entrato nel mio studio, davanti a un libro intitolato Riforma del capitalismo. «Il capitalismo va distrutto», sentenziò. Già, distrutto. Ma come? Con quali strumenti, in quale contesto, con quale forza sociale? Silenzio. È questa la profondità della nuova sinistra? Una battuta da assemblea universitaria?
La verità è che la sinistra radicale ha perso il senso della realtà. Continua a lanciare slogan come molotov di carta, ma non si accorge che il mondo nel frattempo è cambiato: il potere si gioca negli algoritmi, nella logistica globale, nelle piattaforme digitali. E lì Gramsci, Luxemburg o la nostalgia operaista non bastano più.
Forse servirebbe davvero rileggere Marx, ma sul serio: non come bandiera da sventolare, ma come metodo. Perché oggi il problema non è “distruggere il capitalismo”, ma capirlo. E solo capendolo si può pensare di trasformarlo. Altrimenti non resta che la liturgia della sconfitta, ripetuta con la stessa convinzione di chi canta inni rivoluzionari davanti a un muro che non crollerà mai.
(Roberto De Santis)
Prompt:
intro: C’è un momento, in ogni intervista o dibattito a sinistra, in cui la retorica collide con la realtà. È il momento in cui, dopo la critica al sistema, qualcuno pone la domanda semplice e spiazzante: «E allora? Cosa proponete?». Ieri, ascoltando Luciana Castellina – lucidissima a 96 anni – quel momento è arrivato. Alla provocazione del figlio Pietro Reichlin, “cosa mettiamo al posto del capitalismo?”, la risposta è stata un balbettio: Gramsci, Rosa Luxemburg, assemblee deliberative.
parte 1: Disarmante. Non per malafede, ma perché svela il vuoto di pensiero che si nasconde dietro il comfort della nostalgia. È la “piattaforma Speranza”: una vaga aspirazione a “riprovarci”, senza la più pallida idea di come, cosa e quando. Un sentimento buono, forse, ma un’illusione pericolosa. Il problema non sono i valori. Su quello, il richiamo della Castellina a coniugare libertà ed eguaglianza – ereditato da Norberto Bobbio – è più che condivisibile. Il problema è il metodo.
parte 2: Tirare in ballo Rosa Luxemburg è mera retorica. Qual è, oggi, la sua proposta politica concretamente applicabile? Gramsci è un monumento del pensiero, ma il suo uso come talismano è sterile. La verità è che una parte consistente della sinistra ha smesso di fare la cosa più marxiana in assoluto: studiare.
parte 3: Facciamo un esperimento mentale. Immaginiamo una vittoria elettorale dell’estrema sinistra, 50%+1. Il giorno dopo, al governo, con quale programma concreto si presenta? Si dichiara l’uscita unilaterale dal sistema capitalistico? Si annuncia un ritorno a un modello di socialismo reale che ha già fallito? Si propone un infinito riformismo? L’assenza di una risposta credibile è il sintomo di una malattia mortale.
parte 4: Una volta, un militante della sinistra più ortodossa entrò nel mio studio. Vide un libro intitolato “Riforma del capitalismo” e, con tono pedagogico e assertivo, sentenziò: «Il capitalismo va distrutto». È questa la profondità analitica? La distruzione come programma? È un infantilismo che non serve a nulla, se non a coltivare la purezza ideologica di piccoli circoli settari.
parte 5: Forse, invece di citare Gramsci, sarebbe il caso di rileggere Bobbio. O lo stesso Marx, quello vero. Perché il compito oggi non è sognare la distruzione o evocare fantasmi, ma capire. Capire le nuove forme di sfruttamento, di produzione, di consenso. Capire per trasformare. L’alternativa è restare nel regno delle buone illusioni, mentre il mondo cambia senza chiedere il permesso.
articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5. Approfondisci dove ritieni necessario.
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