Meglio i neocon? La domanda che non ti aspetti (ma che qualcuno deve pur fare)

Sono brutti tempi, lo sappiamo. Guerra, anzi guerre: in Ucraina (novità fresca di repertorio) e in Medio Oriente (vecchio tormentone che non passa mai di moda). Intelligenze artificiali che ci vogliono sostituire pure nella fila alla posta, infodemia che fa sembrare il web un enorme mercato rionale, populismo spicciolo, immigrazione, Russia, Cina, e chissà cosa dimentico. Insomma: quello che parlava di “fine della storia” dopo il crollo dell’URSS probabilmente oggi si è nascosto in un termitaio, chiedendo agli insetti se hanno posto. Eppure, se guardo indietro – non al Rinascimento o al Congresso di Vienna, ma anche solo a vent’anni fa – rimpiango una cosa semplice: la certezza dei ruoli e delle alleanze. Oggi non sappiamo nemmeno chi sia il cattivo nei film di Hollywood, figuriamoci nello scacchiere internazionale.

L’era neoconservatrice (2001-2008) fu l’apice del “muscolo made in USA”. Una generazione di falchi convinta che la democrazia si esportasse come la Coca-Cola: con forza, pubblicità e due divisioni corazzate. L’invasione dell’Iraq nel 2003 – giustificata con la favola delle armi di distruzione di massa, che manco nelle fiabe di Esopo – fu il manifesto di quel mondo. Nation-building, attacchi preventivi, e la retorica da Far West: Bush parlava di “Asse del Male” come se fosse in un film di John Wayne. Risultato? Un Medio Oriente destabilizzato peggio di una lavatrice con tre gambe, la nascita dell’ISIS, un’America vista come potenza imperialista e un discredito globale che ancora oggi brucia. Ma attenzione: dietro a quella follia c’era una visione. Distorta, manichea, ma chiara. Difendere l’Occidente, punire i nemici, proteggere gli alleati. Senza troppi giri di parole.

Con Obama (2009-2016), il pendolo passò dalla spada al fioretto. Multilateralismo, accordi come quello sul nucleare iraniano, riduzione delle truppe in Iraq e Afghanistan, uso mirato di droni per eliminare capi jihadisti invece delle grandi spedizioni militari. La sua “dottrina” era semplice: meno interventi, più diplomazia. Un pivot verso l’Asia per contenere la Cina, e il tentativo di chiudere i conti con i guai lasciati dai neocon. Tutto bello, se non fosse che quella prudenza fu letta come debolezza. La famosa “linea rossa” in Siria, minacciata e poi ignorata, fu una Waterloo di credibilità. Obama sognava un mondo governato dal soft power, ma nel frattempo Putin si infilava in Crimea e in Medio Oriente, mostrando che dove gli americani arretrano, qualcun altro avanza.

E allora eccoci alla questione spinosa. I neocon peccarono di arroganza, Obama di eccessivo idealismo. L’uno credeva che il mondo fosse argilla da plasmare con i carri armati, l’altro che bastasse il buon esempio per farlo cambiare. Ma – permettetemi un’eresia – almeno i neocon avevano il coraggio della loro visione. Difendere gli alleati significava difenderli davvero, non solo con un tweet indignato. L’Occidente era ancora un blocco, e il bastone era a portata di mano quando serviva. Obama, al contrario, aprì la porta a un disimpegno che oggi paghiamo in instabilità e smarrimento.

Per tutto questo, dico: non erano meglio i neocon? Non perché abbiano avuto ragione – Dio ce ne scampi – ma perché avevano una direzione, un’identità netta, una certezza di ruoli. Oggi, tra governi che tentennano, NATO che balbetta e alleanze liquide come un bicchiere di gin tonic, il mondo sembra un teatro senza regista. E lo spettatore – noi – non capisce se sta assistendo a una tragedia, a una farsa o a un reality show con le bombe.

E allora sì, lo so, sembra assurdo dirlo: rimpiangere i neocon. Ma in un’epoca in cui tutti parlano e nessuno decide, in cui le potenze emergenti rosicchiano spazi e l’Occidente si autoanalizza come un adolescente insicuro, persino la brutalità di Cheney e Rumsfeld appare come il male minore. Almeno loro non si nascondevano nei termitai.

(Francesco Cozzolino)

Prompt:

intro: sono brutti tempi, lo sappiamo. Guerra, anzi, guerre, in Ucraina (una novità) e in medio oriente (non è una novità), intelligenze artificiali, infodemia, populismo, immigrazione, Russia, Cina, e chissà cosa dimentico. Insomma, quello che parlava di fine della storia probabilmente si è nascosto in un termitaio. Se guardo indietro al passato, anche recente, rimpiango essenzialmente una cosa: la certezza dei ruoli e delle alleanze.

parte 1: L’era neoconservatrice (2001-2008) rappresentò l’apice dell’interventismo americano, caratterizzato dalla convinzione che gli Stati Uniti potessero – e dovessero – rimodellare il Medio Oriente con la forza. L’invasione dell’Iraq nel 2003, giustificata con la falsa narrativa delle armi di distruzione di massa, ne fu l’emblema: una strategia basata sul nation-building, attacchi preventivi e una retorica manichea (l’“Asse del Male”). Il risultato fu un disastroso aumento dell’instabilità regionale, la nascita dell’ISIS e un’America percepita come potenza imperialista. I neocon, guidati da figure come Cheney e Rumsfeld, credevano nell’esportazione della democrazia attraverso il potere militare, ma lasciarono in eredità solo caos e un profondo scetticismo verso l’interventismo.

parte 2: Con Obama (2009-2016), gli USA passarono a una fase distesa, segnata da disimpegno strategico e diplomazia. La nuova linea privilegiava il multilateralismo (accordi come quello nucleare con l’Iran), l’uso mirato di droni invece di grandi dispiegamenti militari e un pivot verso l’Asia per contenere la Cina. Obama ritirò le truppe dall’Iraq e ridusse quelle in Afghanistan, cercando di chiudere i capitoli aperti dai neocon. Tuttavia, la sua cautela fu interpretata come debolezza: la mancata reazione alla “linea rossa” in Siria e la riluttanza a impegnarsi militarmente alimentarono l’ascesa della Russia e lo scetticismo degli alleati.

parte 3: Mentre i neocon avevano peccato di arroganza, Obama peccò di eccessivo idealismo, dimostrando che il disimpegno può essere pericoloso quanto l’interventismo sfrenato. Ma permettete un'osservazione: non solo i neocon avevano una visione, pur discutibile. Avevano chiaro il ruolo di difesa degli alleati e dell'occidente, e non avevano paura di mollare la carota per il bastone, quando c'era la necessità.

parte 4: per tutto questo, dico: non erano meglio i neocon?

articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4; approfondisci dove ritieni necessario.

Assumendo l'identità di Francesco Cozzolino descritta sopra, scrivi un Articolo; usa un tono irriverente.


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8 commenti

  1. Ma è ovvio che erano meglio i neocon.Ovvio.
    (E, non in piccola misura, perché erano un eccellente heel: senza un establishment forte e che mostra i muscoli non c’è War Pigs e non c’è Refuse/Resist).
    Anche se:
    non so se in un’ucronia coi neocon ancora in giro la storia sarebbe drasticamente migliore: una buona parte dei casini con la Russia hanno le loro radici ai tempi del secondo mandato di Dubya, per dire.
    essere “meglio” di quelli venuti dopo è davvero damning with faint praise, è praticamente come dire “ci mancano i democristiani perché erano meglio dei grillini”.
    A proposito di neocon, non so se lì in Redazione sia pervenuta l’autobiografia di Condoleeza Rice.Magari provate a passarla alla redazione culturale…

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      • Che davvero sono, o dovrebbero essere, le basi per un qualsiasi tipo di ordine ed equilibrio mondiale.
        Se la dottrina nucleare è “boh, vediamo quanti like fa il nemico su Twitter e poi nel caso rispondiamo con un meme” la mutua distruzione è assicurata per davvero.
        Anzi, prima ancora, dovrebbero essere le basi di un comportamento da adulti da cui compreresti un’auto usata.
        Dai neocon comprerei un’auto usata (ma pure da Kissinger).
        Certo che erano meglio i neocon: ai neocon era chiaro il concetto di precedente.
        (P.s. Vai a capire perchè wordpress ha mutilato il mio commento sopra)

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  2. A proposito di neocon (perché in retrospettiva i neocon si identificano più fortemente con la War on Terror che con qualsiasi altra cosa), c’è un pensiero che mi rode da qualche tempo.
    Ovvero: come sia possibile che la generazione nata tra il ’75 e l’85, che aveva 15-25 anni ai tempi dell’11/09/2001, non abbia sviluppato un insormontabile astio nei confronti del terrorismo internazionale e specialmente quello islamico.
    In altre parole, mi aspetterei che la gamma di opinione fosse compresa nella forbice “zero tolleranza per queste stronzate” e “nuclearizziamo preventivamente tutto il medio oriente”.
    Invece mi sembra che siano sempre in prima linea per trovare attenuanti per lo scemo con il furgone che fa la strage al mercato di natale (“poveri oppressi dall’Occidente”), o Hamas che scende coi deltaplani, rapisce e stupra dei ragazzi che ballano (“è colpa di Isdraele!11”).
    Il dubbio si rinnova nel momento in cui (l’autoeletto) rappresentante istituzionale di tale fascia di età, Zerocalcare, spende la sua visibilità mediatica per chiedere di annullare la partita di calcio Italia-Israele (colpevole di voler riprendersi i propri ostaggi civili a qualunque costo, come è giusto che sia).
    Ma mi chiedo, negli anni 2000 si spendeva per cacciare gli sportivi americani?Bandire il wrestling? Deportare Dan Peterson?Ieri si è giocata la pallavolo Italia-Turchia, dov’erano gli striscioni?E la Cina, vogliamo parlare della Cina?
    (Risposta: no. O é antisemitismo, o é essere una testa di cazzo che ripete a pappagallo quello che sente dai fricchettoni al CSO.)

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    • E’ paradossale, come rilevi. Non si è generato astio, ma anzi, si è acuito il terzomondismo e il mea culpa. Anziché Frank Miller e gli Slayer abbiamo scelto Zerocalcare e Giancane, il che è sicuramente il peggiore dei mali. (E poi sì, l’antisemitismo, con gioia di molti, è finalmente ritornato sport olimpico).

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