
Si parla spesso della Cina come del partner affidabile, del modello di efficienza, della grande alternativa al caos globale. Ma se ti addentri tra le sue strade, tra le fabbriche e i quartieri dei lavoratori, il sorriso diplomatico sfuma rapidamente. Qui, l’efficienza ha un prezzo umano impressionante, e la libertà è un concetto flessibile.
Prigioni, dissidenti e volti nascosti
Nel cuore di Hong Kong, le celle in cui è rinchiuso Jimmy Lai sembrano fredde e sterili, ma la loro vera crudeltà è invisibile: isolamento, silenzio, attesa. Non ci sono bombe, non ci sono assalti; il controllo è totale e sottile, capace di spegnere lentamente la volontà di un uomo.
Nello Xinjiang, milioni di Uiguri lavorano nei campi di “rieducazione”. La scena è surreale: giovani donne intrecciano fili di cotone sotto il controllo costante di guardie in uniforme, mentre uomini sorvegliano macchinari industriali, stanchi ma obbligati a lavorare. Alcuni mandano messaggi segreti ai familiari, sperando che un giorno li leggano. Ogni volto racconta una storia di privazione: figli lontani dai genitori, tradizioni cancellate, religione vietata. Qui il miracolo manifatturiero cinese prende forma, ma a costo di vite spezzate.
La diplomazia del debito: il nuovo colonialismo silenzioso
In Africa, le strade appena asfaltate e i porti moderni raccontano una storia diversa: quella della diplomazia del debito cinese. A prima vista, tutto sembra progresso: scuole costruite, ospedali modernizzati, infrastrutture collegate. Ma dietro ogni contratto, dietro ogni prestito, si nasconde un legame politico che limita la sovranità dei governi locali.
Non servono eserciti o armi: la conquista avviene tra clausole e bilanci, tra interessi e tassi di prestito. Lo Stato cinese costruisce la propria influenza come un artigiano mette a punto un meccanismo: silenzioso, preciso, inevitabile.
Il “996” e l’inferno quotidiano dei giovani lavoratori
Nelle città tecnologiche di Shanghai e Shenzhen, i giovani vivono secondo il ritmo del “996”: nove ore al giorno, sei giorni alla settimana, spesso oltre. L’ufficio è il loro mondo, la scrivania un altare dove sacrificano ore di vita, amicizie, persino salute mentale.
Sindacati subordinati al Partito, contrattazione collettiva inesistente. La produzione deve correre, sempre più veloce, mentre chi non tiene il passo viene sostituito senza clamore. La Cina celebra l’efficienza, non le persone: ogni ingranaggio umano è sacrificabile, invisibile, ma fondamentale per il successo economico.
L’Occidente incantato, tra miopia e interesse
E dall’altra parte del mondo, l’Occidente applaude. Politici nostalgici, imprenditori attratti dai costi bassi, accademici affascinati dai numeri: tutti guardano grafici e summit, ignorando le vite che li producono.
La verità è chiara: il modello cinese non è un’opportunità, è una minaccia. Il secolo cinese rischia di essere quello del totalitarismo hi-tech, dove sorveglianza, lavoro coatto e controllo politico diventano regole, non eccezioni.
E il paradosso più inquietante? Tutto questo è visibile. Rapporto dopo rapporto, video e testimonianze documentano la realtà. Eppure, molti continuano a concentrarsi sulle luci di Pechino, sui numeri, sulle foto patinate: ignorano gli artigli nascosti dietro il sorriso del dragone.
Italia: la porta spalancata al Dragone
E in questo scenario globale non poteva mancare l’Italia, che quando si tratta di inchinarsi trova sempre la postura giusta. Il nostro Paese è stato il primo del G7 a firmare il memorandum sulla Belt and Road Initiative, salvo poi accorgersi tardi di essersi infilato in una trappola da manuale. Siamo un Paese che coltiva da secoli una certa propensione alla sudditanza culturale ed economica: dai tempi in cui correvamo dietro all’Impero americano con la stessa foga con cui oggi certi politici sognano pranzi di gala a Pechino.
Intimamente vulnerabile, perché fragile, indebitato, e soprattutto incapace di difendere una strategia autonoma: basta che arrivi il primo emissario cinese a parlare di “investimenti” e ci si scioglie come burro al sole. Altro che dragone: noi sembriamo felici di fare la parte del tappetino davanti alla porta della sua caverna.
(Giancarlo Salvetti)
Prompt:
intro: C’è chi continua a raccontarci la favola di una Cina “partner affidabile”, modello di efficienza, alternativa al caos addirittura all'imperialismo. Peccato che dietro quel sorriso diplomatico si nasconda il regime più sofisticato e spietato del pianeta.
parte 1: Dissidenti rinchiusi in prigioni segrete, Jimmy Lai isolato per aver difeso la libertà di stampa, milioni di Uiguri nei campi di “rieducazione” e lavoro forzato per alimentare il miracolo manifatturiero.
parte 2: diplomazia del debito: infrastrutture in Africa in cambio di risorse e controllo politico. Senza sparare un colpo, la Cina conquista pezzi di sovranità altrui.
parte 3: A casa, i giovani vivono sotto il peso del “996”: nove ore al giorno, sei giorni su sette. Sindacati legati al partito, diritti dei lavoratori inesistenti, salute mentale ignorata. Tutto per il Partito, non per le persone.
parte 4: Eppure, in Occidente, c’è chi ancora la guarda con ammirazione, come certi vetusti ex-PCI. Ciechi o corrotti? Difficile dirlo. La realtà è che il modello cinese non è un’opportunità, è una minaccia. Il secolo cinese rischia di essere il trionfo del totalitarismo hi-tech. Il bello è che niente di tutto ciò è particolarmente segreto, ormai.
parte 5: in tutto questo l'Italia, servile per natura, appare subito come l'anello debole.
Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5; approfondisci dove ritieni necessario.
Assumendo la personalità di Giancarlo Salvetti, scrivi un approfondito articolo dal tono tagliente, ironico e brillante. Rendilo vivido con esempi e un taglio immersivo e cinematografico.
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