Libertà di parola, libertà di schiaffi?

Il problema della libertà di parola e del “non si può più dire niente” ha raggiunto livelli impensabili anche solo dieci anni fa. A ogni passo la posta si è alzata, fino a toccare perfino l’omicidio. Non è più questione di bon ton linguistico: in gioco c’è la qualità della convivenza civile.

Il filo sottile tra opinione e minaccia

C’era un tempo in cui la distinzione sembrava chiara: un conto era un’opinione ruvida, persino sgradevole, un altro era un “ti vengo a prendere sotto casa” che suona tanto come un avvertimento da film di mafia. Nel primo caso, si parlava di libertà di espressione; nel secondo, di un vero incitamento alla violenza. Due campi ben separati, almeno sulla carta.

Oggi, però, la carta si è stropicciata. Il linguaggio ha perso le sue coordinate, e con esse la capacità di distinguere l’insulto dal proiettile metaforico. Quel confine che dovrebbe essere sorvegliato da leggi, etica e buon senso si è fatto poroso, e molti ci giocano dentro, come bambini che saltano dentro e fuori da una pozzanghera.

Social media, ovvero il grande frullatore

Il colpo di grazia lo hanno dato i social media. Quegli spazi che ci erano stati venduti come nuove piazze democratiche si sono trasformati in un gigantesco frullatore, dove parole e intenzioni vengono triturate e mescolate senza criterio. Dentro ci finisce di tutto: il sarcasmo intelligente, la minaccia codarda, il dibattito genuino, l’insulto gratuito. E quando la macchina gira, è difficile distinguere la crema dalla schiuma.

In assenza di codici condivisi, il linguaggio ha perso peso specifico. Una minaccia non è più percepita come tale, un insulto diventa spettacolo, la violenza verbale si trasforma in intrattenimento virale. È la logica del “se fa click, allora esiste”.

La responsabilità diffusa

Viene facile puntare il dito contro i grandi oligarchi delle piattaforme: e certo, loro hanno colpe enormi. Ma il collasso non è tutta opera loro. È stata anche la nostra passività a permettere la deriva. Abbiamo accettato che lo squadrismo digitale diventasse intrattenimento serale, come un reality show di cattivo gusto. I politici hanno fatto finta di non vedere, i pensatori più scaltri hanno monetizzato la rabbia, e il cittadino comune si è seduto sul divano a godersi il linciaggio di turno.

La responsabilità, insomma, è collettiva. Nessuno escluso.

Brioche avariate per il corpo sociale

In questa fiera del tossico abbiamo imboccato tutti la stessa strada: quella dell’eccesso. Abbiamo riempito i canali di contenuti velenosi, lanciati come brioche a un pubblico già sazio e sempre più inacidito. Il risultato è che il corpo sociale, intossicato, reagisce rigettando e odia. Non servono sofisticate analisi sociologiche: basta guardare le bacheche dei nostri conoscenti per vedere il livello di rancore quotidiano, ormai standardizzato come un caffè al bar.

Libertà e responsabilità: coppia inseparabile

Arrivati a questo punto, la questione non è più se “si può ancora dire tutto”. Si tratta di capire che cosa significhi libertà, se slegata dalla responsabilità. La libertà di parola senza il suo contrappeso diventa un’arma spuntata che ferisce a caso: non emancipa, non chiarisce, non apre il dialogo. Semplicemente, distrugge.

La vera sfida non è recuperare un dibattito democratico come se fosse un vaso caduto da rimettere insieme con la colla. È ripensare la libertà come una pratica che non può prescindere dalla responsabilità verso l’altro. Non il ritorno alla censura, ma la riscoperta del rispetto.

In fondo, la libertà senza responsabilità è un po’ come il tiramisù senza caffè: può anche piacere a qualcuno, ma ha perso la sua sostanza.

(Luisa Bianchi)

Prompt:

Intro: il problema della libertà di parola e del non si può più dire niente ha raggiunto livelli impensabili anche solo dieci anni fa. Ad ogni passo la posta si è alzata, fino all'omicidio.

parte 1: Il confine tra libertà di parola e violenza è più labile che mai. In teoria, la distinzione sta nella differenza tra un'opinione anche molto cruda e una minaccia vera e propria, che sia esplicita o velata come un avvertimento in stile mafioso. Il primo tipo di discorso andrebbe protetto per permettere un dibattito autentico, mentre il secondo è puro incitamento all'azione violenta.

parte 2: Purtroppo, questa distinzione è crollata con l'avvento dei social media. Queste piattaforme hanno disintegrato il tessuto sociale e i codici condivisi che permettevano di dare un "senso" alle parole. Gli spazi per un dialogo sano e socratico sono scomparsi, rimpiazzati da camere dell'eco dove la violenza verbale non solo viene istigata, ma anche normalizzata e pubblicizzata.

parte 3: La colpa di questo collasso è collettiva. Siamo tutti responsabili per aver permesso passivamente che i social media pubblicassero qualsiasi cosa senza alcun freno, accettando che lo squadrismo diventasse intrattenimento. Hanno fallito gli oligarchi che controllano le piattaforme, i pensatori senza scrupoli e i politici corrotti.

parte 4: Abbiamo riempito la società di contenuti tossici, come gettare brioche a chi è già sazio, e ora ci stupiamo se il corpo sociale reagisce con il rigetto e l'odio. La domanda ora è: possiamo ancora recuperare un dibattito democratico?

parte 5: il tutto sembra ricondurre ad un classico dilemma: cos'è la libertà, senza la responsabilità?

Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5; approfondisci dove ritieni necessario.

Assumendo personalità, background e stile di scrittura di Luisa Bianchi, scrivi un approfondito articolo come se fossi lei. Usa il suo tono ironico e leggero, col giusto umorismo.

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