
Cosa ci riserva il futuro? La domanda è classica, il destino beffardo. Nessuno ha la sfera di cristallo, ma se prendiamo i fili che ci troviamo davanti e proviamo ad annodarli, la trama che viene fuori è cupa. Non servono né astrologi né profeti, basta leggere la cronaca con un minimo di attenzione: il quadro è già scritto, anche se nessuno vuole guardarlo davvero.
Francia & Co.: il riconoscimento che riconosce il nulla
Il gesto di paesi come la Francia che si affrettano a riconoscere uno Stato palestinese somiglia più a un colpo di teatro che a una mossa diplomatica. È la diplomazia del like, l’equivalente geopolitico di un post su Instagram: serve a prendersi applausi immediati, a mobilitare simpatia tra certe fasce di elettorato, a “posizionarsi” sulla mappa delle coscienze politicamente corrette.
Ma uno Stato, per esistere, ha bisogno di tre elementi basilari: confini definiti, istituzioni credibili, un governo riconosciuto e stabile. Nel caso palestinese non c’è nulla di tutto questo. C’è invece Hamas che governa con pugno di ferro Gaza e l’Autorità Nazionale Palestinese che arranca in Cisgiordania, due leadership divise e inconciliabili. Parlare di “riconoscimento” significa quindi dare un premio a un’entità che di statale ha solo il nome: un gesto che sta alla realtà come un francobollo commemorativo sta a un trattato di pace.
Hamas, gli ostaggi e l’ipocrisia in giacca e cravatta
Il riconoscimento è ancora più grottesco se pensiamo a Hamas. Parliamo di un movimento che non solo non nasconde i suoi obiettivi, ma li urla a gran voce: la distruzione di Israele, il martirio come strumento politico, la popolazione di Gaza trasformata in scudo umano. Eppure l’Europa fa finta di non sentire.
Le condizioni che vengono poste – “liberate gli ostaggi e poi discutiamo” – sono pura scenografia. Nessuno crede davvero che Hamas liberi ostaggi in cambio di un riconoscimento diplomatico: semmai alzerà il prezzo, userà le vite umane come moneta di scambio, come ha sempre fatto. Ma intanto i governi europei possono farsi belli e raccontare al proprio elettorato di aver “posto condizioni”. È l’ipocrisia travestita da realpolitik.
Università, piazze e la nuova Internazionale dell’odio
E qui entra in gioco un secondo livello: quello interno. Basta guardare le università italiane, i cortei nelle piazze europee, la simbologia che dilaga. Non è solidarietà con un popolo in difficoltà, è un copia-incolla della propaganda di Hamas, amplificata e normalizzata. “Dal fiume al mare” è diventato uno slogan di moda, senza che molti capiscano nemmeno che significa la cancellazione totale di Israele dalla mappa.
Peggio ancora: questa retorica diventa veicolo per un antisemitismo che credevamo sepolto. Lo vedi nello sport, nella politica, nella cultura pop. È un virus che riemerge sotto nuove forme, più presentabili, più spendibili, ma sempre velenoso. E dietro la diffusione di questo virus c’è regia: Qatar e Iran, con soldi e influenza, stanno giocando la loro partita di soft power. Lo chiamano “soft”, ma di morbido non ha nulla: è un’infiltrazione sistematica nelle opinioni pubbliche occidentali.
Verso un nuovo Bataclan?
Il risultato è semplice: l’Europa, invece di smontare la narrativa di Hamas, la legittima. Anzi, la amplifica. E così facendo si espone a un rischio enorme. Perché l’odio non resta confinato a slogan o manifesti, prima o poi trova sbocchi più violenti. Chi oggi urla in piazza, domani potrebbe imbracciare un’arma. Non serve essere catastrofisti: basta ricordarsi Parigi 2015, il Bataclan, le stragi contro comunità ebraiche in Francia e Belgio.
Illudersi che non possa succedere di nuovo significa dimenticare la lezione più amara del terrorismo jihadista: le piazze indignate sono il bacino perfetto da cui attingere manodopera per trasformare odio in sangue.
Il sorriso di Mosca
E mentre noi ci perdiamo tra manifestazioni e riconoscimenti simbolici, a Mosca qualcuno stappa champagne. Perché in tutto questo l’obiettivo della Russia non è Gaza, non è Hamas, non è nemmeno Israele. È l’Europa. Roma, Parigi, Berlino. Più siamo divisi, più ci facciamo trascinare da retoriche emotive, più il fronte occidentale si indebolisce.
La questione palestinese è il detonatore perfetto: polarizza, divide, incendia. Noi litighiamo tra cortei pro e contro, ci facciamo la guerra a colpi di hashtag e bandiere, Mosca si sfrega le mani. Perché un’Europa lacerata è un’Europa incapace di rispondere compatta alle sfide vere: l’aggressione russa all’Ucraina, la destabilizzazione dei Balcani, l’uso dell’energia come arma geopolitica.
Anni ’70 reloaded, con un regista in più
Il parallelismo è inquietante: università infiammate, slogan radicali, antisemitismo che rialza la testa, terrorismo come spettro. Ma c’è una differenza sostanziale: allora le tensioni erano in gran parte endogene, frutto di conflitti interni, ideologie europee portate all’estremo. Oggi no: c’è un “regista” esterno che sfrutta le nostre debolezze, alimenta il caos e raccoglie i frutti.
Benvenuti nello spettacolo. Non è fantapolitica, è strategia di potenza. Guerra non dichiarata, combattuta con propaganda, piazze e divisioni. Noi ci illudiamo di fare politica estera con i gesti simbolici, mentre altri ci stanno usando come pedine sul loro scacchiere.
(Serena Russo)
Prompt:
Intro: cosa ci riserva il futuro? Classica domanda senza risposta, però certe cose le possiamo sempre ipotizzare. E purtroppo non sono affatto belle, se annodiamo le fila di tanti discorsi.
parte 1: la decisione di paesi come la Francia di riconoscere uno Stato palestinese è, nella migliore delle ipotesi, ingenuità, molto più probabilmente populismo spicciolo. Questa entità non esiste nella realtà perché priva di confini definiti, istituzioni credibili e leadership unitaria, essendo Gaza sotto il controllo di Hamas e la Cisgiordania sotto l'Autorità Nazionale Palestinese.
parte 2: premiare con un riconoscimento diplomatico un'entità come Hamas, un movimento che governa con il terrore a Gaza e mira alla distruzione di Israele, è demenziale. E le condizioni poste, come la liberazione degli ostaggi prima dello scambio di ambasciate, sono ipocrisia di facciata.
parte 3: questa scelta diplomatica si ricollega a un più ampio "collasso" interno in Europa, come ci dicono i disordini nelle università italiane e le mobilitazioni di piazza degli ultimi giorni. Nelle proteste pro-Palestina noto l'adesione alla propaganda di Hamas e una diffusione dell'odio antiebraico in vari settori, dalla politica allo sport, con un ruolo del Qatar (e dell'Iran) da non escludere affatto - è il loro concetto di "soft power".
parte 4: Missione compiuta. L'Europa, invece di smontare la narrativa di Hamas, ne diventa complice, alimentando un odio che potrebbe sfociare in attacchi terroristici contro le comunità ebraiche in Europa, in un scenario simile agli attentati del Bataclan.
parte 5: contenti? In tutto questo clima da anni '70 reloaded, la Russia continua ad alimentare divisioni e disinformazione, raccogliendone i benefici. Il suo obiettivo non è certo Gaza. È Roma, Parigi, Berlino. È l’opinione pubblica europea che, scossa e polarizzata, indebolisce il fronte contro Mosca. La questione palestinese diventa così un detonatore perfetto, un pretesto emotivo che trasforma la folla in un’arma inconsapevole. E' strategia, teatro, guerra. Benvenuti!
articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5; approfondisco dove necessario.
Scrivi un approfondito articolo, assumendo il ruolo di Serena Russo, tagliente, graffiante, ironico.
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