
Leggendo le ultime dichiarazioni di Viktor Orban su Ilaria Salis, non riesco a pensare ad altro: l’immunità parlamentare era non solo giusta, ma inevitabile. Lo dico senza esitazioni, pur sapendo che mi attirerò le ire di una buona parte della mia stessa area politica, che su Salis preferisce sventolare bandiere e urlare slogan. Ma il punto non è simpatizzare: è capire che senza certe garanzie, un processo in Ungheria sarebbe stato una farsa annunciata.
Il doveroso preambolo: io e Ilaria Salis, mai amici
Piccola confessione: io Ilaria Salis l’ho sempre cordialmente detestata. Non la persona in sé, che non conosco, ma il suo universo ideologico.
Parliamo di un attivismo politico che nel migliore dei casi definirei pericoloso e ipocrita, nel peggiore complice di chi mina l’interesse dell’Occidente. Esempi?
- Il no globalismo d’accatto, sempre pronto a scendere in piazza contro il capitalismo, salvo poi twittare indignazione da smartphone Apple.
- L’antifascismo da salotto, che riduce ogni problema a una caricatura in bianco e nero, come se fossimo ancora negli anni ’30, ignorando la complessità geopolitica attuale.
- L’ostilità pregiudiziale verso la NATO e l’Occidente, vista come la madre di tutti i mali, salvo poi rifugiarsi nei diritti garantiti da quell’Occidente che tanto disprezza.
Insomma, se avessi dovuto scommettere su una figura simbolo della sinistra radicale che non mi rappresenta, Salis sarebbe stata una delle prime scelte.
Ma quando parla il capo dello Stato, la giustizia muore
Detto ciò, c’è una linea che non si può oltrepassare. E Orban l’ha oltrepassata con la grazia di un elefante in una cristalleria.
Quando un capo di Stato emette un verdetto politico prima ancora che inizi un processo, la partita è chiusa: in quel Paese un processo equo non esiste più.
Un tribunale, per definizione, dovrebbe essere indipendente. Ma se chi governa anticipa il risultato, il messaggio ai giudici è chiaro: “La decisione è già stata presa, il resto è burocrazia”.
Ed è per questo che l’immunità parlamentare a Salis non è stata un “favore politico”, come i sovranisti italiani vorrebbero raccontarla. È stata la sola possibilità per impedirle di diventare la comparsa in un teatrino giudiziario scritto a tavolino.
I diritti valgono anche per chi ci disgusta
Qui entra in gioco un principio basilare, che sembra sfuggire ai tifosi della giustizia fai-da-te: i diritti valgono per tutti, oppure non valgono per nessuno.
Non puoi costruire uno Stato di diritto a colpi di eccezioni: “vale per i miei amici, non vale per i miei nemici”.
Se difendiamo solo chi ci è simpatico, non stiamo difendendo i diritti: stiamo solo difendendo la nostra combriccola.
Difendere il diritto a un processo equo per Ilaria Salis significa, paradossalmente, difenderlo anche per noi stessi. Perché un giorno, in un altro contesto, potremmo essere noi o qualcuno che stimiamo a finire sotto accusa in un Paese ostile. E a quel punto non basteranno i meme indignati o i proclami su Facebook.
Meglio un colpevole libero che un innocente prigioniero
Lo diceva già Voltaire, lo ripeteva Beccaria, ma evidentemente oggi lo ricordano solo i garantisti di risulta: nel dubbio, meglio un colpevole libero che un innocente in cella.
È un principio che fa imbestialire i Vannacci e compagni di ventura, abituati al riflesso pavloviano del “buttare via la chiave”. Ma la civiltà giuridica si misura esattamente lì, in quella capacità di tollerare persino l’ingiustizia di un colpevole libero pur di evitare l’orrore di un innocente incarcerato.
E se questo manda fuori giri gli Orban e i loro cloni italici, tanto meglio. Perché significa che il garantismo, almeno in questo caso, ha fatto il suo mestiere: ha protetto il principio, non la persona.
Io continuerò a non condividere le idee di Ilaria Salis, e a considerarle una caricatura dannosa della sinistra che servirebbe davvero. Ma questo non cambia una cosa: il suo diritto a un processo equo è anche il mio diritto, il tuo, quello di chiunque legga queste righe.
E se per garantirlo è servita l’immunità parlamentare, ben venga. Non è un premio, non è un’assoluzione: è l’unico modo per salvare il concetto stesso di giustizia.
Che piaccia o meno, è così che funziona una democrazia: difendendo anche chi ci sta più antipatico.
Il resto è Orbanlandia.
(Giancarlo Salvetti)
Prompt:
intro: leggendo le parole di Viktor Orban, non posso che pensare una cosa: l'immunità parlamentare a Ilaria Salis era la cosa giusta da fare.
parte 1: una premessa doverosa: io, da sempre di sinistra, ho sempre cordialmente detestato Ilaria Salis e le sue idee politiche, che potrei definire nel migliore dei casi pericolose, ipocrite e contrarie all'interesse occidentale (faccio esempi concreti).
parte 2: Quando però il capo di uno stato esprime un verdetto prima del processo, è evidente che un processo equo e imparziale in quel paese non sarebbe possibile. Il diritto a un giusto processo è un pilastro fondamentale, a prescindere dalle opinioni personali sull'imputata.
parte 3: è un principio che va oltre la simpatia o l'antipatia personale: i diritti umani o valgono per tutti, incluso chi detestiamo, o non valgono per nessuno. La garanzia di un processo equo è un diritto di ogni individuo.
parte 4: nel dubbio, meglio un colpevole libero per errore che un innocente dentro per lo stesso motivo. Se questo fa arrabbiare gli Orban e i Vannacci, meglio ancora.
Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4; approfondisci dove ritieni necessario.
Assumendo la personalità di Giancarlo Salvetti, scrivi un approfondito articolo dal tono tagliente, ironico e brillante.
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