Mr. FAFO è morto (e nessuno ha fatto un post su Instagram)

Vi ricordate di Mr. FAFO, per l’anagrafe Saleh al-Jafarawi? No? Vi rinfresco la memoria su chi era. È morto. Ucciso da altri palestinesi — quindi, come dire, non è importante. Se si fosse beccato un missile Tomahawk israeliano fra collo e colletto, i manifestanti avrebbero riempito lo stadio di San Siro, e le piazze europee si sarebbero illuminate di bandiere e indignazione selettiva. Invece niente: il silenzio.
Un silenzio che pesa più di mille hashtag.

Gaza, guerra fra bande

Gli scontri più recenti a Gaza non hanno coinvolto Israele, ma due fazioni palestinesi: Hamas e il clan Dughmush. Il bilancio: almeno 27 morti — 19 del clan, 8 di Hamas — in quella che il movimento islamista ha definito un’operazione per “ristabilire l’ordine”.
Un eufemismo che, tradotto in linguaggio meno diplomatico, suona più o meno così: “stiamo ripulendo casa nostra”.

Il clan Dughmush, noto da anni per i suoi traffici, per i sequestri (fra cui quello del giornalista della BBC Alan Johnston nel 2007) e per le relazioni ondivaghe con diverse milizie, ha accusato Hamas di tentare un sfratto forzato. Ma dietro la narrazione ufficiale si nasconde la realtà: a Gaza è scoppiata la guerra fra bande.
Una guerra intestina per il controllo del territorio, delle armi, degli aiuti e dell’autorità politica in una fase post-bellica in cui la “ricostruzione” è diventata parola d’ordine e merce di potere.

Il silenzio che parla

Curioso — o forse no — che così pochi abbiano parlato dei palestinesi uccisi da altri palestinesi. Un silenzio quasi religioso, interrotto solo da qualche tweet distratto e qualche riga in fondo ai giornali.
Molti sostenitori occidentali della causa palestinese hanno perfino applaudito l’operazione di Hamas, accettando senza esitazioni l’etichetta di “collaboratori” appiccicata ai Dughmush.
Nessuno si è chiesto se dietro quella definizione si nasconda l’eliminazione brutale di dissidenti interni o semplicemente di rivali scomodi.

Il risultato è un paradosso grottesco: per una parte consistente dell’attivismo occidentale, le vite palestinesi contano solo se sono spazzate via da un missile israeliano.
Se a ucciderli è Hamas, la faccenda diventa “complessa”. “Da contestualizzare”. “Da capire”.
E così, la causa palestinese viene svuotata del suo valore umano e ridotta a un simbolo ideologico da sventolare a seconda del bersaglio politico del momento.

Il Cavallo di Troia

Questo episodio è solo l’ennesima prova che la causa palestinese è diventata — purtroppo — il Cavallo di Troia perfetto per far avanzare altre agende. Ideologiche, identitarie, antioccidentali, in certi casi perfino antisemite.
Chi la cavalca non sempre lo fa per amore dei palestinesi, ma per odio verso qualcun altro. E questo non è attivismo: è strumentalizzazione.
Intanto, sul terreno, i palestinesi reali — non quelli da maglietta o da bio di Instagram — muoiono anche per mano dei loro “liberatori”.

Una pace di carta

Tutto questo avviene mentre a Sharm el-Sheikh si firmano accordi che sembrano più un atto notarile che un passo verso la pace.
Una pace per procura: firmata da Paesi arabi moderati e mediatori internazionali, ma senza Israele e senza Hamas al tavolo.
Come quei contratti che gli avvocati firmano mentre le parti continuano a scannarsi fuori dall’aula.

I fatti di Gaza lo dimostrano: la strada verso una vera stabilità è ancora lunghissima. Hamas è ferita, isolata, screditata anche da parte della popolazione che dice di rappresentare. È sull’orlo del collasso politico, ma non ancora al tappeto.
Meriterebbe il colpo di grazia — politico, non militare — prima che riesca di nuovo a trasformarsi in martire agli occhi del mondo.

A lungo termine, se davvero vogliamo parlare di ricostruzione, serve qualcosa che somigli a un Piano Marshall per Gaza: investimenti reali, infrastrutture, istruzione, riforme, e soprattutto un’autorità politica diversa. Non un’altra milizia con un ufficio stampa.

Mr. FAFO è morto, e nessuno ha versato una lacrima.
Non perché la sua vita valesse meno, ma perché non serviva a nessuno per vincere una battaglia narrativa.
Ecco la verità scomoda: in un mondo dove il valore delle vite si misura a seconda di chi le uccide, la giustizia non c’entra più nulla.

E se questo non vi fa arrabbiare, forse non siete dalla parte della pace — siete solo dalla parte del vostro riflesso nello schermo.

(Serena Russo)

Prompt:

Intro: vi ricordate di Mr. FAFO, per l'anagrafe Saleh al-Jafarawi? No? Vi rinfresco la memoria su chi era. E' morto. E' stato ucciso da altri palestinesi - quindi, come dire, non è importante. Si fosse beccato un missile Tomahawk israeliano fra collo e colletto, i manifestanti avrebbero riempito lo stadio di San Siro.

parte 1: Scontri sanguinosi tra Hamas e il clan Dughmush: almeno 27 morti, 19 appartenenti al clan e 8 militanti di Hamas. Hamas parla di "ristabilire l'ordine", il clan accusa tentativi di sfrattamento forzato. Lo scontro rivela le tensioni per il controllo del territorio post-bellico. E' scoppiata la guerra fra bande.

parte 2: pochi hanno parlato dei palestinesi uccisi da altri palestinesi. Un silenzio che parla più di mille discorsi. molti sostenitori pro-pal hanno celebrato le uccisioni dei membri del clan Dughmush, accettando acriticamente l'etichetta di "collaboratori" applicata da Hamas, senza interrogarsi sulla possibile repressione violenta di dissidenti interni. Da notare l'ipocrisia di chi rimane in silenzio quando i palestinesi sono vittime di altri palestinesi (in questo caso, Hamas), riservando le proprie condanne esclusivamente alle azioni israeliane. Per molti attivisti , le vite palestinesi contano solo se sono danneggiate o uccise da Israele.

parte 3: la causa palestinese si conferma "Cavallo di Troia" per far avanzare altre ideologie e teorie, danneggiando una causa che di per sé meriterebbe attenzione.

parte 4: tutto ciò avviene nel contesto delle trattative firmate a Sharm el-Sheikh, senza Israele e Hamas. Questa "pace per procura" reggerà? O assomiglierà a quei contratti firmati dagli avvocati mentre le parti continuano a litigare? E i fatti di Gaza ci dicono che la strada è ancora lunga. Hamas è gravemente ferita e sempre più isolata, merita il colpo di grazia a breve termine. La mia valutazione a lungo termine, non troppo originale, è che per Gaza occorra una sorta di Piano Marshall, e ve la racconto qui.

articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4; approfondisco dove necessario.

Scrivi un approfondito articolo, assumendo il ruolo di Serena Russo, tagliente, graffiante, ironico. Rendilo immersivo.

Scopri di più da Le Argentee Teste D'Uovo

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Lascia un commento