
Se c’è una cosa che i governi di destra dicono regolarmente, è che faranno diminuire — o almeno non aumentare — le tasse. È la sirena elettorale più affidabile del repertorio: funziona sempre, perché tocca una corda universale, quella del portafoglio. Ogni volta è la stessa storia: slogan roboanti, promesse di “tagli storici”, e poi, alla prova dei numeri, arriva la realtà. E la realtà, come sempre, presenta il conto.
Il governo ha appena varato una legge di Bilancio da 18 miliardi, annunciata come il manifesto del “taglio fiscale” promesso. La misura più sbandierata è la riduzione dell’IRPEF dal 35% al 33% per i redditi medi, con la solita retorica dell’aiuto “a chi lavora e produce”. Poi ci sono gli incentivi per le imprese — il grande ritorno di Industria 4.0, che ormai è diventato un mantra bipartisan — e qualche fondo aggiuntivo per famiglie e sanità, giusto per rendere più digeribile il tutto.
Sulla carta, sembra un passo nella direzione giusta. Ma basta andare oltre i titoli per accorgersi che qualcosa non torna: la pressione fiscale, cioè la percentuale di ricchezza nazionale che lo Stato trattiene sotto forma di imposte, sta aumentando. Non diminuendo, aumentando. Nel 2022 era al 41,7%, oggi siamo al 42,8%, e secondo le previsioni resterà lì, stabile, fino almeno al 2027. In soldoni, ogni anno i cittadini italiani versano tra i 20 e i 25 miliardi di euro in più rispetto a quando questo governo si è insediato. E allora, dove sono finiti i tagli?
Il governo, quando messo alle strette, tira fuori la spiegazione più surreale di tutte: “Colpa del buon mercato del lavoro”. Tradotto: siccome più persone lavorano, più tasse vengono pagate, e quindi la pressione fiscale sale. È un argomento talmente fragile che basterebbe un grafico dell’Eurostat per farlo crollare. In tutta Europa l’occupazione è aumentata, ma solo in Italia la pressione fiscale è salita. Forse perché, diversamente da altri paesi, da noi la produttività non cresce da vent’anni, e il sistema fiscale è costruito in modo tale da punire proprio chi lavora, non chi evade.
A peggiorare le cose c’è il paradosso dell’inflazione. Mentre i prezzi salgono, gli stipendi nominali restano fermi: si guadagna un po’ di più sulla carta, ma quel “più” basta a farci scivolare in uno scaglione IRPEF superiore. Così lo Stato incassa di più senza aver toccato nemmeno una virgola delle aliquote. Un trucco elegante, quasi invisibile, che in gergo economico si chiama fiscal drag — ma in italiano si traduce meglio come “tassa occulta”. E i numeri dell’OCSE confermano che nel 2024 l’Italia è il paese dove il cuneo fiscale è aumentato di più tra le economie avanzate.
Insomma, lo schema è sempre lo stesso: il governo restituisce con una mano (il taglio IRPEF) ciò che ha già prelevato con l’altra (grazie all’inflazione). È un gioco di prestigio fiscale che funziona benissimo finché nessuno guarda sotto il tavolo. Nel frattempo, si gonfia la retorica della “destra del popolo”, quella che “riduce le tasse ai lavoratori”, mentre nella pratica lo Stato incassa più che mai.
Alla fine, il vero problema non è nemmeno la destra al governo. È il paese intero, intrappolato in una cultura politica dove il consenso si compra promettendo meno tasse, ma si governa continuando a chiederne di più. L’Italia resta così: un paese che sogna lo Stato minimo, ma pretende servizi scandinavi; che applaude i tagli fiscali, ma non vuole toccare la spesa pubblica; che si lamenta del fisco, ma poi vota chi gli vende l’illusione che tutto possa cambiare senza che cambi davvero nulla.
Ecco perché la pressione fiscale non cala: perché, sotto sotto, a nessuno conviene davvero che cali. Nemmeno a noi, che preferiamo lamentarci del fisco piuttosto che ammettere che, senza di lui, non saremmo disposti a rinunciare a nulla.
(Francesco Cozzolino)
Prompt:
Intro: se c'è una cosa che i governi di destra dicono regolarmente è che faranno diminuire, o non aumentare, le tasse. E' una sirena elettorale potentissima, del resto. Però... poi anche in questo caso arriva la realtà.
parte 1: Il governo ha annunciato la nuova legge di Bilancio da 18 miliardi, con provvedimenti presentati come un grande taglio delle tasse: Riduzione IRPEF dal 35% al 33% per molti; Ritorno agli sgravi per le imprese (Industria 4.0); Più fondi per famiglia e sanità.
parte 2: MA c'è un dato che non torna. Mentre si parla di tagli, la pressione fiscale (cioè quanto lo Stato preleva rispetto alla ricchezza del paese) sta AUMENTANDO: 2022: 41,7%, 2025: 42,8%, Fino al 2027: resterà al 42,7%. In pratica, paghiamo 20-25 miliardi di tasse in più all'anno rispetto a quando il governo è insediato.
parte 3: Il governo dice: "Colpa del buon mercato del lavoro! Più persone lavorano, più tasse entrano". Questa spiegazione è imbarazzante. In Europa l'occupazione è cresciuta ovunque, ma in Italia siamo gli unici con la pressione fiscale in salita. I motivi sono altri: Cresce poco la produttività: l'economia non decolla come dovrebbe. L'inflazione ci fa scivolare in scaglioni IRPEF più alti senza che il nostro potere d'acquisto aumenti davvero. Lo Stato incassa così di più senza alzare le aliquote! Infatti, l'OCSE ci segnala come il paese con il più forte aumento del cuneo fiscale nel 2024.
parte 4: il governo restituisce con una mano (taglio IRPEF) ciò che ha già prelevato con l'altra (grazie all'inflazione).
Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4. Approfondisci dove ritieni necessario.
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