La crescita non cade dal cielo

Penso che valga la pena ritornare un attimo sulla Teoria della Crescita Endogena, perché merita ulteriori riflessioni. È una di quelle idee che, pur nate tra lavagne universitarie e formule apparentemente astratte, spiegano più del 90% di ciò che osserviamo ogni giorno nei telegiornali economici, nei dibattiti sulla produttività o persino nelle promesse dei governi.
Il concetto è semplice, ma elegantemente potente: la crescita non “cade dal cielo” — non è un dono della Provvidenza o il risultato di qualche congiuntura favorevole — ma nasce dentro l’economia stessa, attraverso il modo in cui una società investe, innova e forma le proprie persone.

Tre ingredienti, zero magia

La crescita di un paese, in fondo, dipende da tre ingredienti semplici ma fondamentali: risparmio, tecnologia e popolazione attiva.
Il risparmio permette di accumulare capitale, cioè di investire in macchinari, infrastrutture, istruzione o ricerca. La tecnologia — o meglio, l’innovazione — aumenta l’efficienza: a parità di risorse, si produce di più. E la popolazione lavorativa determina quante mani e quante menti sono disponibili per far funzionare la macchina.

Un modo efficace per capire il meccanismo è il classico esempio del naufrago su un’isola deserta.
All’inizio sopravvive raccogliendo bacche. Se decide di risparmiare parte del suo cibo per costruire un aratro rudimentale (cioè investe in tecnologia), potrà coltivare un campo e produrre di più. Se, col tempo, arrivano altri naufraghi (cioè cresce la forza lavoro), la produzione totale aumenterà ulteriormente.
Ecco spiegato, in miniatura, il motore della crescita economica: investimenti, innovazione e popolazione. Tutto il resto — slogan, polemiche, promesse — è spesso solo rumore di fondo.

Cina e Polonia, o la matematica del recupero

Ora pensiamo ai modelli economici reali. Prendiamo Cina e Polonia, due paesi che, dopo aver abbandonato il comunismo, hanno adottato un’economia di mercato e la tecnologia occidentale.
In pochi decenni sono passati da economie relativamente arretrate a potenze industriali moderne. Ma non è stato un miracolo, né il frutto di qualche misteriosa “strategia orientale”: è pura convergenza economica.

Ecco il trucco: un tasso di crescita tecnologica del 2% applicato a un’economia povera con un PIL di base pari a 10 produce un aumento di 0,2 — cioè una crescita relativa del 20%. Lo stesso 2%, applicato a un’economia già ricca con PIL 100, produce un incremento di 2 punti, ma in termini percentuali è solo il 2%.
La matematica, insomma, è implacabile: i paesi poveri crescono più in fretta perché partono da più in basso, non perché siano più “bravi”. Quando si avvicinano ai livelli tecnologici e di produttività dell’Occidente, il ritmo rallenta automaticamente. È il destino naturale di ogni processo di convergenza.

E infatti — sorpresa — la Cina oggi cresce molto meno di vent’anni fa. Non perché “sta crollando”, ma perché ormai non è più un’economia in via di sviluppo. Sta semplicemente finendo la rincorsa.

Il caso Spagna e l’illusione del “miracolo”

Qualcuno dice: “La Spagna cresce più di noi!”. Vero. Ma, come sempre, il diavolo è nei dettagli.
Ogni anno la Spagna aggiunge circa 600.000 persone alla sua popolazione attiva. La tecnologia e la produttività migliorano di circa l’1%. Sommando i due fattori, otteniamo un PIL totale in crescita del 2,2%.
Sembra un successo strepitoso, ma c’è un piccolo problema: se le “bocche da sfamare” aumentano nella stessa misura, il reddito pro capite resta pressoché immutato. La torta si fa più grande, ma anche gli invitati aumentano: la fetta individuale resta la stessa.

Dunque no, non è un miracolo economico. È semplice aritmetica. La crescita del PIL totale non dice nulla sulla prosperità individuale. Eppure, quanti titoli di giornale abbiamo visto celebrare “la Spagna locomotiva d’Europa”?
La verità è che dietro molti dati scintillanti si nasconde la banalità di dinamiche demografiche o statistiche, non un improvviso balzo in avanti della produttività o dell’efficienza del sistema economico.

Poche teorie, molte favole

Prima di credere alle soluzioni “facili”, alle ricette miracolose o ai presunti “modelli” da imitare, ricordiamoci che l’economia obbedisce a leggi piuttosto chiare.
La Teoria della Crescita Endogena, per esempio, spiega gran parte delle dinamiche che osserviamo: i paesi crescono investendo in innovazione, formazione e capitale umano, e si stabilizzano quando questi motori rallentano. Tutto qui.

Il problema? Fuori dall’accademia, pochi la conoscono davvero. E questo ci rende vulnerabili alle favole politiche — quelle che promettono crescita infinita “senza sacrifici”, “senza tasse”, “grazie alla fiducia” o ad altri ingredienti immaginari.
Capire i meccanismi economici non significa essere cinici: significa essere consapevoli. E, soprattutto, evitare di cadere ogni volta nell’incantesimo del “nuovo modello miracoloso” che, guarda caso, non funziona mai.

In economia, come nella vita, la realtà è spesso meno spettacolare di come viene raccontata, ma molto più interessante se la si guarda con un po’ di attenzione. La crescita non è un atto di fede, ma un processo costruito con pazienza, conoscenza e investimenti reali — non con gli slogan. E questo, sì, vale la pena ricordarlo ogni tanto.

(Emma Nicheli)

Prompt:

intro: penso che valga la pena ritornare un attimo sulla Teoria della Crescita Endogena, perché merita ulteriori riflessioni.

parte 1: La crescita di un paese dipende da tre semplici ingredienti: Il risparmio (per investire), La tecnologia (l’innovazione), Il numero di lavoratori (la demografia). Esempio: un naufrago su un isola deserta. Se risparmia un po’ di cibo, può costruire un aratro (tecnologia) e coltivare un campo, aumentando la sua produzione. Se arrivano altri naufraghi (lavoratori), la produzione cresce ancora.

parte 2: ora pensiamo ai modelli economici di oggi. Cina e Polonia: Entrambi i paesi, dopo aver abbandonato il comunismo, hanno adottato il capitalismo e la tecnologia occidentale. Ecco il “trucco”: Un tasso di crescita tecnologica del 2% applicato a un’economia povera (PIL base 10) dà una crescita del 20%. Lo stesso 2% in un’economia avanzata (PIL base 100) dà solo il 2%. La loro crescita non è magia, è convergenza. E ora che si avvicinano all’Occidente, il ritmo sta già rallentando. Niente politiche segrete, solo matematica!

parte 3: La Spagna cresce più di noi? Vero, ma guardiamo il perché: La popolazione cresce di 600.000 persone/anno. La tecnologia avanza dell’1%. Risultato: il PIL totale cresce del 2,2%, ma il reddito pro capite resta uguale (+1%). La “fetta di torta” a testa non aumenta: più bocche da sfamare, stessa fetta per ciascuno. Niente miracolo.

parte 4: rima di credere alle soluzioni “facili” e ai modelli miracolosi, ricordiamo che l’economia ha leggi chiare. Quasi tutto si spiega con poche teorie, come quella della Crescita Endogena. Il problema? Pochi, fuori dall’accademia, la conoscono. E questo ci rende vulnerabili alle favole

articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4; approfondisci dove necessario.

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