
È successo a Venezia, all’università Ca’ Foscari: l’ex deputato Emanuele Fiano, invitato a intervenire in un incontro pubblico, è stato interrotto da un gruppo di attivisti pro-Palestina. Urla, cori, cartelli, la solita messa in scena. L’evento è stato cancellato. Fiano ha parlato di “atteggiamento fascista”. E, da conservatore, credo abbia ragione. Paradossale, vero? Ma la realtà, oggi, è che chi si proclama “antifascista” ne ha assorbito perfettamente i metodi.
La scena è sempre la stessa: una certa sinistra – quella universitaria, metropolitana, autoreferenziale – continua a raccontarsi come paladina della libertà, ma solo quando la libertà è conforme alla sua sensibilità. Appena qualcuno osa uscire dal recinto ideologico, scatta la scomunica. Non è più un avversario, è un “propagandista”, un “reazionario”, un “tossico”. Si invoca la libertà di espressione come diritto universale, ma la si pratica come privilegio di casta. È l’eredità più velenosa del Sessantotto: la convinzione che chi non condivide le tue idee non meriti di esistere nel dibattito pubblico.
Eppure, io considero la libertà di parola un principio sacro. Non perché tutte le idee siano giuste o condivisibili – anzi, molte sono profondamente sbagliate, e alcune persino pericolose – ma perché solo nel confronto aperto le idee sbagliate possono essere smascherate e sconfitte. Non c’è libertà senza rischio, e non c’è progresso senza conflitto. Chi vuole proteggere la società dal “discorso tossico” in realtà la condanna alla sterilità. Far tacere chi non ti piace non è un segno di forza, ma di paura. È la paura di chi non sa più argomentare, e preferisce spegnere il microfono piuttosto che accettare la sfida del confronto.
Questa sinistra – e non tutta, ma una parte consistente, quella che oggi detta il tono culturale – sembra aver perso completamente il gusto della complessità. Vive in una comfort zone ideologica fatta di slogan e indignazione, dove ogni dissenso è una minaccia e ogni dubbio è sospetto. Invoca la censura “per il bene superiore”, ma in realtà difende solo se stessa. È la stessa logica che porta a giustificare la violenza “in nome della giustizia sociale”, o la censura “in nome della democrazia”. Una logica che, alla fine, diventa indistinguibile da quella dei suoi presunti nemici. E sì, lo dico con una punta d’ironia: somiglia più a me di quanto vorrebbe ammettere.
Si può dissentire radicalmente da Fiano, certo. Lo si può criticare, contraddire, persino contestare. Ma impedirgli di parlare è un fallimento per tutti. Significa sostituire la civiltà del dibattito con la legge della tifoseria. È come se la società italiana avesse deciso che non servono più idee, bastano gli slogan e i fischi. Quando la libertà di parola diventa “a geometria variabile”, concessa solo agli amici e negata ai nemici, allora ciò che resta è il silenzio.
E il silenzio, quello sì, è sempre autoritario.
La libertà di parola è un esercizio doloroso, ma necessario: implica ascoltare anche chi ci irrita, chi ci contraddice, chi ci sfida. È una forma di coraggio, non di debolezza. Forse è proprio questo che dovremmo riscoprire — il coraggio del dialogo, non la pigrizia dell’intolleranza travestita da moralità. Perché il giorno in cui smetteremo di difendere la libertà dei nostri avversari, avremo già perso anche la nostra.
(Francesco Cozzolino)
Prompt:
Intro: È successo a Venezia, all'università Ca' Foscari: un intervento dell'ex deputato Emanuele Fiano è stato cancellato perché interrotto da attivisti pro-Palestina. Fiano ha parlato di "atteggiamento fascista". E, da conservatore, credo abbia ragione.
parte 1: una certa sinistra si proclama paladina della libertà, ma solo per chi la pensa come lei. Per tutti gli altri scatta la censura: il loro discorso diventa "propaganda", "tossico", da silenziare. È un'eredità tossica che non si è ancora lasciata alle spalle.
parte 2: Io considero la libertà di parola un principio sacro. Non perché tutte le idee siano giuste o condivisibili, ma perché è solo nel confronto aperto che le idee sbagliate possono essere smascherate e sconfitte. Far tacere chi non ti piace non è un segno di forza, ma di paura e di debolezza intellettuale.
parte 3: Una sinistra che ha paura del dibattito, che non tollera la complessità e che invoca la censura "per il bene superiore", sta tradendo i suoi stessi valori e somiglia sempre di più ai suoi presunti nemici - come me, in teoria.
parte 4: Si può dissentire radicalmente da Fiano, ma impedirgli di parlare è un fallimento per tutti. Significa sostituire la civiltà del dibattito con la legge della tifoseria. Quando la libertà di parola diventa "a geometria variabile", ciò che resta è solo il silenzio. E il silenzio, quello sì, è sempre autoritario.
Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4. Approfondisci dove ritieni necessario.
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