
Torno sulla vicenda di Emanuele Fiano, contestato alla Ca’ Foscari di Venezia, perché è una di quelle cose di cui non mi capacito. Zittito non per ciò che ha detto, ma per ciò che è. E se sei ebreo, o anche solo percepito come “sionista”, allora sei colpevole a prescindere. Non importa cosa pensi, cosa dici, o persino cosa critichi: basta la tua identità per legittimare il linciaggio. È il nuovo tribunale della purezza morale, e la sentenza è sempre la stessa: colpevole di esistere.
Emanuele Fiano è tutto fuorché un estremista. È un politico e intellettuale noto per il suo impegno civile, figlio di un sopravvissuto ad Auschwitz, da sempre in prima linea contro ogni forma di razzismo e antisemitismo. È presidente dell’associazione Sinistra per Israele, sostiene la coesistenza tra due popoli e due Stati, è critico verso Netanyahu, ma difende con forza il diritto all’esistenza dello Stato di Israele. In altre parole, uno che cerca il dialogo dove altri costruiscono barricate. Una figura mite, ma determinata, che ha fatto della memoria e della responsabilità civile la propria missione. Ma evidentemente oggi è più facile gridare “genocidio” che ascoltare qualcuno che ha studiato il tema per una vita intera.
Nel frattempo, due comici romani — quelli che fino a ieri ironizzavano sui vegani e sulle nonne col polpettone — fanno un reel in cui ironizzano sul “troppo ebraismo” del cinema. Lo chiamano “Il cinema dopo il 7 ottobre”. Battute da bar, ritmo da TikTok, e il solito sorrisetto da chi “non ha mica detto niente di male”. Ma la tesi è chiara: troppe connessioni ebraiche, troppe poche prese di distanza. Come se fosse lecito fare una schedatura morale del mondo culturale, in base alla provenienza etnica o alla presunta fedeltà geopolitica. È la solita minestra tossica: antisemitismo travestito da spirito critico, razzismo ammantato di ironia. E il peggio è che funziona: decine di migliaia di like, perché l’ebreo oggi torna a essere una categoria spendibile per fare engagement.
Tutto questo poggia su una narrazione che si è fatta mainstream, soprattutto nei salotti universitari e nei feed “progressisti”: Israele come colonia d’insediamento, il popolo ebraico come braccio armato dell’imperialismo, il sionismo come peccato originale. È un’ideologia che non conosce sfumature né complessità. Israele è colpevole per definizione, e chi lo difende — anche solo nel suo diritto a esistere — diventa complice del male. L’ebreo/sionista come capro espiatorio delle colpe dell’Occidente, di Gaza, dell’America, del capitalismo e pure del buco nell’ozono. Un corpo estraneo da espellere, da zittire, da umiliare.
E così, sotto l’etichetta dell’attivismo, torna a vivere il più vecchio dei meccanismi sociali: l’esclusione. Oggi è un ebreo a non poter parlare in un’università, domani sarà chiunque non reciti la formula giusta nel nome della purezza ideologica. Il linguaggio è cambiato — ora si parla di “decolonizzazione”, di “resistenza”, di “spazio sicuro” — ma la sostanza è la stessa: l’idea che qualcuno, per nascita o identità, non abbia diritto di parola. È un ritorno agghiacciante, travestito da progresso.
E allora sì, mi indigno per Fiano. Perché non è lui al centro della vicenda, ma noi. Noi, che abbiamo permesso che la tolleranza diventasse selettiva. Noi, che chiamiamo “critica politica” ciò che è puro pregiudizio. E noi, che ridiamo dei comici fintamente ribelli mentre il razzismo rientra dalla porta principale, col sorriso sulle labbra e l’algoritmo a favore.
(Francesco Cozzolino)
Prompt:
Intro: torno sulla vicenda di Emanuele Fiano, contestato alla Ca' Foscari di Venezia, perché è una di quelle cose di cui non mi capacito. Zittito non per ciò che ha detto, ma per ciò che è. E se sei ebreo, o anche solo percepito come “sionista”, allora sei colpevole a prescindere.
parte 1: È un politico e intellettuale noto per il suo impegno civile, figlio di un sopravvissuto ad Auschwitz, da sempre in prima linea contro ogni forma di razzismo e antisemitismo. È presidente dell’associazione Sinistra per Israele, sostiene la coesistenza tra due popoli e due Stati, è critico verso il governo Netanyahu, ma difende con forza il diritto all’esistenza dello Stato di Israele. Una figura mite, ma determinata, che ha fatto della memoria e del dialogo la sua missione.
parte 2: Nel frattempo, due comici romani fanno un reel ironizzando sull'eccesso di connessioni ebraico-israeliane, o sulle troppe poche prese di distanza, presente nel mondo del cinema, e usando il 7 ottobre ("Il cinema dopo il 7 Ottobre"). Avanspettacolo sulla tesi di fondo che qualsiasi cosa odori vagamente di ebreo o sionista sia da boicottare. Impensabile fino a qualche anno fa.
parte 3: Questa narrazione si fonda su un’ideologia che dipinge Israele come colonia d’insediamento, colpevole per definizione. E così, l’ebreo/sionista diventa il capro espiatorio di tutte le colpe dell’Occidente. Un corpo estraneo da isolare, espellere, annullare.
parte 4: È un meccanismo antico, ma oggi si ripresenta con nuovi linguaggi, nuove maschere. E sta ricostruendo, pezzo dopo pezzo, una società dove l’esclusione torna ad avere cittadinanza.
Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4. Approfondisci dove ritieni necessario.
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