
Vi faccio un breve riassunto della drammatica situazione in cui versa il Sudan. Dal 2023 il Paese è sprofondata in una guerra civile feroce tra l’esercito regolare, guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan, e le Forze di Supporto Rapido (RSF), una milizia paramilitare comandata da Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti. I numeri sono da brivido: oltre 120.000 morti (una stima per difetto), più di 10 milioni di sfollati, città rase al suolo, stupri sistematici, esecuzioni sommarie e carestie indotte.
Nel mezzo, si muovono mercenari e signori della guerra, interessati solo alle miniere d’oro e alle rotte di contrabbando che attraversano il Paese. Un macello geopolitico in cui la popolazione civile, come sempre, è l’agnello sacrificale.
Non è la prima volta
Non è la prima volta. Io in Sudan ci sono stata tre volte, tra il 2003 e il 2010. Quando il Darfur era sinonimo di “pulizia etnica” e non ancora di “conflitto dimenticato”. Allora, come oggi, il Paese era un mosaico di tensioni etniche, tribali e religiose, e come allora, il resto del mondo guardava altrove.
Ricordo i campi profughi di El-Fasher, la polvere rossa che si incollava addosso come una seconda pelle, l’odore di carburante misto a sangue secco. E soprattutto ricordo il silenzio — quello dopo i bombardamenti, quello dei bambini che non piangono più perché hanno finito le lacrime.
Ci tornerei? Sì. Non perché mi piaccia il rischio o perché mi senta una specie di Rambo col taccuino, ma perché il Sudan è una lente d’ingrandimento sulla realtà più cruda del mondo. Una realtà che nessuno vuole davvero guardare.
Non è (solo) questione di Gaza
Adesso, non voglio fare la facile morale del tipo “e allora il Sudan?”, “e allora il Darfur?”, come se il dolore avesse una graduatoria o una graduatoria di hashtag. La questione non è di bilanciare le lacrime tra Khartoum e Rafah.
La questione è un’altra, più scomoda: perché alcuni massacri ci indignano a reti unificate e altri restano confinati ai trafiletti delle agenzie stampa?
Il Sudan non ha la narrativa giusta. Non ci sono colpevoli comodi, non c’è un “Occidente cattivo” contro un “popolo oppresso”. Qui è il caos totale: africani che massacrano altri africani, milizie che rapiscono, stuprano e incendiano villaggi senza nessuna ideologia di contorno. Solo potere, denaro e violenza pura.
L’antioccidentalismo identitario e la favola del “Terzo Mondo buono”
Il problema principale non è la mancanza d’interesse dell’opinione pubblica — che, diciamolo, è fisiologica. Non si può pretendere che chi vive tra l’aperitivo e Netflix si strappi i capelli per ogni tragedia a migliaia di chilometri di distanza.
Il punto vero è che il Sudan sfata un’idea radicata: quella che nel “Terzo Mondo”, contrapposto al perfido Occidente, ci sia una purezza originaria, una moralità incontaminata.
E invece no. In Sudan, come in tante altre guerre africane o mediorientali, si combatte senza regole, senza limiti, con la logica dell’annientamento totale.
Una potenza occidentale in guerra, con tutti i suoi orrori, mantiene — almeno formalmente — un codice: regole d’ingaggio, tribunali, opinione pubblica, accountability. In Sudan no. Qui si stermina un villaggio intero per un sospetto, si brucia un ospedale perché sì, si stupra come arma di terrore.
E nessuno grida al genocidio, perché non c’è un nemico ideologico da odiare su Twitter.
Le prove che nessuno vuole vedere
E così il Sudan diventa una verità scomoda per chi è convinto di essere “dalla parte giusta della storia”.
Mostra che il mondo non si divide in oppressori e oppressi, buoni e cattivi, bianchi e neri, ma in esseri umani capaci di ogni mostruosità quando sparisce la responsabilità.
Chi vive di slogan si trova spiazzato: non sa chi tifare, chi boicottare, chi cancellare dal feed.
Io ho visto donne scappare con in braccio bambini troppo deboli per piangere, e uomini che pregavano Dio non di salvarli, ma solo di farli morire in fretta.
E ogni volta che qualcuno mi dice che “l’Occidente è il vero male del mondo”, mi tornano in mente i corpi abbandonati sulla sabbia del Darfur. Non perché l’Occidente sia innocente, ma perché la realtà, quella vera, non si piega alle ideologie: è solo, spietatamente, umana.
(Serena Russo)
Prompt:
Intro: vi faccio un breve riassunto della drammatica situazione in cui versa il Sudan, comprensiva di numero di morti e sfollati e delle varie forze in gioco, comprese le milizie mercenarie.
parte 1: non è la prima volta. Io sono già stata in Sudan in passato, tre volte fra 2003 e 2010; conosco la situazione.
parte 2: adesso non voglio fare la facile morale, "e allora il Sudan?", "e allora il Darfour?", in banale, facile contrapposizione con chi si preoccupava 24/7 per Gaza e basta. La questione è diversa.
parte 3: Il problema principale riguardante il Sudan non è la mancanza di interesse dell'opinione pubblica, che è normale, ma il fatto che la situazione sfati un'idea radicata. Il caso del Sudan dimostra infatti a chi ha un'antioccidentalismo identitario che Una potenza occidentale in guerra, seppur con i suoi gravi danni collaterali, opera generalmente con delle regole e non persegge uno sterminio totale. Al contrario, nel "Terzo Mondo" spesso idealizzato come un'utopia solo perché opposto all'Occidente, i conflitti possono essere condotti senza regole, con l'obiettivo di massimizzare il massacro.
parte 4: La realtà del Sudan è quindi scomoda per chi è convinto di essere "dalla parte giusta della storia", perché fornisce prove contrarie a questa convinzione.
articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4; approfondisco dove necessario.
Scrivi un approfondito articolo, assumendo il ruolo di Serena Russo, tagliente, graffiante, ironico. Rendilo immersivo.
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