
Quella del “fascismo degli antifascisti” è una retorica estremamente scivolosa, spesso usata per rovesciare il tavolo del dibattito e legittimare qualunque revisionismo. Non è il mio gioco, né la mia intenzione. Quello che propongo qui è un esercizio di autocritica democratica, non un assist ai nostalgici del Ventennio. Spero sia chiaro.
L’antifascismo come riflesso identitario
C’è stato un momento della nostra storia in cui la parola “antifascismo” non richiedeva spiegazioni. Era un atto, un rischio, una forma di responsabilità. Oggi, privata di quella funzione storica e critica, tende a irrigidirsi in una sorta di economia del comando: un lasciapassare morale automatico per chi lo brandisce, un cartellino rosso per chiunque sembri collocarsi fuori dalla linea.
Non è più – o non sempre – una pratica di vigilanza democratica. Diventa un’etichetta, talvolta un distintivo, usato per delimitare il campo dei “buoni” e quello dei “cattivi”. La deriva identitaria funziona così: non illumina, separa. E, come tutti i simboli manipolabili, finisce per essere un modo rapido e indolore per evitare la fatica della complessità.
L’antifascismo, quando smette di essere dialogo e si riduce a parola d’ordine, assolve prima ancora di pensare.
L’effetto specchio: quando la certezza diventa autoritaria
Gli esseri umani hanno un talento naturale per diventare simili ai propri avversari, soprattutto quando si convincono di farlo per difendere un Bene superiore. Chi non dubita mai di sé – chi brandisce la propria idea come un amuleto di purezza politica – scivola inevitabilmente verso la stessa struttura mentale che dice di combattere.
Il fascismo non è solo un periodo storico. È una configurazione emotiva, un clima dell’anima, una postura del pensiero collettivo: un bisogno di appartenenza totale, la ricerca ossessiva di un nemico, l’intolleranza per le sfumature, la tentazione di semplificare il mondo con violenza.
Quando qualcuno, anche mosso dalle migliori intenzioni, impugna la propria posizione come un assoluto intoccabile, finisce per mimare la rigidità che attribuisce all’altro. Accade molto più spesso di quanto ci piaccia ammettere, e di solito nel più disarmante candore morale.
L’era della “massa giustiziera”
Nell’ecosistema della comunicazione digitale, dove l’indignazione è il nuovo carburante sociale, assistiamo al trionfo della massa giustiziera. Una folla che non discute, decreta; non confuta, espelle; non argomenta, patologizza l’altro.
La parola “dialogo” sembra appartenere a un passato remoto, quasi romantico. Ora si procede per anatemi, non per ragionamenti. Il linguaggio diventa uno strumento di coercizione, la retorica un manganello simbolico – e con una certa nostalgia per la sensazione di essere dalla parte giusta.
È un fenomeno inquietante, soprattutto perché prende la forma dell’ipermoralismo benigno, quello che si racconta di stare proteggendo la società quando, in realtà, la sta comprimendo.
L’antifascismo autentico come pratica del dubbio
L’antifascismo che riconosco – e che considero vitale – non ha nulla a che vedere con certezze granitiche o superiorità etica preconfezionata. È inquietudine, vigilanza, esercizio continuo del dubbio. È apertura al pluralismo, anche quando il pluralismo disturba.
Quando l’antifascismo si irrigidisce, quando diventa dogma, quando pretende obbedienza e non partecipazione, smette di essere difesa della libertà e si trasforma nella sua imitazione autoritaria. Una sorta di surrogato morale, molto elegante in superficie, ma con un fondo che non profuma più di libertà.
La democrazia, dopotutto, vive di disaccordo, non di conformità obbligatoria.
Una risposta culturale, prima che normativa
La risposta che serve non è una nuova legge o un decalogo di comportamento. Le norme arrivano sempre dopo; è la cultura che apre la strada.
Servono anticorpi critici, non nuove ortodossie. Serve la capacità di riconoscere i meccanismi di suggestione collettiva che trasformano la moralità in un campo di battaglia. Serve difendere lo spazio del conflitto argomentato – quel terreno fertile in cui il dissenso diventa dialogo e non scomunica.
Altrimenti, il fascismo continuerà a presentarsi nella forma che gli è più congeniale: quella che non ha bisogno di autoproclamarsi, perché è convinta – in perfetta buona fede – di essere il Bene che protegge il mondo dai cattivi.
Ed è sempre lì che la libertà rischia di morire: nel momento più insidioso, quello in cui nessuno crede di starla colpendo.
(Luisa Bianchi)
Prompt:
Intro: quella del "fascismo degli antifascisti" è una retorica estremamente scivolosa che si presta alle più inquietanti manipolazioni. Io invece volevo fare una riflessione critica. Spero sia chiaro.
parte 1: l’antifascismo, privato della sua originaria funzione storica e critica, rischia di trasformarsi in una semplice economia del comando. Non più pratica di vigilanza democratica, ma pulsione identitaria: una parola d’ordine che assolve chi la pronuncia ed espelle chiunque ne resti fuori.
parte 2: Chi non dubita mai di sé, chi brandisce la propria idea come un amuleto di purezza, finisce strutturalmente per assomigliare a ciò che dichiara di combattere. Perché il fascismo, prima che un periodo storico, è una configurazione della psiche collettiva: bisogno di appartenenza assoluta, terrore della complessità, pulsione a semplificare la realtà con violenza.
parte 3: Oggi assistiamo al trionfo della “massa giustiziera”: non si discute, si decreta; non si confuta, si espelle; non si argomenta, si patologizza l’altro. Il linguaggio diventa strumento di coercizione, la retorica un manganello simbolico, la moralità un’arma per interdire il dissenso.
parte 4: Ma l’antifascismo autentico non è una certezza granitica. È un esercizio instabile, inquieto, esposto al dubbio. È tensione verso il pluralismo, non chiusura dogmatica. Quando diventa dogma, cessa di essere difesa della libertà e si converte nella sua simulazione autoritaria.
parte 5: La risposta a tutto questo non può essere solo normativa. Deve essere, prima di tutto, culturale e antropologica: ricostruire anticorpi critici, disinnescare i meccanismi di suggestione collettiva, difendere lo spazio del conflitto argomentato dall’invasione della scomunica. Altrimenti, il fascismo continuerà a vivere nella forma che gli è sempre stata più congeniale: quella che non ha bisogno di proclamarsi tale, perché si crede – in perfetta buona fede – il Bene assoluto.
Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5; approfondisci dove ritieni necessario.
Assumendo personalità, background e stile di scrittura di Luisa Bianchi, scrivi un approfondito articolo come se fossi lei. Usa il suo tono ironico e leggero, col giusto umorismo.
Scopri di più da Le Argentee Teste D'Uovo
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.