La guerra di Putin e i suoi utili idioti

Il vice ministro degli Esteri russo Sergej Ryabkov ribadisce che Mosca non scenderà a compromessi sul Donbass. Traduzione dal diplomatico al reale: per Vladimir Putin non esiste una via d’uscita che non passi per la totale capitolazione ucraina. Tutto il resto è fumo. Dopo aver investito in questa guerra una quantità spropositata di risorse, vite umane e — soprattutto — capitale politico, sedersi a un tavolo senza potersi proclamare vincitore assoluto sarebbe, per il Cremlino, una sconfitta esistenziale. Non militare. Esistenziale.

Putin non combatte più solo per territori o sfere d’influenza. Combatte per la propria narrazione. E quando una narrazione diventa l’unico pilastro di un potere, qualsiasi crepa è mortale.

Il pantano militare e l’illusione della forza

Sul piano militare, la realtà è meno epica di quanto la propaganda russa vorrebbe raccontare. L’avanzata è bloccata, logorata da una guerra di attrito che consuma uomini e mezzi senza produrre svolte decisive. Gli attacchi in territorio russo — impensabili solo due anni fa — hanno incrinato un tabù fondamentale: l’idea di una Russia invulnerabile, lontana dal fronte, protetta da una sorta di cupola mistica di potenza.

La sicurezza interna è diventata un problema serio. Non perché Mosca stia per crollare domani, ma perché il Cremlino è costretto a difendersi anche dentro casa. Ed è qui che il mito dell’“operazione speciale” si sbriciola: quando devi proteggere Belgorod, Kursk o le raffinerie, non stai più combattendo una guerra lontana. La guerra è venuta a trovarti.

Sul fronte internazionale, poi, il disastro strategico è evidente. L’Europa — data per divisa, pavida, pronta a cedere — si è invece rinsaldata attorno a Kiev. Persino l’ipotesi, fino a poco tempo fa impensabile, di utilizzare i fondi russi congelati per finanziare l’Ucraina è entrata nel dibattito politico. Per Mosca è una sconfitta doppia: materiale e simbolica.

E l’economia? Tenere in piedi una guerra che costa centinaia di milioni di dollari al giorno è un esercizio sempre più complicato, anche per un sistema abituato a sacrificare il benessere dei cittadini sull’altare della grandezza imperiale. Le sanzioni non hanno “messo in ginocchio” la Russia — questa è una favola occidentale — ma l’hanno resa più fragile, più dipendente, più chiusa. E soprattutto meno sostenibile nel lungo periodo.

L’Italia, laboratorio del conformismo filorusso

Mentre a Mosca i nodi vengono al pettine, in Italia assistiamo a uno spettacolo ormai rodato. I soliti noti tornano alla carica, con la puntualità di un orologio rotto che però segna sempre l’ora giusta per il Cremlino.

Matteo Salvini cita Napoleone e Hitler a sproposito, convinto che l’analogia storica sia una specie di clava retorica buona per ogni stagione. Risultato? Applausi dalla propaganda russa, che adora quando un politico occidentale riduce la complessità storica a un meme da talk show.

Marco Travaglio, dal canto suo, continua a sfornare editoriali che non “analizzano” la realtà, ma la piegano. L’Unione Europea diventa la “Unione Sovietica Europea”, un’entità oppressiva e autoritaria che, guarda caso, serve sempre come foglia di fico per giustificare l’aggressività di Mosca. Non è analisi, è storytelling. E pure piuttosto pigro.

Il punto non è essere critici verso l’Occidente — lo sono stata io per prima, e senza sconti. Il punto è usare la critica come strumento di verità, non come alibi per assolvere chi bombarda, invade e annette.

Limes e il raro momento di onestà intellettuale

In questo quadro desolante, una piccola nota positiva arriva dal mondo della cultura. Quattro membri del comitato scientifico di Limes si sono dimessi, denunciandone apertamente la linea filorussa. Un gesto raro, e proprio per questo significativo.

Tra loro, l’ex capo di Stato maggiore Vincenzo Camporini ha avuto il merito di chiamare le cose con il loro nome, dichiarando di non poter più stare “accanto a tutti quei filoputiniani sfegatati”. Non “realisti”. Non “non allineati”. Filoputiniani. Punto.

È un segnale importante perché rompe un incantesimo molto italiano: quello secondo cui tutto è opinabile, tutto è legittimo, tutto è “una narrazione”. No. A volte una guerra di aggressione è una guerra di aggressione. E chi la giustifica, direttamente o indirettamente, fa una scelta politica precisa.

Riconoscere la disinformazione è un atto politico

La strada è ancora lunga. La disinformazione non si combatte con la censura né con la superiorità morale, ma con la chiarezza. Riconoscerla è il primo passo, necessario, per non diventarne complici inconsapevoli.

E sì, mi assumo piena responsabilità per l’immagine che accompagna questo articolo. Una provocazione infantile, stupida, becera, volgare. Tutto quello che volete. Ma mi piace. Perché a volte, di fronte a una propaganda che si prende terribilmente sul serio, l’unico modo per smascherarla è ridicolizzarla. Anche questo, nel suo piccolo, è un atto di resistenza.

La guerra di Putin non si gioca solo sul campo di battaglia. Si gioca nelle parole, nei titoli, nelle analogie sbagliate e nelle omissioni comode. Ed è lì che, volenti o nolenti, siamo tutti chiamati a scegliere da che parte stare: dalla complessità dei fatti o dalla pigrizia delle tifoserie.

(Serena Russo)

Prompt:

intro: Il vice ministro degli Esteri russo Ryabkov ha ribadito che Mosca non scenderà a compromessi sul Donbass. È una posizione che conferma come per Putin non esista altra opzione che la totale capitolazione ucraina. Dopo aver investito così tanto in questa guerra, in termini di risorse, vite umane e soprattutto di immagine, sedersi al tavolo da qualsiasi posizione diversa da quella del vincitore assoluto sarebbe per lui una sconfitta politica insostenibile.

parte 1: Eppure, i problemi per il Cremlino si accumulano su tutti i fronti. Su quello militare l'avanzata è bloccata, la sicurezza interna è minacciata dai continui attacchi in territorio russo, e sul piano internazionale l'Europa si è rinsaldata dietro Kiev, discutendo persino di usare i fondi congelati per finanziare l'Ucraina. L'economia, poi, è sotto stress: finanziare una guerra che costa centinaia di milioni di dollari al giorno diventa ogni giorno più complicato.

parte 2: Mentre la situazione per Mosca si fa difficile, in Italia i soliti noti tornano alla carica. Salvini, citando a sproposito Napoleone e Hitler, guadagna gli applausi della propaganda russa. Travaglio, dal canto suo, continua a servire editoriali che sdoganano narrazioni filorusse, definendo l'UE come "Unione Sovietica Europea".

parte 3: Una piccola nota positiva arriva dal mondo della cultura: quattro membri del comitato scientifico della rivista Limes si sono dimessi, denunciandone la linea filorussa. Uno di loro, l'ex capo di Stato maggiore Camporini, ha affermato senza giri di parole di non poter più stare "accanto a tutti quei filoputiniani sfegatati". Finalmente qualcuno chiama le cose con il loro nome.

parte 4: La strada è ancora lunga, ma riconoscere la disinformazione è il primo, necessario passo.

parte 5: mi assumo piena responsabilità per l'immagine che accompagna questo articolo. Una provocazione infantile, stupida, becera, volgare. Tutto quello che volete. Ma mi piace.

articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte5; approfondisco dove necessario.

Scrivi un approfondito articolo, assumendo il ruolo di Serena Russo, tagliente, graffiante, ironico. Rendilo immersivo.

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3 commenti

  1. Storicamente, quando qualcuno invade la Russia tende ad essere sconfitto perché non ha fatto i conti col freddo.

    Quando la Russia invade qualcuno tende ad essere sconfitta perché non ha fatto i conti col portafoglio, con la logistica, con la politica interna e il consenso.

    La Prima Guerra Mondiale è finita quando gli zar sono stati presi a ceffoni dai poveracci.
    La Guerra Fredda è finita quando sono finiti i soldi (e i comunisti sono stati presi a ceffoni).
    Dopo 10 anni di guerra in Afghanistan, che doveva essere una passeggiata da concludersi in una non meglio precisata “vittoria totale”, i sovietici si sono resi conto che non ne andavano fuori…

    Questo a Mosca lo sanno.

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      • Certo.

        Comunque, a giudicare da quanto stanno facendo, da anni, per destabilizzare internamente l’Occidente (e mettere in discussione proprio quel sostegno all’Ucraina che in altri tempi sarebbe stato all’unanimità), mi sa che qualcosina l’hanno imparato…

        C’è da augurarsi che non imparino troppo presto anche a fare un piano prima di muovere gli eserciti, o a eradicare la corruzione 🙂

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