L’Ascesa dell’Estremismo e le Sue Conseguenze

Ho visto un’intervista a Peter Thiel e ho provato quella sensazione che si ha quando, all’improvviso, il pavimento sotto i piedi sembra cedere. Non perché dica cose nuove – l’arroganza del potere ha sempre parlato lo stesso linguaggio – ma perché oggi quelle parole non restano più ai margini. Thiel, ideologo vicino a Trump, non è un folle isolato da talk show notturno: è un uomo ascoltato, finanziatore, ispiratore. Un punto di riferimento per il vicepresidente degli Stati Uniti e, per riflesso, per il presidente. Le sue idee sono inquietanti non solo per ciò che affermano, ma per la disinvoltura con cui vengono pronunciate: la convinzione di una superiorità naturale perché bianco e maschio, il disprezzo per i poveri immaginati come corpi da sedare con visori di realtà virtuale, l’idea che la democrazia sia un ferrovecchio superato dalla tecnologia. È il sogno bagnato di un’élite che non vuole più governare i conflitti, ma eliminarli anestetizzando chi li subisce.

Di fronte a questo scenario, c’è chi continua a ripetersi che si tratta di un problema americano, di una patologia d’oltreoceano. Un modo rassicurante per voltarsi dall’altra parte. Peccato che la realtà, come spesso accade, sia molto meno consolatoria. Il Cile ha eletto con il 60% dei voti il figlio di un nazista, un uomo che si proclama erede politico di Pinochet senza arrossire. L’Ungheria, che ha conosciuto i carri armati sovietici e la repressione, oggi è uno degli alleati più fedeli di Putin, come se la memoria storica fosse un optional di lusso. Nel Regno Unito, dopo il disastro economico e sociale della Brexit, i sondaggi premiano Nigel Farage, l’uomo delle fake news, il venditore ambulante di bugie che ha trascinato il Paese fuori dall’Unione Europea. E non illudiamoci che Germania e Francia siano immuni: le crepe sono evidenti, le parole d’ordine si somigliano sempre di più, l’idea di una democrazia “troppo lenta” comincia a circolare con inquietante naturalezza.

A colpire non è solo l’avanzata di questi estremismi, ma il vuoto che trovano davanti a sé. La sensazione, sempre più netta, è che gli incubi dei film di fantascienza fossero semplici trailer. Ci avevano raccontato mondi distopici governati da tecnocrati spietati e masse narcotizzate, e noi, seduti in poltrona, ci sentivamo dalla parte giusta della storia. I “buoni”, quelli che nei film combattevano il sistema, oggi balbettano. Si chiudono nei propri interessi, difendono piccoli orticelli miserabili, litigano su dettagli mentre il quadro generale va in fiamme. La sinistra, che avrebbe dovuto essere argine e visione, troppo spesso si accontenta di gestire l’esistente, di non disturbare i manovratori, di non pronunciare parole scomode come disuguaglianza, potere, redistribuzione.

E allora figure come Thiel non fanno paura solo per ciò che sono, ma per ciò che rivelano di noi. Rivelano una resa culturale prima ancora che politica. L’idea che la tecnologia possa sostituire la democrazia non nasce nel vuoto: cresce dove la politica ha smesso di educare, di spiegare, di includere. Dove l’umanesimo è stato archiviato come un lusso inutile, buono al massimo per qualche commemorazione. È qui che il discorso si fa davvero serio, perché non basta indignarsi, non basta scandalizzarsi davanti all’ennesima intervista. Occorre tornare a credere che la democrazia, con tutte le sue lentezze e imperfezioni, sia ancora il luogo del conflitto umano, non un algoritmo da ottimizzare.

Se oggi i potenti possono permettersi di dire che i poveri vanno rinchiusi con un visore in testa, è perché qualcuno ha smesso di difendere l’idea opposta: che la dignità non è un problema tecnico, ma una questione morale e politica. E questa, piaccia o no, è una responsabilità che riguarda anche noi, soprattutto noi che continuiamo a definirci “buoni” mentre il mondo scivola, con inquietante disinvoltura, verso qualcosa che somiglia sempre di più a una distopia senza nemmeno più bisogno della fantascienza.

(Roberto De Santis)

Prompt

intro: Ho visto un’intervista a Peter Thiel, ideologo vicino a Trump. Le sue idee sono inquietanti: si ritiene superiore perché bianco e maschio, vorrebbe i poveri rinchiusi con visori di realtà virtuale e sostiene che la democrazia sia ormai superata dalla tecnologia. Eppure, è un punto di riferimento per il vicepresidente degli Stati Uniti e, di riflesso, per il presidente.

parte 1: Questo fa riflettere: pensiamo che certi estremismi appartengano solo agli USA, ma poi vediamo il Cile eleggere con il 60% il figlio di un nazista che si dichiara erede di Pinochet. L’Ungheria, dopo i carri armati sovietici, oggi è tra i più fedeli alleati di Putin. Nel Regno Unito, nonostante i disastri della Brexit, i sondaggi premiano Farage, l’uomo delle fake news che ha spinto il Paese fuori dall’UE. E anche Germania e Francia non sono immuni.

parte 2: La sensazione è che gli incubi dei film di fantascienza fossero solo trailer di un presente peggiore: perché i “buoni”, quelli che nei film combattevano, oggi balbettano, si chiudono nei propri interessi e coltivano orticelli miserabili.

articolo: intro, parte 1, parte 2,. Approfondisco dove ritengo necessario.

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