
C’è una tentazione irresistibile, soprattutto in una certa stampa e in una certa intellighenzia militante: prendere una mappa del mondo, appoggiarci sopra un barile di petrolio immaginario e spiegare qualsiasi intervento militare americano con una formula magica. È per il petrolio. Fine dell’analisi. Sipario. Applausi del pubblico che ama le spiegazioni semplici per problemi complessi.
Da quando Trump ha autorizzato attacchi militari in teatri diversi — Yemen, Iran, Siria, Venezuela, Nigeria — questa lettura è tornata di moda come un vecchio vinile anti-imperialista: gracchia un po’, ma rassicura. Gli Stati Uniti? Predatori energetici. Gli altri? Vittime o, al massimo, comparse. Peccato che la realtà, come spesso accade, sia molto meno comoda.
Nigeria: il lapsus che dice tutto
Partiamo dalla Nigeria, perché lì l’imbroglio è particolarmente evidente. In giro si è parlato di “attacco alla Nigeria”. Espressione rivelatrice, perché falsa. Non si è colpito uno Stato sovrano democraticamente eletto, ma milizie jihadiste — Boko Haram, affiliata ISIS — che da anni seminano terrore nel nord del Paese: villaggi rasi al suolo, donne rapite, bambini trasformati in kamikaze.
Ridurre quell’operazione a una manovra per il petrolio significa fare un’operazione chirurgica sulla realtà: si asporta la violenza jihadista, si elimina la richiesta di aiuto del governo nigeriano, si cancella il contesto regionale. Rimane solo il cattivo americano che vuole il greggio. È una narrazione comoda, ma è anche profondamente disonesta.
Il petrolio come peccato originale (solo occidentale)
A questo punto la domanda sorge spontanea: davvero solo Trump — o l’Occidente in generale — agisce per il controllo delle risorse energetiche? Gli Houthi nello Yemen combattono forse per amore della poesia sufi? L’ISIS finanziava il proprio califfato con le collette parrocchiali? Il regime di Maduro in Venezuela difende il petrolio per spirito di solidarietà internazionale?
Eppure, in molte analisi, la “sete di petrolio” è un peccato originale riservato all’Occidente. Gli altri attori — milizie, regimi autoritari, gruppi terroristici — sembrano muoversi per nobili motivazioni metafisiche. È un doppio standard che rasenta il ridicolo. Il controllo delle risorse è potere, ovunque. Negarlo solo quando conviene ideologicamente non è analisi: è propaganda.
Odiare Trump non giustifica l’idiozia
Mettiamolo in chiaro: detesto profondamente l’amministrazione Trump. Detesto la sua rozzezza diplomatica, il disprezzo per il diritto internazionale, l’uso cinico della forza. Ma proprio per questo mi rifiuto di criticarla con argomenti pigri. Spiegare ogni intervento militare con “è per il petrolio” non è radicalità: è pigrizia intellettuale travestita da coscienza critica.
Trump non è un genio strategico, ma neppure un personaggio dei fumetti che agisce con una sola motivazione monocromatica. Pensare il contrario significa non capire come funziona il potere — americano e non solo.
La complessità che non piace
La realtà, purtroppo per chi ama gli slogan, è più complessa. Ci sono interessi energetici, sì. Ma ci sono anche calcoli di sicurezza, alleanze regionali, lotta al terrorismo internazionale, pressioni interne, dinamiche locali che non possono essere liquidate come “irrilevanti”.
Ignorare la minaccia di Boko Haram, degli Houthi o dell’ISIS significa fare un favore proprio a quei gruppi. Significa dire, implicitamente, che il loro terrore è solo un dettaglio narrativo, un fastidio minore rispetto alla grande saga anti-americana. È un lusso che ci si può permettere solo da lontano, magari davanti a una tastiera, non sul campo.
Il mondo non funziona per slogan. E il petrolio, da solo, non spiega tutto. Chi continua a usarlo come chiave universale non sta cercando di capire la realtà: sta solo cercando di confermare le proprie certezze. E questo, nel giornalismo e nell’analisi geopolitica, è il peccato più grave di tutti.
(Serena Russo)
Prompt:
intro: Trump ha autorizzato attacchi militari in diverse aree del mondo: Yemen, Iran, Siria, Venezuela e Nigeria. Una lettura comune, soprattutto in certa stampa, è quella di ricondurre tutto a una sola logica: il controllo strategico delle risorse energetiche. Ogni teatro, in questa visione, rappresenta un tassello della "mappa del petrolio e del gas" che l'amministrazione americana vorrebbe dominare per ragioni economiche e geopolitiche.
parte 1: Questa interpretazione, però, rischia di essere riduttiva e di diventare un cliché "anti-imperialista" applicato a ogni mossa degli USA. Un esempio chiaro è il caso della Nigeria. In giro si parla di "attacco alla Nigeria", ma si tratta di un lapsus rivelatore. L'obiettivo non era il governo nigeriano, democraticamente eletto, ma i miliziani jihadisti di Boko Haram/ISIS, che da anni compiono massacri atroci nel nord del paese. Ridurre questa azione a una mossa per il petrolio significa ignorare deliberatamente la gravità della minaccia terroristica in quella regione - che infatti ha richiesto l'aiuto americano.
parte 2: La domanda è: solo Trump agirebbe per il petrolio? I gruppi come gli Houthi, l'ISIS, o un regime come quello di Maduro in Venezuela, forse non sono interessati al controllo delle risorse energetiche per finanziare il loro potere? Sembra che, in certe analisi, la sete di petrolio sia un peccato originale attribuito solo all'Occidente, mentre gli altri attori siano mossi da altre ragioni. Questo doppio standard è patetico.
parte 3: Detesto profondamente l'amministrazione Trump e molte sue politiche. Ma credo sia intellettualmente disonesto spiegare ogni intervento militare americano con la sola formula "è per il petrolio".
parte 4: La realtà è più complessa: si intrecciano sicuramente interessi energetici, ma anche calcoli di sicurezza, lotta al terrorismo internazionale e dinamiche locali. Ignorare questa complessità, e liquidare come irrilevante la minaccia di gruppi come Boko Haram, significa non voler vedere il quadro completo.
articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4; approfondisco dove necessario.
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