
La caduta del regime di Bashar al-Assad, sancita dalla sua fuga imbarazzante verso Mosca, non è solo un evento storico, ma uno specchio della crisi globale e, ancora di più, del nostro malessere in Occidente. Mentre ci perdiamo in dibattiti stantii, la disfatta del tiranno siriano dovrebbe farci riflettere su quanto siamo vulnerabili, non tanto per la forza degli altri, ma per le debolezze che coltiviamo con zelo masochistico.
Partiamo dal punto geopolitico: per Vladimir Putin, la caduta di Assad è un disastro. Altro che “operazione speciale”: questo è un buco nero che potrebbe inghiottire la strategia russa in Medio Oriente e, peggio, il suo lucroso impero africano. Sì, perché il “modello di business” russo si basa su un’equazione semplice e spietata: sostenere dittature e regimi golpisti in cambio di risorse, come oro e diamanti insanguinati. Mali, Burkina Faso, Niger, Repubblica Centrafricana: un club di orrori sostenuti da Mosca con armi, mercenari e, se necessario, il veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per perpetuare guerre utili ai propri interessi. Un sistema brutale, ma efficace, orchestrato dal famigerato gruppo Wagner. I suoi mercenari si arricchiscono mentre la Russia sfrutta miniere con un livello di violenza che fa sembrare gli standard coloniali ottocenteschi un picnic. La base di tutto questo? Le infrastrutture logistiche che passano per la Siria, in particolare la base di Khmeimim.
La perdita di Assad non è solo la fine di un dittatore: è una minaccia diretta a questa macchina infernale. Senza Khmeimim, il traffico di oro e diamanti, così come il movimento dei mercenari, diventa più complesso e costoso. Wagner, privo di questo nodo strategico, rischia di crollare come un castello di carte, e i regimi africani che si affidano a Mosca potrebbero iniziare a vacillare. È forse la prima, vera opportunità per quei popoli oppressi di scrollarsi di dosso l’egemonia russa.
Ma torniamo a casa, in Occidente, dove la notizia della fuga di Assad suscita reazioni tutt’altro che unanimi. Certo, possiamo immaginare le scene: la gente che festeggia nelle piazze, i rifugiati che finalmente vedono una luce dopo 12 milioni di sfollati e 580.000 morti. Eppure, c’è chi non riesce a unirsi al coro della liberazione. Perché? Perché i liberatori non corrispondono alle loro fantasie ideologiche. Non sia mai che si gioisca per la caduta di un tiranno senza prima scrivere un trattato sui limiti morali dei suoi avversari. È la vecchia sinistra, quella che, quando si tratta di Israele, riempie piazze e palinsesti con indignazione quotidiana, ma di fronte a un’ecatombe come quella siriana non trova nemmeno un quarto d’ora per alzare un sopracciglio.
E qui sta il punto: non è solo geopolitica, ma una crisi di valori. La caduta di Assad ci offre l’opportunità di rivedere non solo le dinamiche internazionali, ma il nostro stesso atteggiamento. L’Occidente, sempre pronto a un’autocritica che sfocia nell’autolesionismo, deve scegliere: continuare a baloccarsi con il mito del despota “anti-imperialista” o riscoprire l’importanza della libertà. Non quella teorica dei manuali universitari, ma quella reale, imperfetta e persino scomoda, che si conquista solo abbattendo tiranni. Se non altro, possiamo sperare che questa volta la storia non ci trovi solo spettatori distratti.
(Serena Russo)
Prompt:
Intro: la Siria ci dà lo spunto per riflettere ancora su un malessere ben radicato in Occidente, uno che ci rende vulnerabili.
Assad: La completa disfatta del regime di Bashar al-Assad in Siria, ufficializzata dalla sua fuga a gambe levate verso Mosca, rappresenta una catastrofe geopolitica per la Russia, con conseguenze ben più gravi di quanto molti possano immaginare. Questo evento non solo minerebbe la percezione globale della Russia come partner affidabile e protettore efficace, ma potrebbe anche destabilizzare i legami che Mosca ha costruito con regimi autocratici in Africa. La perdita di Assad non è semplicemente un problema regionale: è un colpo devastante alla strategia russa di proiezione del potere a livello globale, soprattutto nel continente africano, dove Mosca ha costruito un impero economico, militare e politico basato sull'influenza e sul controllo. Uno dei pilastri del "modello di business" russo è il sostegno a dittature e regimi golpisti in Africa, come quelli in Mali, Burkina Faso, Niger e Repubblica Centrafricana. La Russia non si limita a fornire armamenti: essa alimenta conflitti, come dimostra il suo ruolo nella guerra civile sudanese. L'ultimo processo di pace del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, volto a ridurre le sofferenze in Sudan, è stato bloccato proprio dal veto russo. Questo perpetuare la guerra non è solo strategico per l’industria bellica russa, ormai il cuore dell’economia di Mosca, ma anche per il famigerato gruppo Wagner. Il Wagner, che agisce come il braccio armato delle operazioni russe all’estero, riceve in cambio del suo sostegno diretto ai regimi africani il controllo di operazioni minerarie altamente redditizie, specialmente quelle legate a oro e diamanti insanguinati. Tuttavia, queste attività non si limitano a sfruttare risorse: si svolgono nel modo più brutale possibile, con un totale disprezzo per la vita umana. Le vittime includono non solo popolazioni locali, ma anche stranieri, come dimostrano gli attacchi a lavoratori cinesi in diverse miniere africane. Il collasso del regime siriano mette in pericolo questa macchina ben oliata. La Russia ha sempre fatto affidamento sulle sue basi militari in Siria, in particolare quella di Khmeimim, per garantire la logistica delle sue operazioni africane. Oro, diamanti e altri beni preziosi passano attraverso queste basi prima di raggiungere il territorio russo, e lo stesso vale per il movimento dei mercenari. Khmeimim rappresenta anche un nodo strategico per il coordinamento delle operazioni. Senza questa base, le attività di Wagner in Africa non solo diventerebbero più difficili, ma anche enormemente più costose, rendendo il modello insostenibile nel lungo periodo. La caduta di Assad significherebbe la perdita di questo avamposto cruciale. Questo avrà ripercussioni dirette sulle operazioni russe in Africa e potrebbe offrire un'opportunità per i popoli africani, oppressi da regimi sostenuti da Mosca, di liberarsi dall’influenza russa. Regimi che sembravano invulnerabili potrebbero iniziare a cedere senza il sostegno logistico e operativo della Russia.
Caduta: la caduta di Assad non è solo una questione siriana. È un capitolo di una crisi più ampia che potrebbe segnare un punto di svolta per l’impero geopolitico russo.
Tiranno: La cacciata di un tiranno sanguinario e dei suoi sgherri, la gente che fa festa nelle piazze, la speranza che ritorna sui volti dei rifugiati: sono tutte meravigliose istantanee della fine di un incubo, che dovrebbero riempire il cuore di gioia a chiunque lo abbia ancora un cuore. Solo dopo ci si interroga su quale sarà il futuro della Siria, su chi andrà al potere, ecc. ecc. Non gioire di una liberazione da oltre 50 anni di feroce oppressione, con la scusa che i liberatori sono sospetti, la dice lunga sull'amore di certa sinistra per i despoti e sull'odio che nutre ormai verso ogni forma di libertà e rivolta che non passi attraverso categorie logore, dogmatiche e rancorose.
Cifre: Assad ha fatto 580.000 morti e 12 milioni di sfollati. Mai una voce, da parte di chi si straccia le vesti contro Israele un giorno sì e l'altro pure - come già l'Etiopia insegna.
Articolo: intro, Assad, caduta, cifre, tiranno.
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