
Lo giuro. Non avrei più voluto scrivere su Donald Trump.
Non per noia, né per mancanza di materiale – anzi, il suo secondo mandato sembra confezionato su misura per alimentare l’indignazione e l’analisi di qualunque economista dotato di buon senso.
Il fatto è che a un certo punto speri che la realtà smetta di sembrare una distopia comica, un misto tra The Office e Apocalypse Now. Ma tant’è: siamo qui di nuovo, in quello che possiamo considerare il gran finale di un esperimento sociale dagli esiti grotteschi. Considerate questo articolo come la mia summa theologica su Donald J. Trump, versione 2.0. Il sequel che nessuno voleva vedere, ma che ci tocca pagare a caro prezzo.
L’elefante arancione nella stanza – Il caos economico globale
Iniziamo dai numeri, come piace a me. L’amministrazione Trump ha innescato un nuovo ciclo di instabilità sistemica, con effetti a catena sui piani pensionistici, sui risparmi delle famiglie, sui buoni del tesoro e sulle catene di approvvigionamento globali. Chi pensa che questi temi riguardino solo Wall Street, si sbaglia.
La volatilità non discrimina: colpisce il piccolo imprenditore del Midwest come il pensionato italiano che ha investito in ETF legati al dollaro. L’instabilità strutturale introdotta da Trump non si ferma agli USA, ma si propaga come una scossa tellurica lungo tutte le faglie dell’economia globale.
E, dettaglio interessante, anche gli oligarchi americani – sì, proprio quelli che lo hanno sostenuto e finanziato per garantirsi una nuova stagione di tagli fiscali – cominciano a mostrare segni di nervosismo. Perché una cosa è truccare il gioco a proprio favore; un’altra è vedere il tavolo rovesciato da un giocatore che non conosce neanche le regole.
Jamie Dimon, Laurence Fink e il canto del cigno del buon senso
Jamie Dimon, CEO di JPMorgan Chase, non è noto per l’allarmismo. Quando parla di “turbulenza considerevole”, è il caso di alzare le antenne. Le sue preoccupazioni, condivise anche da Laurence D. Fink di BlackRock, non nascono da simpatie ideologiche: sono radicate in dati concreti.
I dazi introdotti a ondate, senza una strategia coerente, hanno compromesso decenni di equilibrio commerciale. Gli investitori stanno abbandonando i buoni del tesoro americani – un tempo rifugio sicuro – con la stessa velocità con cui si fugge da un ristorante infestato da topi.
E non si tratta solo di percezione. Il Treasury market sta vivendo un’erosione di fiducia senza precedenti. Sotto l’apparente retorica protezionista si nasconde una realtà ben più cruda: nessuno vuole giocare a Risiko con un presidente che si comporta come se avesse tre anni e un temperino in mano.
Supply chain e sanità mentale – un binomio impossibile
Nelle sale riunioni delle multinazionali non si discute più solo di ottimizzazione logistica, ma anche di “resilienza psicologica”. La Casa Bianca, con le sue dichiarazioni contraddittorie e i tweet surreali delle 3 di notte, è diventata una variabile di rischio a sé stante nei piani industriali globali.
Nel frattempo, alcuni oligarchi tentano un equilibrismo grottesco: sostengono Trump pubblicamente (per proteggere i propri interessi), mentre rassicurano gli investitori in privato che no, non stanno impazzendo. È come vedere un incendio e dire: “Va tutto bene, abbiamo solo acceso una candela… con una tanica di benzina accanto.”
Una Casa Bianca senza bussola
L’unico ordine che regna nella nuova Casa Bianca è quello alfabetico dei dossier impilati a caso sulla scrivania presidenziale. La confusione interna, alimentata da lotte intestine e assenza di leadership strategica, impedisce perfino ai grandi donatori di far passare un messaggio chiaro a Trump.
C’è un paradosso: chi dovrebbe avere accesso diretto alla leva del potere si ritrova a gridare nel vuoto, mentre l’economia americana – quella vera, fatta di lavoratori, imprenditori, famiglie – si dibatte in una nebbia di incertezza.
Eppure, per qualche inspiegabile motivo, una parte dell’opinione pubblica continua a vedere in tutto ciò un segno di “genialità ribelle”. Ricordiamolo: il caos non è una strategia. È solo caos.
Il non-piano di un presidente fuori controllo
Fermiamoci un momento e riflettiamo su cosa davvero significhi guidare una nazione. Per Trump, la risposta sembra essere: “fare qualunque cosa mi venga in mente, purché rafforzi il mio ego e la mia narrazione.”
Non esiste un piano concreto. Se ne esiste uno, pare scritto da un algoritmo istruito a generare idiozie in serie.
Alcuni analisti, nel tentativo disperato di trovare una logica dietro il delirio, lo paragonano a Nixon. Ma Nixon, con tutti i suoi peccati, recitava la follia per intimidire. Trump la incarna. E chi lo circonda – da consiglieri improvvisati a ministri cangianti – sembra estratto da un casting per un reality show intitolato Come distruggere una superpotenza in 10 mosse.
Perfino George W. Bush, un tempo ridicolizzato per la sua incapacità dialettica, appare ora come uno statista solido. Al confronto con Trump, il Kaiser Guglielmo II potrebbe vincere il premio Nobel per la razionalità.
Né genio né stratega – solo incompetenza e arroganza
Non c’è alcuna mossa geniale, alcun “disegno segreto.” Trump non è un Machiavelli travestito da clown: è un clown convinto di essere Machiavelli. Le sue azioni non sono imprevedibili per finta. Sono semplicemente il frutto di ignoranza, vanità e disprezzo per qualunque competenza.
E qui arriva la parte più inquietante: questa incompetenza è contagiosa. Chi lo segue, chi lo difende, chi ne adotta i toni e i modi, finisce col contribuire a un declino strutturale non solo dell’economia, ma della cultura politica occidentale. È un fenomeno che l’Europa – e in particolare l’Italia – farebbe bene a osservare con attenzione. Perché le copie, si sa, sono spesso peggiori dell’originale.
Siamo ancora in tempo?
I numeri raccontano una storia. E questa storia parla di un esperimento economico, politico e culturale che ha superato da tempo il punto di non ritorno. Ma una cosa possiamo ancora fare: imparare. Studiare il danno, comprenderlo, isolarne le cause e costruire anticorpi, a partire da un rinnovato rispetto per la competenza, la pianificazione e la trasparenza.
Trump passerà – come passano le febbri, lasciando il corpo stremato ma (si spera) più immune.
Sta a noi decidere se vogliamo trasformare questa crisi in una lezione di maturità democratica, o se preferiamo continuare a inseguire il prossimo slogan, il prossimo uomo forte, il prossimo grande bluff.
Per quanto mi riguarda, è ora di tornare ai fondamentali: mercato, merito e metodo. E anche, se posso permettermi, un po’ di serietà.
(Emma Nicheli)
Prompt:
Intro: lo giuro, non avrei più voglia di scrivere su Donald Trump e la sua seconda presidenza. Eppure, da economista, non posso fare a meno di essere sempre più sconcertata, e un filino preoccupata. Considerate questo articolo come la summa di tutti quelli che ho già scritto sull'argomento.
parte 1: L'amministrazione Trump ha causato un caos economico globale, con effetti devastanti sui piani pensionistici, sui risparmi, sui buoni del tesoro e sulle catene di approvvigionamento. Ma questo non ha impatto solo sul cittadino comune. Anche gli oligarchi americani, che hanno investito pesantemente nella sua campagna e hanno sostenuto le sue mosse per beneficiare dei tagli fiscali promessi, sono preoccupati.
parte 2: Jamie Dimon, CEO di JPMorgan Chase, ha espresso preoccupazioni riguardo agli effetti delle politiche di Trump sulla Cina e sull'economia globale. Gli investitori stanno fuggendo dai buoni del tesoro, tradizionalmente considerati sicuri. Dimon ha avvertito di una "turbulenza considerevole" dovuta ai dazi, mentre altri leader finanziari come Laurence D. Fink di BlackRock hanno parlato apertamente di una possibile recessione.
parte 3: La confusione generata dalle notizie provenienti dalla Casa Bianca sta creando incertezza per le aziende che cercano di pianificare le loro catene di approvvigionamento. Alcuni oligarchi continuano a sostenere Trump pubblicamente mentre cercano di rassicurare gli investitori sulla loro sanità mentale.
parte 4: La situazione è ulteriormente complicata dalle tensioni interne alla Casa Bianca e dalla mancanza di una leadership chiara. Gli oligarchi non riescono a comunicare a Trump l'entità del caos economico che ha scatenato, mentre il popolo americano, che costituisce la vera economia e paga le tasse, affronta discussioni preoccupate sul futuro economico.
parte 5: Trump non ha un piano concreto. Se ne ha uno, è considerato un piano malvagio e stupido, ideato da una persona che soffre di deliri di onnipotenza e demenza senile, circondata da altre persone incompetenti. La sua unica vera strategia sembra essere quella di trasformare gli Stati Uniti in una autocrazia. Faccio fatica a trovare un equivalente storico di un leader così incompetente che distrugge una grande potenza per motivi futili. Anche se il Kaiser Guglielmo II potrebbe avvicinarsi per instabilità caratteriale, non era considerato stupido. Perfino George W. Bush Jr appare come un grande statista al confronto.
parte 6: le azioni apparentemente deliranti sono semplicemente il risultato della stupidità e cattiveria. Trump non è imprevedibile perché finge di essere pazzo come Nixon; è semplicemente incompetente, e lo stesso vale per chi lo circonda.
articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5, parte 6; approfondisci dove necessario.
Assumendo la personalità di Emma Nicheli, scrivi un articolo approfondito, con tono serio ma gradevole, non privo di una certa ironia.
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