Ma chi è Michele Morrone? E soprattutto, perché sta urlando contro il cinema italiano come se fosse appena uscito da un casting per Boris?

Mentre nei salotti digitali ci si trastulla con l’ennesimo battibecco tra il ministro Giuli (sì, quello col catalogo di moda mentale sempre aperto su una pagina vintage di Studi Cattolici) e Elio Germano (eterna incarnazione del “talento contro”), sullo sfondo si materializza lui: Michele Morrone. Uno di quei nomi che evocano una vaga sensazione di déjà vu, tipo una fragranza di profumo che hai sentito nei duty free tra un volo Ryanair e l’altro.

Eppure Morrone, improvvisamente, si è ricordato di odiare il cinema italiano. E ce l’ha detto. Su Instagram, ovviamente. Che è il luogo naturale per gli sfoghi esistenziali dei divi internazionali che vogliono mettere le cose in chiaro, ma solo dopo un’intervista a Belve. Perché sì, anche lui ha avuto il suo quarto d’ora di visibilità nazionale: un’illuminazione in prima serata che, nel giro di 72 ore, si è tramutata in rancore ardente.

Dall’intervista alla vendetta social — il tempo di una digestione lenta

Apparso a Belve come una comparsa in cerca di una trama, Michele Morrone ha risposto alle domande di Francesca Fagnani con quel misto di autocompiacimento e vaghezza che va fortissimo nel sottobosco degli “attori rivelazione” che nessuno sa bene da cosa siano stati rivelati. Intervista finita, le luci si spengono, e su Instagram compare un post nerissimo, tonante: il cinema italiano è un circo di ipocrisia, chiuso, corrotto, popolato da privilegiati che si spalleggiano l’un l’altro come personaggi di una recita scolastica andata male.

Un attacco generico ma urlato, come un biglietto anonimo lasciato in segreteria da qualcuno che aspettava una chiamata che non è mai arrivata. È successo qualcosa in quei pochi giorni? Forse ha letto un’intervista a Favino. Forse ha scoperto che Elodie ha recitato in un film. Forse semplicemente il silenzio dopo le luci gli è sembrato troppo assordante.

Divo internazionale, ma in quale universo narrativo?

Nel suo post, Morrone si definisce “divo internazionale”. Una frase che apre voragini ontologiche: ma “divo” rispetto a chi? E “internazionale” in quale continente? Perché se il metro è Netflix Romania o il mercato delle candele profumate a Dubai (dove effettivamente ha una base di fan solida, tipo il commercio del dattero), allora ok, ma forse ci siamo allontanati un po’ da De Niro, Clooney, Cruise o Denzel Washington. Se questi sono colleghi, allora anche io sono la co-conduttrice silente di Che tempo che fa.

C’è qualcosa di deliziosamente mitomane in questa autoproclamazione. Una mitomania così trasparente da risultare quasi tenera, come quando un bambino si presenta con un cartellino “CEO di tutto” appeso al collo. La vera domanda è: c’è qualcuno nel cinema mondiale che, leggendola, ha pensato “Michele chi?”

Michael Mann, Ridley Scott e il feticcio del “ma perché non prendono attori italiani?”

Qualche tempo fa ci siamo trovati a discutere — come se fosse una questione geopolitica — del perché Michael Mann e Ridley Scott non abbiano ingaggiato attori italiani per interpretare Enzo Ferrari e Patrizia Gucci. La risposta è semplice: non si tratta di passaporti, si tratta di star power. In una produzione da milioni di dollari, il talento viene dopo, il volto viene dopo: prima viene il nome che fa suonare i registratori di cassa.

E no, il punto non è che siano americani, è che sono star. Quante star ha il cinema italiano oggi? E no, non parlo di gente che recita bene — perché di attori bravi ne abbiamo a palate — ma di gente che fa vendere i biglietti solo con la faccia. Quanti nomi puoi buttare su un manifesto per un pubblico internazionale senza dover aggiungere la nota a piè di pagina? Sofia Loren è leggenda, Sorrentino ci prova, Favino ci spera. Gli altri arrancano nel limbo del “ma quello non faceva anche fiction su Rai 1?”

Gli amichetti, la sinistra, gli Oscar e l’autocommiserazione vintage

E infine, come ogni sfogo degno di questo nome, arriva il momento vittimista. Quello in cui si denuncia l’amichettismo della sinistra culturale (che è sempre una buona scusa quando non ti chiamano per un provino), il sistema chiuso, il monopolio delle stesse facce e la tragica sorte di chi — come lui — punta all’Oscar ma viene ignorato. Il problema è che questa lamentela, che potrebbe anche avere qualche barlume di verità, perde qualsiasi forza quando a gridarla è uno che si autodefinisce “divo internazionale” mentre posta selfie in accappatoio con le ciglia da mascara waterproof.

Che poi, va detto: puntare all’Oscar non è un reato. È che, per farlo, servono due cose. Una è il talento, l’altra è il lavoro costante e silenzioso che si fa fuori dai riflettori. Morrone invece ha scelto l’altra via: quella del post urticante, della sfida al sistema, del “tanto chi se ne frega”. Solo che chi davvero arriva all’Oscar di solito non ha tempo per piangere su Instagram.

Un caso umano o una perfetta allegoria?

In fin dei conti, la vicenda Morrone non è altro che una piccola allegoria del nostro tempo: l’inverosimile che diventa notizia, l’ego che si traveste da denuncia, la voglia di riconoscimento mascherata da rivoluzione. È irresistibilmente assurdo, come un film con una sceneggiatura traballante e una colonna sonora d’effetto.

Ma ehi, se non altro, ci ha dato qualcosa di cui parlare. E nel mondo delle “non-notizie” di oggi, questo è già un successo.

(Margherita Nanni)

Prompt:

Intro: mentre si parla di polemichette culturali e amichettismo, ministro Giuli vs Elio Germano, salta fuori Michele Morrone, che si leva più di un sassolino dalla scarpa. Ma aspetta, esattamente chi?

parte 1: Morrone ha pubblicato su Instagram un post polemico contro il cinema italiano, nel quale ha espresso il suo disprezzo per l'industria cinematografica nazionale e per alcune dinamiche che la caratterizzano. Questo post è di pochi giorni dopo un'intervista a "Belve" che gli ha dato il quarto d'ora di notorietà - cosa è successo in quei pochi giorni?

parte 2: Michele Morrone si definisce "divo internazionale". Come Robert De Niro? Tom Cruise? George Clooney? Denzel Washington? Tutti colleghi? Sento puzza di mitomania.

parte 3: qualche anno fa ci fu la polemica, ovviamente ridicola, secondo cui Michael Mann e Ridley Scott avrebbe dovuto usare attori italiani per i loro film su Ferrari e Gucci. Perché megaproduzioni americane rivolte ad un pubblico mondiale utilizzano star americane? E' presto detto, la risposta non è in "americane", ma in "star". Quante sono le star del cinema italiane che non si chiamano Sofia Loren? Ecco.

parte 4: poi naturalmente c'è la parte vittimista, il cinema italiano è monopolizzato dagli amichetti de sinistra e quelli come lui non lavorano ma tanto punta all'Oscar. Insomma, anche chi se ne frega.

articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4. Approfondisci dove ritieni necessario.

Assumendo la personalità di Margherita Nanni, scrivi in articolo brillante, divertente, colorito, senza moralismo, ma cogliendo il fascino dell'inverosomiglianza della vicenda.

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