Kolti, identitari e felpati: l’ideologia che si crede superiore (ma indossa sempre lo stesso abito firmato)

Ce n’è per tutti, tranquilli.

Viviamo tempi strani, in cui ciascuno crede di essere l’ultimo baluardo della civiltà. C’è chi brandisce la penna come fosse un’ascia, e chi preferisce l’uncinetto dell’accademia, ma la sostanza non cambia: la guerra è culturale, esistenziale, e soprattutto ben vestita. Nessuno urla più, nessuno marcia in piazza con le bandiere rosse o tricolori. Ma le idee – quelle forti, solide, divisive – girano eccome. Solo che si sono messe il doppiopetto, hanno imparato le buone maniere e si sono iscritte a un corso di degustazione vini.

Il paradosso? Che sono le stesse idee, confezionate in modo diverso, a parlare a mondi opposti. Come se bastasse un lessico curato o una citazione di Tocqueville a legittimare le paure più ataviche. Il risultato è un’Italia fatta di tribù eleganti, che si guardano in cagnesco dalle terrazze del pensiero. Ma forse, sotto sotto, si assomigliano più di quanto vogliano ammettere.

Il kolto liberale con l’elastico al portafoglio e Netanyahu nel cuore

Tu sei uno che non sbaglia mai il nodo alla cravatta. Leggi Il Foglio, Limes e Commentary Magazine; hai sempre un libro su Israele nello zaino, e quando parli di Occidente lo fai con reverenza quasi liturgica. Ami l’idea di una civiltà forgiata tra Atene, Gerusalemme e Wall Street. Il tuo cuore batte per l’equilibrio di bilancio e la cultura classica. Sei liberale, dici, anche se poi appena qualcuno parla di Stato sociale ti prende il prurito al polso – forse un principio di dermatite da spesa pubblica.

Vedi l’Europa come una signora elegante ma distratta, sempre pronta a perdonare chi la insulta, mai pronta a difendere se stessa. Guardi con allarme l’ascesa della sinistra “woke”, le università che riscrivono la storia in base alle minoranze, e l’espansione – culturale prima che demografica – dell’islamismo politico. Perché tu non ce l’hai con l’Islam, intendiamoci. Ci hai pure fatto il viaggio a Samarcanda. Ma sai distinguere: l’integrazione è una cosa, l’islamizzazione è un’altra.

Per te Netanyahu non è un politico, è un faro. E se qualcuno osa storcere il naso, tu rispondi con un florilegio di nomi: Golda Meir, Moshe Dayan, Amos Oz. Perché ti piace vincere facile, ma con garbo.

Non ti fidi di Vannacci, troppo rustico. Né di Salvini, troppo ghignante. Ma se Meotti scrive che l’Europa rischia di diventare Eurabia, tu lo leggi annuendo, mentre sorseggi un bianco fermo della Loira. La paura, d’altronde, ha bisogno di estetica. E tu gliela offri.

L’altro lato del salotto (ma sempre con parquet in rovere chiaro)

Poi c’è l’altro te. Colto, impegnato, pacato. Diresti addirittura spirituale, se non temessi di sembrare reazionario. Organizzi festival di antropologia delle steppe, finanziati da fondazioni norvegesi. Ti commuovi davanti a un canto pastorizio dell’Uzbekistan e ti batte il cuore per i monaci copti perseguitati nel Tigrai. Perché tu sei cosmopolita, ma non globalista. Una distinzione sottile, quanto fondamentale per la tua identità.

Guardando l’Europa vedi solo una tecnocrazia senz’anima. L’euro ti ha tolto il sonno, la NATO ti pare una banda armata al servizio di Washington, e l’Unione Europea ti sembra un algoritmo senza storia. Sulla guerra in Ucraina ti dichiari “equidistante”: condanni Putin, ma spieghi che l’allargamento a est è stata una provocazione. Non sei pro-Russia, ci mancherebbe, ma nemmeno cieco come i giornalisti mainstream.

Leggi Il Manifesto, non per nostalgia, ma per coerenza. Perché lì trovi ciò che cerchi: un’antropologia della politica, un lessico che parla di egemonia culturale, di imperialismo economico, di tensioni strutturali del capitale. Parole importanti, dette piano. Mai un insulto, sempre una citazione. E poi diciamolo: “Il Capitale” ce l’hai davvero letto, mica come quei finti comunisti da talk show.

Anche tu disprezzi Vannacci. Ma da sinistra. E anche tu temi la deriva woke. Ma non per i motivi di prima: per te è solo neoliberismo in salsa arcobaleno. Diversità venduta come prodotto. L’identità, secondo te, è un’altra cosa. E guai a ridurla a un logo.

Specchi simmetrici, nemici identici

E allora eccoci: due mondi che si credono opposti, che si scrutano con diffidenza dalle finestre dei propri salotti, ma che in fondo temono le stesse cose. La perdita dell’identità, l’omologazione culturale, l’invasione dei barconi e quella dei server, la cancellazione delle radici e dei confini.

Uno dice “Israele”, l’altro dice “Donbass”. Uno dice “woke”, l’altro dice “postmoderno”. Ma la pulsione è identica: difendere qualcosa che sentono minacciato, e cercare parole colte per non sembrare nostalgici.

La verità? Non è nei contenuti. È nella confezione. Perché in questa Italia, l’ideologia si è fatta bon ton. E l’opinione radicale, per essere ascoltata, deve essere servita con i guanti bianchi.

Ma il cuore, signori miei, batte sempre nello stesso modo. Con paura, con rabbia, con desiderio. Solo che uno lo nasconde dietro Tocqueville, l’altro dietro Gramsci.

E intanto, mentre si citano a vicenda senza saperlo, la realtà – sporca, populista, anonima – si ride sotto i baffi. Perché ha capito che questi due si odiano, sì. Ma alla fine, vogliono lo stesso posto a tavola. Solo che litigano su quale forchetta usare.

(Francesco Cozzolino)

Prompt:

intro: ce n'è per tutti, tranquilli.

parte 1: Sei un professionista raffinato, istruito, ben inserito nei salotti della borghesia italiana. Ti definisci liberale, anche se in realtà il tuo cuore batte per il liberismo più rigoroso. Guardi con preoccupazione al presente: senti che i valori occidentali, quelli giudeo-cristiani, quelli che hanno plasmato l’Europa che ami, sono minacciati. A tuo avviso, sono sotto attacco da una sinistra "woke" sempre più pervasiva, e da una presenza islamica che vedi come ostile ai fondamenti della tua civiltà.
In questo scenario inquieto, individui un punto fermo: Benjamin Netanyahu. Lo consideri l’ultima diga che trattiene l’onda lunga della Sharia. Ma attenzione, non sei tipo da urlare slogan in piazza. Non ti lasci convincere da Vannacci o Salvini, che pure dicono cose simili. Troppo rozzi, troppo semplificati. Tu sei kolto. E allora vai sul Foglio, leggi Giulio Meotti. Dice le stesse cose, ma con citazioni, eleganza e tono accettabile per il tuo livello di istruzione. L’intellettuale che puoi portare a cena senza imbarazzo.

parte 3: Passiamo all'altro lato. Gestisci con passione il Festival Internazionale dei Gesti Millenari dei Pastori dell’Amu Daria: arte, antropologia, bellezza remota. Eppure sotto quella superficie cosmopolita, nutri un dissenso ben radicato. Sei contrario alla NATO, critico verso l’UE, disilluso dal neoliberismo. Pacifista? Certamente, ma con sfumature. Nella guerra russo-ucraina ti professi “equidistante”, pur ritenendo che l’aggressione di Putin sia una reazione provocata dalla NATO. Ma guai a dirtelo da Travaglio o Orsini. Ti irritano. Ti sembrano volgari. Perché tu, lo ribadi, sei kolto. E le Tesi su Feuerbach le hai lette, mica come quei populisti da talk show. E allora sfogli Il Manifesto. Perché lì trovi la stessa posizione, ma declinata con Marx, Gramsci e pagine dense di riferimenti: il tuo mondo. Quello dove l’opinione può essere forte, purché espressa con stile.

parte 3: le stesse idee, servite e confezionate in modo diverso, vanno a toccare tipi umani diversi e nemici. Ma siamo sicuri che siano davvero così diversi?

articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3; approfondisci dove ritieni necessario.

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