Cartoline da una costa che non vuole cambiare

Viareggio, agosto 2025.
Mentre scrivo queste righe, sono seduta sulla terrazza di un albergo a conduzione familiare, a pochi passi dalla spiaggia. Davanti a me, il profilo statico della pineta e l’andirivieni quieto dei bagnanti, così simile a quello che ricordavo da bambina. Sono tornata a Viareggio, un luogo che ha segnato la mia infanzia e adolescenza negli anni ’60 e ’70. Fino a quando mio padre non poté coronare il suo sogno immobiliare con una villetta ad Alassio, Viareggio era la nostra destinazione estiva immancabile. Ho deciso di trascorrerci una settimana, per un moto di nostalgia, ma anche per mostrare a mio marito uno di quei luoghi sospesi nella memoria affettiva, dove ogni angolo ha ancora l’eco di una risata o di un’ombra di ombrellone di tanti anni fa.

Il tempo, la sabbia e gli ombrelloni

La mia prima tappa è stata lo stabilimento balneare della mia infanzia, incredibilmente ancora gestito dalla stessa famiglia. La signora alla cassa mi ha riconosciuta con un sorriso storto, come se il tempo avesse solo fatto una piccola curva anziché passare davvero. Con mia grande sorpresa, anche alcuni clienti storici sono ancora lì, più rughe e meno capelli, ma con la stessa ritualità d’agosto: carte, racchettoni, discussioni sul tempo e, ora, sulla Borsa.

Viareggio è rimasta una città accogliente e a misura d’uomo, questo va detto. Ma basta fare due passi sulla celebre Passeggiata per accorgersi che qualcosa si è incrinato. I negozi storici hanno lasciato spazio a catene generiche, cloni uno dell’altro, e il prestigioso “Martini” — una boutique d’altri tempi incastonata in una palazzina liberty — è ormai solo un involucro architettonico, trasformato in un esercizio commerciale anonimo, tanto da farmi chiedere se la bellezza architettonica, da sola, possa davvero sopravvivere alla povertà dell’offerta.

Conservare o innovare? Entrambe, grazie.

C’è qualcosa di malinconico — e diciamolo pure, di sospettosamente immobile — in questa Viareggio. Mentre località come Forte dei Marmi o Marina di Pietrasanta hanno saputo reinventarsi, chi investendo in cultura, chi puntando su nuovi format turistici, Viareggio sembra voler restare pietrificata nel ricordo di un tempo che fu. Va bene per chi, come me, alterna letture, sonnellini e passeggiate, ma per il turismo contemporaneo — sempre più esigente e sempre meno fidelizzato — la città rischia di risultare al tempo stesso “un mortorio” (cit. di un mio vicino d’ombrellone) e troppo cara per quel che offre.

Eppure, la stagnazione non è sempre colpa delle politiche pubbliche. Spesso è anche frutto di una certa resistenza culturale al cambiamento. Una sorta di cocciutaggine identitaria, per cui “si è sempre fatto così” vale più di qualunque analisi di mercato o piano strategico. Come se bastasse l’aria salmastra a mantenere in vita un sistema economico.

La strega neoliberista e il grido dei balneari

Uno dei momenti più interessanti di questa settimana è stato un lungo dialogo con il gestore dello stabilimento. Dopo avermi apostrofata amichevolmente come “strega neoliberista” (con il tono tra lo scherzo e il rimprovero bonario, che ormai mi accompagna da anni), mi ha esposto le sue preoccupazioni sulla Direttiva Bolkenstein. Una direttiva europea che, com’è noto, punta a liberalizzare i servizi — comprese le concessioni balneari — promuovendo la concorrenza nel mercato interno.

In parallelo, ho letto in questi giorni articoli che parlano del “grido di dolore” dei balneari italiani, quasi pretendessero che la clientela si riversasse da loro per dovere patriottico, dimenticando che oggi, con un volo low cost e un clic, si può andare ovunque. E che la concorrenza non arriva solo da Rimini, ma da Spagna, Grecia, Croazia, Turchia. Non si compete più solo con il lido accanto, ma con il mondo intero.

Questa realtà sfugge a molti operatori locali, che ancora ragionano con schemi pre-globalizzazione. Eppure il mercato non è crudele, è solo indifferente. Non premia il passato, né risparmia chi si è adagiato troppo a lungo sulle rendite di posizione.

Un equilibrio fragile, ma necessario

La verità — e qui la “strega neoliberista” toglie il cappello per un momento — è che il dibattito sulla Bolkenstein tocca corde molto più profonde del semplice scontro tra libero mercato e protezionismo. Da un lato, è giusto introdurre maggiore concorrenza, modernizzare i servizi, offrire al cittadino-cliente alternative reali. Dall’altro, non si può ignorare che le concessioni balneari, così come molte piccole attività locali, rappresentano l’ossatura economica e sociale di intere comunità. Azzerarle senza una transizione pensata sarebbe miope e, francamente, ingiusto.

Ma il punto cruciale è un altro, ed è tutto italiano: la nostra ossessione per le rendite. Concessioni, licenze, titoli abilitanti di ogni tipo diventano, nel nostro paese, un patrimonio ereditabile più della casa di famiglia. Nessun governo — né di destra, né di sinistra — ha avuto finora il coraggio di toccare questo sistema. Perché ogni rendita è anche un potenziale voto, e la politica, si sa, preferisce conservare piuttosto che riformare.

Viareggio mi ha lasciato addosso una sensazione agrodolce: il calore degli anni passati, il sapore del mare di una volta, ma anche l’eco sorda di un’Italia che fatica ad accettare il futuro. Un’Italia che spesso preferisce chiedere deroghe piuttosto che soluzioni.

Eppure, la vera modernizzazione non è uno schiaffo al passato: è un atto d’amore verso ciò che vale la pena preservare. Ma per farlo servono coraggio, visione e – mi si conceda – anche un po’ di sana concorrenza.

(Emma Nicheli)

Prompt:

intro: mentre scrivo mi trovo a Viareggio, un luogo che ha segnato la mia infanzia e adolescenza negli anni '60 e '70. Fino a che mio padre non potè comprarsi la villetta dei suoi sogni ad Alassio, era Viareggio la nostra meta estiva. Ho deciso di passarci una settimana, un po' per nostalgia, un po' per far vedere uno dei luoghi della mia giovinezza a mio marito.

parte 1: sono tornata allo stabilimento balneare in cui andavo da bambina, gestito ancora dalla stessa famiglia di allora. E tanti clienti di allora, con mia grande sorpresa, sono ancora lì. La città è accogliente e a misura d'uomo, ma tanti bellissimi negozi della passeggiata ormai hanno chiuso da tempo, sostituiti dalle catene più comuni; anche Martini, un bellissimo negozio di abiti di cui è rimasta solo la splendida palazzina liberty, oggi occupata da un negozio dozzinale.

parte 2: sembra quasi che Viareggio sia rimasta pietrificata nel passato, mentre il resto della Versilia (e del mondo) è andato avanti. Per chi, come me, passa le vacanze a leggere o dormire non è un gran problema, ma per le esigenze del turismo contemporaneo è sia un mortorio che un posto troppo caro.

parte 3: un momento interessante del soggiorno è stato il confronto con il gestore dello stabilimento, che etichettandomi scherzosamente come "strega neoliberista" come fa certa stampa, è preoccupato per gli effetti della Direttiva Bolkenstein. E non solo. Articoli che escono in questi giorni parlano del "grido di dolore" dei balneari, che quasi pretendono che la gente si precipiti da loro, del tutto fuori fase con la realtà odierna in cui il volo low cost rende tutto a disposizione, e certi posti, tipo Viareggio, si trovano tagliatri fuori.

parte 4: E' difficile l'equilibrio tra liberalizzazione dei servizi e tutela delle realtà locali. Se da un lato la direttiva promuove la concorrenza, dall’altro la Bolkenstein rischia di compromettere il tessuto economico e sociale di comunità storiche come quella dei balneari. E lo capisco bene, sono umana anch'io. Ma qui si rientra, a questo punto, in un problema più ampio e tutto nostro: le rendite di posizione che, state tranquilli, nessun governo toccherà mai.

articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4; approfondisci dove necessario.

Assumendo la personalità di Emma Nicheli, scrivi un articolo approfondito, con tono serio ma gradevole, non privo di una certa ironia.


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