E alla fine sgombrarono il Leonka

Nato nel 1975, il Leoncavallo era uno dei centri sociali più storici d’Italia, il più simbolico, quello che in tre lettere (CSO) condensava quarant’anni di storia, conflitti, sogni e cialtronerie. Dal 1994 occupava senza titolo l’immobile di via Watteau a Milano, diventando un faro della cultura alternativa, un laboratorio di esperienze sociali, un palco aperto ai più disparati esperimenti politici e artistici. Tutto vero. Ma era anche un’occupazione abusiva, e questo lo sapevano bene tutti.

Da “sfrattati” a monumento vivente.
La proprietà dell’edificio – la famiglia Cabassi, attraverso la società L’Orologio srl – aveva chiesto lo sgombero ufficialmente già nel 2003. Da allora, ventidue anni di rinvii: oltre 130 esecuzioni mai portate a termine. Roba che in qualunque altro Paese sarebbe finita in due settimane, qui in Italia è diventata routine. Un balletto tra notifiche, ricorsi, rinvii per “motivi di ordine pubblico”, conditi da quella sorta di tolleranza politica che a sinistra e a destra ha sempre fatto comodo quando si trattava di non pestare i piedi a comunità radicate. Lo stesso identico trattamento che da anni permette a Casapound di stare indisturbata nello stabile di via Napoleone III, a Roma. Legalità a intermittenza, insomma: colpisci un centro sociale, tolleri i fascistelli.

Il colpo di grazia della magistratura.
Il punto di svolta è arrivato a novembre 2024, quando la Corte d’Appello di Milano ha condannato il Ministero dell’Interno a risarcire i Cabassi: 3,3 milioni di euro per due decenni di inerzia. Non bruscolini, e soprattutto non più rinviabili. La magistratura ha sbattuto il conto sul tavolo del Viminale: o sgomberate o pagate. Dopo un’ultima notifica che fissava la data al 9 settembre 2025, le forze dell’ordine hanno anticipato i tempi. La mattina del 21 agosto, all’alba, la Digos e la polizia hanno sfondato i cancelli di via Watteau, mettendo la parola fine al Leoncavallo. Una decisione netta, chirurgica, che ha chiuso quarant’anni di storia con un blitz estivo.

La destra canta vittoria, il Paese si divide.
Il governo – Meloni, Salvini e Piantedosi in coro – ha salutato lo sgombero come una “vittoria della legalità”, come se davvero la stabilità di un Paese dipendesse da un capannone di Milano. Piantedosi ha ribadito la sua linea della “tolleranza zero” contro le occupazioni abusive, recitando la parte dello sceriffo inflessibile. Ma, diciamolo chiaramente, è ridicolo che un Primo Ministro si preoccupi di un centro sociale come se fosse Al Qaeda. La verità è che sgomberare il Leonka serve più alla propaganda che al ripristino del diritto. Non cambia nulla nella vita degli italiani, ma offre un trofeo alla destra: ecco, abbiamo messo fine a decenni di illegalità tollerata.
Dall’altra parte, il mondo dei centri sociali e la galassia della sinistra alternativa hanno reagito con rabbia e dolore, parlando di “atto repressivo” e di “ferita inferta a Milano”.

Il valore culturale, spazzato via a manganellate.
Perché il Leoncavallo non era solo un abuso edilizio. In trent’anni ha ospitato migliaia di concerti, dibattiti, iniziative sociali, ha trasformato uno spazio abbandonato in una fabbrica di cultura popolare. Dai centri di assistenza per i migranti ai festival musicali, dalle rassegne cinematografiche agli sportelli legali gratuiti, fino alle cucine popolari: il Leonka è stato un luogo che ha riempito vuoti che lo Stato lasciava scoperti. Nonostante tutto, l’immobile è stato riconsegnato alla proprietà. Le associazioni che lo animavano hanno già avviato una raccolta fondi e presentato al Comune di Milano una manifestazione d’interesse per un altro stabile, in via San Dionigi. Non mollano: la storia non finisce qui.

L’Italia delle pantomime.
E qui arriviamo al nodo. In un Paese serio non esistono 130 ordinanze di sgombero che restano lettera morta. Se la linea è la tolleranza, abbi il coraggio di dichiararlo. Se invece la linea è il pugno duro, esegui la sentenza senza trasformarla in una farsa ventennale. Questa schizofrenia tutta italiana produce solo mostri: da una parte lo Stato che si arrende per decenni, dall’altra lo Stato che si sveglia improvvisamente e fa lo sgombero con i blindati. Una recita logorante, utile solo a creare tensioni e frustrazione.

L’importante adesso è che il Leonka sopravviva altrove. Non come clandestino, ma come soggetto riconosciuto, sulla scia dei modelli tedeschi o nord-europei, dove gli spazi occupati diventano co-gestiti insieme alle amministrazioni, regolamentati ma liberi di produrre cultura. Perché il vero scandalo non è che il Leoncavallo sia stato sgomberato. Il vero scandalo è che in Italia non esista ancora un modello adulto di convivenza tra legalità e controcultura. Qui siamo ancora fermi alla logica medievale: sgombero o occupazione. O bianco o nero. E il grigio, che spesso è il colore della civiltà, non sappiamo nemmeno dove stia di casa.

(Roberto De Santis)

Prompt:

intro: e alla fine sgombrarono il Leonka. nato nel 1975, era uno dei centri sociali più storici d'Italia. Dal 1994 occupava senza titolo l'immobile di via Watteau a Milano, diventando un simbolo di cultura alternativa, attività sociali e politiche. Nonostante il suo valore per la comunità, l'occupazione è sempre stata abusiva.

parte 1: La proprietà (la famiglia Cabassi, attraverso la società "L'Orologio srl") ha richiesto ufficialmente lo sfratto dal 2003. In 22 anni, l'esecuzione è stata rinviata oltre 130 volte a causa di complicazioni procedurali e, secondo alcune opinioni, di tolleranza politica. Probabile, non dico di no - le stesse che permettono da anni a Casapound di occupare lo stesso stabile.

parte 2: Il punto di svolta legale si è avuto a novembre 2024, quando la Corte d'Appello di Milano ha condannato il Ministero dell'Interno a risarcire 3,3 milioni di euro ai proprietari per il mancato sgombero e l'inerzia nell'eseguire la sentenza di sfratto. Dopo un'ultima notifica che fissava l'intervento per il 9 settembre 2025, le forze dell'ordine hanno invece eseguito lo sgombero in modo anticiapato la mattina del 21 agosto 2025.

parte 3: Il Governo (Meloni, Salvini, Piantedosi) ha definito lo sgombero una vittoria della legalità, mettendo fine a "decenni di illegalità tollerata". Il Ministro Piantedosi ha sottolineato la linea di "tolleranza zero" del governo verso le occupazioni abusive. Ma non vi pare ridicolo un Primo Ministro che si preoccupa di un centro sociale? Attivisti e sostenitori hanno espresso dolore e rabbia.

parte 4: Il valore culturale del Leoncavallo è riconosciuto da molti: in 30 anni ha ospitato migliaia di eventi, concerti e attività sociali, riqualificando uno spazio abbandonato e offrendo servizi alla comunità. L'immobile è stato riconsegnato alla proprietà. Le associazioni legate al Leoncavallo, che avevano già avviato una raccolta fondi e presentato al Comune una manifestazione d'interesse per un altro stabile (in via San Dionigi), sperano di trovare una nuova sede legale per continuare le loro attività.

parte 5: L'unica cosa che mi chiedo è come mai in un paese fai 130 ordinanze di sgombero che sai che non servono a nulla ? A questo punto, se la tua linea è la tolleranza non fai prima a non fare quella pantomima ? L'importante ora è che il Leonka possa riprendere altrove, magari seguendo l'esempio della Germania o del nord Europa e del loro modo di co-gestire legalmente gli equivalenti dei CSOA.

articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5. Approfondisci dove ritieni necessario.

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