L’interesse nazionale non è una malattia

In nessun’altra parte del mondo il concetto di “interesse nazionale” è considerato una parolaccia come in Italia. Negli Stati Uniti lo rivendicano con orgoglio, in Francia lo trasformano in dottrina, in Russia lo scolpiscono nella pietra. Da noi, appena lo pronunci, scatta la smorfia di sospetto: “Attento, sembri di destra…”. Peggio ancora: sembri patriottico. E allora guai. Il bello è che questa diffidenza non nasce solo nella sinistra, ma anche nel centro moderato, sempre pronto a genuflettersi davanti alla “comunità internazionale” come fosse un idolo laico.

E così la politica estera italiana diventa una continua esercitazione morale. Passiamo le giornate a denunciare le colpe delle democrazie occidentali – gli Stati Uniti guerrafondai, Israele oppressore – come se il nostro compito fosse distribuire pagelle etiche, non difendere i nostri cittadini o le nostre imprese. Intanto, quando si tratta di parlare della Cina che fa shopping di porti e aziende, o della Russia che ci tiene in ostaggio col gas, ci mettiamo in modalità silenzio imbarazzato. Evidentemente criticare chi ti dà schiaffi veri costa più fatica che indignarsi contro l’amico che ti invita a cena.

Eppure una politica estera degna di questo nome dovrebbe occuparsi di ben altro. Garantire sicurezza ai cittadini, dentro e fuori i confini. Difendere le imprese italiane che combattono nel mercato globale contro colossi protetti da governi aggressivi. Sostenere la ricerca scientifica, perché chi controlla la tecnologia controlla anche il potere. Proteggere i confini – e non solo con slogan elettorali – in un Mediterraneo che è tornato a essere una polveriera. E soprattutto assicurare a chi vive e lavora all’estero che lo Stato italiano non li abbandonerà mai.

Non è un’utopia: lo abbiamo fatto in passato. Prendiamo Enrico Mattei, tanto osannato quanto demonizzato. La sua politica filo-araba era raccontata come “anti-coloniale”, quasi fosse una crociata ideologica. In realtà, l’obiettivo era molto più semplice e concreto: conquistare l’indipendenza energetica dell’Italia, non restare schiavi delle “Sette Sorelle”. La retorica anti-imperialista era solo il contorno – utile a convincere i partner del momento – ma il piatto forte era l’interesse nazionale. Non un romanticismo terzomondista, ma un calcolo spietato: o ci assicuriamo il petrolio a condizioni migliori, o restiamo una colonia economica.

Certo, attorno alla figura di Mattei si è costruito un mito, e con esso anche una montagna di complotti sulla sua morte. Ma a prescindere dal mistero dell’aereo precipitato, ciò che conta davvero non è il giallo, bensì l’eredità politica: un modello che, pur con limiti e opacità, metteva al centro un obiettivo nazionale concreto.

Oggi, invece, ci resta solo la retorica. La parte accessoria – i sermoni anti-coloniali, i discorsi moralisti – è diventata la politica principale. Il risultato? Siamo il paese che parla di giustizia universale e diritti umani mentre i nostri cantieri navali chiudono, le nostre aziende vengono comprate a saldo, e i nostri confini sono gestiti da chiunque tranne che da noi.

Se non vogliamo scomparire dal palcoscenico del mondo, dobbiamo smetterla con i complessi di inferiorità. Basta con l’idea che “interesse nazionale” significhi aggressività o provincialismo. Al contrario, significa realismo. Significa tornare a fare politica estera non per sentirci più buoni, ma per essere più forti. Perché un’Italia che difende se stessa non è una minaccia per nessuno, ma una garanzia per i suoi cittadini.

Ed è ora che qualcuno lo dica chiaro: la morale da sola non riempie i serbatoi, non difende le frontiere e non salva le imprese. Ci vuole un ritorno a una politica estera che parta da una semplice domanda: cosa conviene all’Italia? Tutto il resto sono chiacchiere da salotto.

(Francesco Cozzolino)

Prompt:

L'articolo deve: Sviluppare la tesi secondo cui l'Italia è un caso unico al mondo dove il concetto di "interesse nazionale" viene considerato con sospetto, soprattutto da parte della sinistra e del centro Criticare la tendenza della politica estera italiana a concentrarsi sulla denuncia morale di democrazie come USA e Israele, invece che su obiettivi concreti Elencare cosa una politica estera seria dovrebbe garantire: sicurezza, difesa delle imprese, avanzamento scientifico, protezione confini e cittadini all'estero Analizzare il caso storico della politica filo-araba di Mattei, distinguendo tra l'obiettivo reale (indipendenza energetica) e la retorica accessoria (anti-colonialismo) Sottolineare come quel modello, pur con i suoi limiti e corruzione, avesse almeno un obiettivo nazionale concreto Denunciare come oggi quella retorica accessoria sia diventata la politica principale, con conseguenze negative per il paese Concludere con un appello a tornare a una politica estera realistica e centrata sull'interesse nazionale italiano

Assumendo l'identità di Francesco Cozzolino descritta sopra, scrivi un Articolo; usa un tono irriverente. Utilizzare un linguaggio incisivo e esempi concreti. Mantenere un approccio critico ma costruttivo nella conclusione.

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