
La questione dell’arte sotto assedio dei buoni merita un ulteriore sguardo, non tanto sugli artisti ancora attivi e sotto pressione, ma sulla categoria più penosa e insieme più grottesca: i bolliti. Quelli che capiscono al volo di trovarsi davanti a un inaspettato giro di giostra, e ci saltano sopra con la stessa grazia di un cinquantenne in calzoncini su una giostra per bambini. Il comico in disarmo come il trombettista jazz per parrucchieri sono solo gli esempi più recenti: figure che non riempiono più nemmeno la sala prove, ma che all’improvviso scoprono di avere ancora una voce — e, miracolosamente, la tirano fuori proprio quando l’indignazione collettiva promette un ritorno di visibilità.
È un fenomeno che, più di ogni altro, rivela il degrado morale del nostro tempo: la strumentalizzazione del dolore come scorciatoia per riemergere dal dimenticatoio. Artisti dimenticati, comici televisivi, politici marginali e professori mediocri che, dopo anni passati a coltivare irrilevanza, si improvvisano paladini dei diritti umani. Non per un sincero risveglio della coscienza, ma per riaccendere i riflettori su sé stessi. È la logica della seconda opportunità senza merito: se la tua carriera è stata piatta, ti basta sventolare lo slogan giusto nel momento giusto per ottenere la resurrezione catodica.
Così nascono festival, cortei e dichiarazioni altisonanti che — facciamocene una ragione — non hanno alcun impatto reale sulle tragedie che pretendono di denunciare. Nessuno a Gaza, nessuno a Mariupol, nessuno in Congo avrà la vita salvata perché un ex cabarettista ha twittato un “Stop the war” corredato di cuoricini arcobaleno. Nessun bambino palestinese mangerà grazie a un jazzista stagionato che suona “Imagine” davanti a cinquanta persone e a tre telecamere locali. Eppure questi gesti continuano a proliferare, perché il loro scopo non è incidere sul reale, ma reimmettere in circolazione volti, nomi e brand personali. È autopromozione travestita da impegno civile.
Questi eventi sono le nuove discoteche della virtù: luoghi dove non si balla, ma si agitano slogan come fossero braccia alzate. Il ritmo non è scandito dal basso elettrico ma dal mantra del momento: “Ce lo chiede la coscienza”. Solo che la coscienza, quella vera, non ha mai chiesto nulla a nessuno: è muta, tormentata, ambigua. Quella che viene agitata oggi, invece, è un gadget da palco, un accessorio da sbandierare. Il risultato? Un’ora di applausi, qualche articolo compiacente, un paio di clip virali. Il vuoto interiore riempito come un bicchiere di plastica alla sagra di paese.
E poi c’è il passaggio più scivoloso: Gaza. Non come luogo reale di macerie e sangue, ma come brand morale, parola-chiave, hashtag da aggiungere al curriculum. La tragedia diventa un palcoscenico e i bolliti ci saltano sopra con entusiasmo. “Sono dalla parte giusta”, dichiarano, senza capire nulla di ciò che accade davvero, senza la minima complessità, senza l’onere di un’analisi politica o storica. L’importante non è la verità, ma la patente di bontà. In questo gioco perverso, Gaza smette di essere un luogo del mondo e diventa un certificato da esibire per poter dire: “Anch’io esisto ancora”.
È pornografia dell’indignazione: l’uso compulsivo del dolore altrui come materiale da palinsesto. È il trionfo della vanità mascherata da coscienza. Non importa se ieri eri un volto comico di serie B, un cantante dimenticato o un professore che nessuno leggeva: oggi puoi tornare a circolare, puoi ringalluzzirti, puoi ottenere nuovi inviti in trasmissioni, festival, panel, conferenze. Tutto per il semplice fatto di essere dalla parte dei buoni e quasi famosi.
E allora ditemi: notate differenze con i reduci dei reality che girano per sagre in cerca d’autorevolezza? No? Benissimo, perché non ci sono. Solo che almeno i reduci dei reality non fingono di incarnare la tragedia del mondo. Vendono intrattenimento spicciolo, e lo ammettono. I bolliti dell’indignazione, invece, vendono dolore altrui come biglietto di ritorno alla ribalta. E questo, più che penoso, è il vero insulto.
(Luigi Colzi)
Prompt:
Intro: la questione dell'arte sotto assedio dei buoni, naturalmente, merita un ulteriore sguardo. Quello che si concentra sulla categoria più penosa: i bolliti che capiscono al volo di trovarsi di fronte ad un inaspettato giro di giostra. Il comico in disarmo come il trombettista jazz per parrucchieri sono solo gli esempi più recenti.
parte 1: è un fenomeno che più di ogni altro rivela il degrado morale del nostro tempo: la strumentalizzazione del dolore per ottenere visibilità. artisti dimenticati, comici televisivi, politici marginali e professori mediocri che, dopo una carriera di irrilevanza, si improvvisano paladini dei diritti umani solo per riaccendere i riflettori su sé stessi.
parte 2: Organizzano festival, cortei e dichiarazioni altisonanti che—facciamocene una ragione—non hanno alcun impatto reale sulle tragedie che pretendono di denunciare. Sono solo operazioni di autopromozione travestite da impegno civile.
parte 3: Questi eventi sono le nuove discoteche della virtù: non spazi di lotta, ma luoghi dove agitare slogan invece di ballare, per riempire il proprio vuoto interiore con un'ora di applausi e visibilità.
parte 4: È pornografia dell’indignazione. È il trionfo della vanità mascherata da coscienza. E naturalmente non può essere presa seriamente: i bolliti si ringalluzziscono e ottengono nuovi inviti in trasmissioni, manifestazioni, panel, conferenze, e tutto per il semplice essere dalla parte dei buoni e quasi famosi. Notate differenza con gli usciti dai reality in cerca d'autore? No? Ecco. Perché oggi si paga in visibilità.
Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4; esplora approfonditamente tutto quanto è emerso.
Assumendo la personalità di Luigi Colzi, scrivi un articolo, usando un tono sarcastico e arguto.
Scopri di più da Le Argentee Teste D'Uovo
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.