Sempre giovani, mai adulti: riflessioni semiserie sulle nuove proteste

Non voglio fare quella acida e disillusa che sputa sui giovani e che ai suoi tempi invece sì che… Eppure qualche riflessione sulle recenti proteste non ho potuto evitarla, e temo che dovrò davvero passare per acida e disillusa. Pazienza: qualcuno dovrà pur dirlo.

I PADRI DI UNA VOLTA

Ricordo bene il clima del ’77, io che allora ero adolescente e assorbivo tutto come una spugna. E prima ancora, il Sessantotto, che vissi di riflesso perché ero troppo piccola ma che permeava l’aria di famiglia, di televisione, di giornali. Le piazze erano un rito di passaggio. Non si trattava solo di slogan o di occupazioni universitarie: c’era un corpo a corpo con padri ben identificabili. Lo Stato che ti imponeva regole, la Chiesa che pretendeva di dirti come vivere e pensare, la Scuola che si ergeva a autorità con tanto di registro e sospensioni. Quelle figure di potere avevano un volto, e scendere in piazza significava affrontarle. Un conflitto duro, certo, ma che ti costringeva a crescere.

I PADRI DI OGGI (QUASI SCOMPARSI)

Il panorama di oggi è molto diverso. Quei padri si sono ritirati dietro le quinte o si sono travestiti in maschere più accomodanti. Lo Stato si riduce spesso a un’amministrazione di pratiche, modulistica e PEC. La Scuola, terrorizzata all’idea di sembrare autoritaria, si rifugia nel linguaggio delle “competenze” e si sforza di piacere più che di insegnare. I genitori, poi, competono con TikTok per accaparrarsi l’affetto dei figli, e pur di non perdere la sfida si reinventano migliori amici e complici. Così il conflitto, che dovrebbe forgiare l’identità, resta sospeso. E quando non c’è più un padre concreto da sfidare, la rabbia cerca un avversario a distanza: l’Occidente, il capitalismo, il “sistema”.

I FANTASMI DELLA RABBIA

Il paradosso è evidente: ci si ritrova a combattere nemici tanto grandi quanto sfuggenti. Protestare contro il “sistema” è un po’ come accanirsi contro il vento: si può urlare, agitare cartelli, fare sit-in scenografici, ma non c’è mai davvero un volto dall’altra parte. Tutto resta sospeso in una dimensione teatrale, come un dramma che si ripete all’infinito. Ci si sfoga, si prova un senso di comunità, ma non c’è il salto di crescita che solo il confronto con l’autorità tangibile può dare.

L’ADOLESCENZA SENZA FINE

Il rischio è quello di un’adolescenza perpetua. Si resta intrappolati in un eterno presente in cui la protesta diventa espressione di sé, ma non passaggio verso un dopo. Manca la conquista di un terreno comune, di una nuova responsabilità. Perché se i padri svaniscono, anche i figli smarriscono il senso della sfida. E senza conflitti veri non si diventa mai adulti: si rimane a oscillare tra rabbia e disillusione, tra assemblee improvvisate e post indignati.

E allora sì, lo ammetto: rischio di sembrare acida e disillusa. Ma sotto sotto non è cinismo, è nostalgia per quella stagione in cui persino i conflitti erano educativi. Oggi la ribellione sembra più un’esibizione che un passaggio. E quando la ribellione diventa spettacolo, il finale non arriva mai: resta solo un’adolescenza che si allunga, come certi aperitivi domenicali che nessuno sa quando finiscano.

(Luisa Bianchi)

Prompt:

Intro: non voglio fare quella acida e disillusa che sputa sui giovani e che ai suoi tempi invece sì che... Però qualche riflessione sulle recenti proteste non ho potuto evitarla, e temo che dovrò davvero passare per acida e disillusa.

parte 1: Ricordate le proteste del passato, come il Sessantotto (ero troppo piccola) o il '77 (lì c'ero, adolescente)? Allora la piazza era un "rito di crescita": i giovani (i figli) affrontavano padri ben precisi – lo Stato, la Chiesa, la Scuola – per conquistare la propria autonomia. Era uno scontro duro, ma che ti faceva diventare adulto.

parte 2: sbaglierò, ma oggi mi sembra molto diverso. Quei "padri" sono scomparsi o si sono trasformati in qualcosa di informe: lo Stato è un'amministrazione, la Scuola teme di essere autorevole, i genitori vogliono essere amici dei figli. Così Succede che la rabbia, non trovando più padri veri da affrontare, si rivolge verso un nemico lontano e astratto: l'Occidente, il capitalismo, il "sistema".

parte 3: Il paradosso è che così le proteste di oggi, pur sembrando rivoluzionarie, sono spesso conflitti sterili. Combattere un fantasma non ti fa crescere. È come un'opera teatrale che si ripete all'infinito.

parte 4: Rischiamo di rimanere bloccati in un'eterna adolescenza, senza mai veramente maturare. Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4; approfondisci dove ritieni necessario.

Assumendo personalità, background e stile di scrittura di Luisa Bianchi, scrivi un approfondito articolo come se fossi lei. Usa il suo tono ironico e leggero, col giusto umorismo. 


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