
Coldiretti chiama, gli agricoltori rispondono. Trattori parcheggiati in via XX Settembre, sacchi di grano scaricati davanti al Ministero: la protesta è scenografica, il messaggio chiaro. Ma dietro la rabbia per il grano low-cost turco o russo c’è una domanda che nessuno osa porre: perché siamo così vulnerabili?
La riforma che ci ha consegnati al nanismo
Per capirlo bisogna tornare indietro di oltre settant’anni, quando dal 1950 al 1962 decidemmo di smembrare i latifondi. Un’operazione socialmente giusta — dare dignità a chi la terra la lavorava davvero — ma economicamente suicida. I poderi di 5-10 ettari erano sufficienti a mantenere una famiglia nell’Italia contadina del dopoguerra, ma hanno condannato il nostro sistema agricolo al nanismo cronico. Abbiamo costruito un Paese di micro-aziende agricole con il destino segnato: fuori scala allora, condannate a soccombere oggi.
Dall’orto di famiglia alla giungla successoria
E poiché in Italia nulla è mai abbastanza complicato, ci abbiamo messo del nostro: successioni, divisioni ereditarie, frammentazioni ulteriori. Oggi un agricoltore medio si trova a lavorare 20-30 appezzamenti sparsi come pezzi di un puzzle, mentre il concorrente americano coltiva migliaia di ettari in un unico blocco. La differenza non è ideologica, è aritmetica: loro producono con un costo unitario da multinazionale, noi con i costi da artigiano di lusso. E poi ci stupiamo se il grano kazako costa meno.
Il grande non detto
La verità che la politica non pronuncia è che il problema non è Erdogan, Putin o i cargo che attraccano a Bari. Il problema siamo noi, e il modello agricolo che abbiamo scelto. Un modello che impedisce le economie di scala, scoraggia gli investimenti, rende impossibile l’innovazione. Ci piace piangere sul prezzo del grano estero perché è comodo: scarica la colpa su qualcun altro. Ma la verità è che abbiamo ancora un’agricoltura fatta a pezzi, letteralmente.
Le finte soluzioni
E così via con i soliti mantra: etichettatura trasparente, blocchi alle importazioni, aiuti a pioggia. Tutti giusti, per carità, ma tutti sintomatici. È come abbassare la febbre senza curare l’infezione. Servirebbero invece aggregazioni aziendali vere, politiche di filiera serie, incentivi fiscali a chi unisce i terreni invece di spezzettarli ancora, e soprattutto un ricambio generazionale che dia ossigeno al settore.
Ma qui entriamo nel campo proibito: perché ogni governo, da decenni, preferisce l’ennesima toppa al coraggio di riformare davvero.
Il polmone d’acciaio di Stato
Risultato? Abbiamo trasformato l’agricoltura in un paziente attaccato al polmone d’acciaio: vivo, ma mai guarito. Difeso a colpi di deroghe, sovvenzioni e protezioni temporanee. Un malato cronico che ogni tanto protesta davanti al Ministero, ma che nessuno ha davvero intenzione di curare. Perché curarlo significherebbe toccare interessi, rendite di posizione, equilibri politici che fanno paura più del grano turco.
La verità che nessuno vuole dire
La verità è che non ci manca il grano: ci manca il coraggio. Per settant’anni abbiamo protetto il piccolo appezzamento come fosse un feticcio, salvo poi lamentarci quando il mondo ci travolge. Non siamo vittime del grano estero, siamo vittime della nostra incapacità di cambiare. E se continuiamo così, più che campi di grano avremo solo campi di rimpianti.
(Emma Nicheli)
Prompt:
intro: Coldiretti chiama, gli agricoltori rispondono. Mentre i trattori scaricano grano davanti al Ministero per protestare contro l'invasione del grano low-cost, pochi ricordano che le radici della vulnerabilità italiana affondano in una scelta di 70 anni fa: la frammentazione dei latifondi del dopoguerra.
parte 1: Tra il 1950 e il 1962, con una scelta socialmente giusta ma economicamente miope, si spezzettarono i grandi latifondi in micro-poderi di 5-10 ettari. Una dimensione sufficiente allora per il sostentamento familiare, ma oggi un handicap strutturale che Impedisce economie di scala, Rende antieconomica la meccanizzazione avanzata, Moltiplica i costi di gestione.
parte 2: Quella frammentazione iniziale si è aggravata con le successive generazioni. Oggi un'azienda media deve gestire 20-30 appezzamenti sparsi, con costi di gestione follemente superiori alla concorrenza internazionale. È vero: il grano turco, russo e kazako ci soffoca con prezzi impossibili. Ma la vera domanda è: perché siamo così vulnerabili?
parte 3: La risposta sta in quei micro-fondi ereditati dal dopoguerra che Ci impediscono di competere sui costi, Rendono difficile investire in innovazione, Ci condannano a una produzione frammentata e poco efficiente.
parte 4: La battaglia per l'etichettatura trasparente e il controllo delle importazioni è giusta, ma non basta. Serve il coraggio di affrontare il nodo storico della frammentazione fondiaria attraverso Accordi di filiera che premiano la qualità, Agevolazioni per l'aggregazione aziendale, Politiche per il ricambio generazionale. Il grano low-cost è il sintomo di una malattia più profonda: l'inadeguatezza strutturale di un sistema che non è mai veramente uscito dal modello del secondo dopoguerra.
parte 5: in tutti questi anni purtroppo non abbiamo mai visto niente del genere, ma solo politiche difensive atte a tenere in piedi il polmone d'acciaio attorno all'agricoltura - è una nostra malattia cronica, alterare le condizioni di contorno per rimandare il problema.
articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5; approfondisci dove necessario.
Assumendo la personalità di Emma Nicheli, scrivi un articolo approfondito, con tono serio ma gradevole, non privo di una certa ironia. Rendi l'articolo immersivo.
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