
Siamo il paese più ridicolo d’Europa? Non lo so, ma di certo non sfiguriamo. E ho ben due prove a mio favore.
Nei giorni scorsi, una sala del Senato ha ospitato un convegno dedicato alla cosiddetta “Macchina di Majorana”. Il nome richiama quello di uno dei più brillanti fisici teorici del Novecento, Ettore Majorana, la cui scomparsa misteriosa nel 1938 ha da sempre alimentato un alone di leggenda. Ma una cosa è il fascino del mistero, un’altra è il delirio pseudoscientifico. Durante l’evento, infatti, sono state avanzate affermazioni che definire fantasiose sarebbe un eufemismo: la presunta capacità della macchina di trasmutare qualsiasi materiale in oro (una sorta di alchimia 2.0), la possibilità di smaltire scorie nucleari, e persino di consentire viaggi nel tempo. Ciliegina sulla torta, la teoria che Majorana sarebbe ancora vivo, forse tenuto prigioniero dalla CIA o dal Mossad. Considerando che nacque nel 1906, oggi avrebbe la bellezza di 119 anni: più che un genio, un Highlander.
Superfluo ricordare che si tratti di bufale senza alcun fondamento scientifico. La cosa più preoccupante non è la fantasia dei relatori — che potremmo liquidare con un sorriso amaro — ma il contesto. L’evento si è svolto in una sala del Senato della Repubblica, il che basta a conferire, almeno formalmente, una patina di autorevolezza a contenuti che dovrebbero restare confinati tra gli scaffali della narrativa fantascientifica. Il vicepresidente del Senato, Gianmarco Centinaio, ha poi precisato di aver solo concesso lo spazio “senza avallare i contenuti”. Bene, ma questo non scioglie il nodo principale: con quali criteri si decide chi può utilizzare un luogo istituzionale per propagare certe teorie? Se bastano un titolo altisonante e qualche grafico colorato su PowerPoint, allora preparatevi: al prossimo giro chiederò anch’io la sala per festeggiare il mio compleanno, magari con un seminario sulla levitazione spontanea dei panettoni.
Parallelamente, un’altra vicenda ha scosso la scena politica. Il partito Alleanza Verdi-Sinistra è finito nell’occhio del ciclone dopo la scoperta che una sua candidata aveva condiviso sui social contenuti palesemente antisemiti. Uno di questi riportava, testualmente, un rammarico per la “missione incompleta di Hitler”. Non serve una laurea in etica — né in chimica, per quella materia — per riconoscere la gravità di simili parole. Eppure, la difesa del co-portavoce Angelo Bonelli è stata questa: la candidata non avrebbe scritto il testo di suo pugno, e le frasi incriminate erano “scritte in piccolo”. Una giustificazione così debole da sfiorare l’assurdo. Come se la dimensione dei caratteri potesse ridurre la gravità morale del contenuto. È un po’ come dire che un veleno fa meno male se versato in un bicchiere piccolo.
Due episodi apparentemente distanti, ma che raccontano la stessa storia: la progressiva erosione del rigore e della decenza nella vita pubblica italiana. Da un lato, la pseudoscienza trova spazio nelle istituzioni; dall’altro, l’odio si traveste da disattenzione sui social. Entrambi sono sintomi dello stesso male: l’incapacità, o forse l’indifferenza, di chi ha responsabilità pubbliche nel mantenere uno standard minimo di serietà. E così, mentre il mondo si interroga su intelligenza artificiale, biotecnologie e transizione ecologica, noi torniamo a discutere di macchine che trasformano il piombo in oro e di giustificazioni che trasformano l’orrore in una “svista”.
Potremmo riderne, se non fosse tragico. Perché ogni volta che un’istituzione spalanca le porte alla pseudoscienza, o che un partito tollera parole d’odio, perdiamo un pezzo di credibilità collettiva. E la fiducia, in una democrazia, è come la materia secondo Einstein: non si distrugge facilmente, ma una volta dispersa, è difficile da ricomporre.
Queste due storie ci costringono a una domanda più profonda: fino a che punto siamo disposti a tollerare la superficialità, la sciatteria morale, la mancanza di responsabilità? Perché la scienza — quella vera — si fonda su metodo, verifica, e rispetto per la verità. La politica, allo stesso modo, dovrebbe fondarsi su integrità e decenza. Quando entrambe le cose vengono sostituite da farsa e menzogna, il risultato non è solo il ridicolo: è la disgregazione del patto civile che ci tiene insieme.
E allora sì, forse non siamo il paese più ridicolo d’Europa. Ma a forza di giustificare tutto — dal convegno fantascientifico al post antisemita — rischiamo di diventarlo. Con buona pace di Majorana, che, se davvero potesse vederci da qualche piega dello spaziotempo, probabilmente sceglierebbe di tornare a sparire.
(Giulia Remedi)
Prompt:
intro: siamo il paese più ridicolo d'Europa? Non lo so, ma di certo non sfiguriamo. E ho ben due prove a mio favore.
parte 1: Nei giorni scorsi, una sala del Senato ha ospitato un convegno dedicato alla cosiddetta "Macchina di Majorana". Durante l'evento sono state avanzate affermazioni prive di qualsiasi base scientifica verificata, tra cui: La presunta capacità della macchina di trasmutare qualsiasi materiale in oro. Presunte funzioni di smaltimento di scorie nucleari e viaggi nel tempo. La narrazione, aneddotica e non verificata, che lo scienziato Ettore Majorana sarebbe ancora vivo, (probabilmente prigioniero della CIA o del Mossad, aggiungerei): considerando che nacque nel 1906, fate il conto della sua supposta età oggi.
parte 2: superfluo ricordare che si tratti di clamorose bufale. La rilevanza pubblica della vicenda nasce dal fatto che l'uso di una sala senatoria conferisce, anche solo formalmente, una parvenza di legittimità a teorie infondate. Il vicepresidente del Senato, Gianmarco Centinaio (Lega), ha poi precisato di aver solo concesso lo spazio senza avallare i contenuti, sollevando peraltro interrogativi sui criteri di accesso agli spazi parlamentari. Ci potrò fare la compleanno?
parte 3: Parallelamente, il partito Alleanza Verdi-Sinistra affronta una grave polemica dopo la scoperta che una sua candidata aveva condiviso sui social network contenuti palesemente antisemiti. Uno di questi includeva una frase che esprimeva rammarico per la "missione incompleta di Hitler". La giustificazione fornita dal co-portavoce Angelo Bonelli – che la candidata non avrebbe scritto il testo di suo pugno e che le frasi erano "scritte in piccolo" – appare gravemente inadeguata di fronte alla gravità dei contenuti. La condivisione di un messaggio, indipendentemente dal formato, ne implica l'avallo.
parte 4: Queste due vicende, seppur diverse per natura, pongono la stessa questione di fondo: l'importanza di un rigoroso controllo sulla serietà e sulla decenza dell'operato della classe politica. O meglio, rispondono alla questione di fondo con una sonora pernacchia.
Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5. Approfondisci dove necessario.
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