Ancien Régime

Non so se abbiate assistito all’agghiacciante intervista del Principe Andrea con la BBC. Se non l’avete fatto, risparmiatevi la tortura visiva e affidatevi alle trascrizioni: bastano per comprendere perché quella performance sia stata così diversa dall’arroganza a cui il tardo capitalismo ci ha abituato. Non era la solita spacconata da miliardario della Silicon Valley o la tronfia sicurezza di un broker di Wall Street che gioca con le vite degli altri come fossero numeri in un foglio Excel. No: quella di Andrea è stata una lezione di antropologia dell’aristocrazia decadente. Un ritorno al passato, all’Ancien Régime, dove la responsabilità era un concetto riservato ai sudditi.

Guardandolo parlare – o, meglio, svicolare – davanti a Emily Maitlis, si aveva l’impressione che la realtà stessa gli risultasse offensiva. Non la gravità delle accuse, non il dolore delle vittime: ciò che davvero lo infastidiva era dover rispondere. Il suo sguardo, tra l’irritato e l’incredulo, sembrava dire: “Come osa questa donna farmi delle domande?”. Quell’atteggiamento non era solo arroganza, era disprezzo strutturale. Non il narcisismo della ricchezza moderna, ma qualcosa di più viscerale: la convinzione che l’ordine del mondo sia naturale e immutabile, e che in quell’ordine lui stia, per diritto di nascita, sopra gli altri.

Quando Virginia Giuffre, vittima nonché una delle principali accusatrici di Jeffrey Epstein, morta suicida lo scorso 25 aprile, scrisse che Andrea considerava il sesso con lei come un “diritto di nascita”, non stava cercando un’immagine efficace. Stava enunciando un fatto sociologico. Per uomini come lui, il corpo delle donne – specialmente se povere, vulnerabili, colonialmente “altre” – è un’estensione del proprio privilegio. Un terreno su cui esercitare il potere, non una persona con cui condividere un’umanità. È la stessa logica che, secoli fa, permetteva ai nobili di rivendicare il “droit du seigneur” e oggi, mutatis mutandis, li porta a considerare Epstein una fastidiosa ma utile scorciatoia per la soddisfazione personale.

Persino Emily Maitlis, giornalista temprata e abituata a scorticare ministri e magnati, sembrava incredula. Lo incalzava con rigore, cercando almeno una scintilla di consapevolezza, ma riceveva solo la freddezza di chi ritiene che la moralità sia una convenzione borghese. Andrea non appariva colpevole: appariva infastidito. Come se tutta la faccenda fosse una scocciatura d’immagine, non un abisso etico. È in quel momento che la maschera della monarchia contemporanea è caduta, mostrando la faccia antica del potere: quella che non si giustifica, non si spiega, e non chiede perdono perché non concepisce di doverlo fare.

Ed è curioso – e persino un po’ tragico – notare quanto questo contrasti con la figura della Regina Elisabetta II. Con tutti i limiti che posso riconoscerle, Elisabetta ha sempre avuto un lucido senso del proprio ruolo istituzionale: quello di rappresentare, non di dominare. Il Principe Andrea, invece, sembra un personaggio evaso da un ritratto di Hogarth: un aristocratico gonfio di sé, incapace di percepire il mondo al di là della propria bolla ereditaria. È la caricatura di un potere che si crede eterno mentre marcisce nella propria inconsistenza.

Non fraintendetemi: non sto difendendo la monarchia, e men che meno la sua aura di “servizio pubblico”. Sono di sinistra da sempre, e non vedo nei Windsor alcuna sacralità. Ma proprio per questo mi colpisce quanto il caso Andrea riveli non tanto una colpa individuale, quanto una forma mentis collettiva. L’aristocrazia – anche quella travestita da celebrity – non è mai morta: ha solo imparato a usare le PR. E quando, come in quell’intervista, le luci si accendono troppo, l’immagine si dissolve e resta ciò che è sempre stato: il potere nudo, brutale, convinto di non dover rendere conto a nessuno.

Il “diritto di nascita”, oggi, non si esprime più in titoli nobiliari ma in conti bancari, dinastie industriali, eredità di status. Ma l’odore è lo stesso: quello del privilegio che non sa vergognarsi. E in quel salotto della BBC, per una volta, abbiamo potuto sentirlo senza profumo.

(Roberto De Santis)

Prompt:

intro: non so se abbiate assistito all'agghiacciante intervista del Principe Andrea con la BBC. Perché quella performance è stata così diversa dall'arroganza a cui il "tardo capitalismo" ci ha abituato?

parte 1: Non era solo la superbia di un tech-bro miliardario o la spavalderia di uno speculatore di Wall Street. Quella di Andrea è stata qualcosa di più profondo e disgustoso: un salto indietro nel tempo fino all'Ancien Régime. Mentre ascoltavamo le sue risposte evasive, la sua incapacità di mostrare empatia per Virginia Giuffre, e quel suo atteggiamento di fastidioso disappunto verso domande così "banali", abbiamo assistito alla manifestazione di un disprezzo che credevamo relegato ai libri di storia: il diritto divino dei re riletto in chiave moderna.

parte 2: quando Virginia Giuffre scrisse che Andrea considerava fare sesso con lei come un "diritto di nascita", non stava usando una metafora. Stava descrivendo la mentalità di chi crede che il proprio sangue blu lo ponga al di sopra delle leggi e della morale comune.

parte 3: Persino l'esperta giornalista Emily Maitlis è rimasta basita di fronte all'incapacità del principe di comprendere perché frequentare l'isola di un ricco psicopatico e avere rapporti con minorenni fosse mostruoso. Per Andrea, sembrava trattarsi più di una seccatura per l'immagine che di una questione di sostanza etica.

parte 4: è interessante notare come questo atteggiamento sia in netto contrasto con quello di altri membri della famiglia reale. La Regina Elisabetta II, con tutti i suoi limiti, ha sempre mostrato una chiara comprensione del suo ruolo di monarca costituzionale. Sono di sinistra da sempre, badate, e non ho alcun problema ad ammetterlo. Andrea, invece, ha regalato al mondo la caricatura di un aristocratico settecentesco trapiantato nel XXI secolo.

articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4. Approfondisco dove ritengo necessario.

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