Un coltello a Milano e i nostri fantasmi collettivi

I fatti in breve: ieri a Milano, in piazza Gae Aulenti, una donna è stata accoltellata all’improvviso. “Così, de bbbbotto, senza senso”, per citare Boris. Un attacco gratuito, senza logica apparente, in pieno giorno, nel cuore pulsante della città più europea d’Italia.
La donna, fortunatamente, è stata soccorsa e ora è in ospedale in prognosi riservata. L’aggressore, dopo una caccia all’uomo di dieci ore, è stato catturato. Fine della cronaca.
O almeno, così dovrebbe essere. Ma, come sempre, la vera tragedia comincia quando si aprono i social.

Il gusto dell’orrido (digitale)

L’imperativo morale, in questi casi, è chiaro: mai leggere i commenti su internet. È una regola aurea, scolpita nel granito del buon senso. Ma il gusto dell’orrido è potente, seducente, quasi erotico nella sua promessa di disgusto.
E così cedo al diavoletto sulla spalla, apro il post, scorro i commenti. Bastano pochi secondi per capire che l’Italia non è un Paese: è una sezione commenti impazzita.

C’è chi scrive “immigrati assassini, mandiamoli a casa” e chi risponde “patriarcato assassino, tutti gli uomini potenziali stupratori”. Due tifoserie urlanti, speculari, incapaci di qualsiasi contatto con la realtà.
Entrambe convinte di combattere il Male, entrambe felicemente ignare di quanto gli somiglino.

L’assassino non era quello del copione

Solo che la realtà, come spesso accade, si diverte a smentirci.
L’aggressore non è uno “straniero irregolare”, né un “maschio tossico bianco privilegiato”: è un uomo di 59 anni, bergamasco, con alle spalle un’aggressione simile nel 2015 e otto anni di condanna già scontati.
Un caso di recidiva, non di immigrazione. Una storia di malattia mentale, non di ideologia di genere.
Un cittadino italiano che ha ricevuto cure (forse) insufficienti e che oggi torna a colpire, in un Paese che da anni parla di “emergenza sicurezza” ma ignora quella vera: la salute mentale.

Eppure, i commentatori non arretrano. Si arrampicano sugli specchi del loro pregiudizio, modificano la narrazione a piacimento, trovano comunque il modo per far quadrare i conti del loro piccolo mondo ideologico. Perché la realtà, in fondo, è solo un fastidioso dettaglio.

Dopo Basaglia: libertà o abbandono?

Ed è qui che mi fermo e mi pongo la domanda più scomoda: quanta attenzione poniamo, oggi, alla salute mentale in Italia?
La Legge Basaglia, pietra miliare del progresso civile, ha liberato le persone dal manicomio, ma non le ha salvate dall’abbandono.
Abbiamo chiuso le porte dei manicomi, sì, ma non abbiamo aperto quelle dei servizi territoriali. Abbiamo gridato alla libertà, ma abbiamo lasciato soli i fragili, gli instabili, i pericolosi a sé stessi e agli altri.

Le ASL traboccano, gli psicologi costano, i centri di salute mentale sono aperti poche ore al giorno, e i familiari diventano infermieri, carcerieri o, più spesso, semplici testimoni impotenti.
Il risultato è che le strade si riempiono di persone che non stanno bene — e che nessuno si preoccupa davvero di curare.

E allora forse la domanda da porsi non è se “Basaglia sia stata un bene”, ma se abbiamo avuto il coraggio e la responsabilità di completare quella rivoluzione. Perché una libertà non sostenuta dalla cura è solo un altro modo di dire “abbandono”.

La verità è che non lo so

Mi pongo questi interrogativi perché, semplicemente, non so.
Non so quanto avremmo potuto fare di più per evitare che un uomo instabile tornasse a colpire.
Non so se la colpa è del sistema, della politica, della società o di un destino che si prende gioco di noi.
Ma so che, mentre cerchiamo risposte tra le macerie di un’altra notizia di cronaca, c’è qualcosa di profondamente malato nel modo in cui reagiamo.
Siamo diventati una nazione che preferisce gridare invece di capire, condannare invece di curare, odiare invece di pensare.

E allora sì, la ferita della donna di Milano è una tragedia. Ma lo è anche quella collettiva di un Paese che non distingue più tra un titolo di giornale e un problema reale.
Un Paese che non riesce più a riconoscere la follia — perché, in fondo, un po’ ci vive dentro.

(Giancarlo Salvetti)

Prompt:

intro: i fatti in breve: ieri a Milano, in piazza Gae Aulenti, una donna è stata accoltellata all'improvviso. "Così, de bbbbotto, senza senso", per citare Boris. La donna è stata fortunatamente soccorsa ed ora è all'ospedale in prognosi riservata. L'aggressore, dopo una caccia all'uomo di dieci ore, è stato trovato e preso.

parte 1: l'imperativo morale, in questi casi, è chiaro: mai leggere i commenti su internet. Il gusto dell'orrido però è altrettanto potente, per non dire seducente: su, leggi i commenti su internet... Naturalmente ho ceduto al diavoletto sulla spalla.

parte 2: ovunque si vada, sono due le tipologie di commenti che spiccano: quelli delle "risorse boldriniane", e quelli dei "figli sani del patriarcato". "Immigrati assassini mandiamoli a casa" o "tutti gli uomini potenziali assassini stupratori". La realtà è ben diversa: si tratta di una persona non proprio equilibrata, un bergamasco di 59 anni che già aveva compiuto un atto simile nel 2015 ed era stato condannato a otto anni.

parte 3: la domanda che mi viene è: quanta attenzione poniamo, in Italia, alla salute mentale? La Legge Basaglia è stata davvero un bene?

parte 4: mi pongo questi interrogativi perché semplicemente non so.

Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4; approfondisci dove ritieni necessario.

Assumendo la personalità di Giancarlo Salvetti, scrivi un approfondito articolo dal tono tagliente, ironico e brillante. Rendilo immersivo.


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