Lezioni sulla Disinformazione: Dal KGB al Covid-19

Negli anni ’80, in piena Guerra Fredda, il mondo viveva in un equilibrio fragile, come sospeso su un filo teso tra paura e propaganda. In questo clima, i servizi segreti sovietici del KGB e quelli della Germania Est, la temutissima STASI, misero in atto una delle più sofisticate operazioni di disinformazione mai concepite: l’“Operazione Denver”, conosciuta anche con il nome in codice INFEKTION.
È una storia che sembra uscita da un film di spionaggio, ma che ha avuto conseguenze molto reali, e che oggi risuona con inquietante familiarità.

Una teoria avvelenata in un clima di paura

L’obiettivo dell’Operazione Denver era tanto semplice quanto dirompente: convincere il mondo che il virus HIV, identificato appena pochi anni prima e causa della devastante epidemia di AIDS, fosse stato creato in un laboratorio di armi biologiche degli Stati Uniti, precisamente a Fort Detrick, nel Maryland.

La narrazione faceva leva su un contesto già carico di dolore e diffidenza. L’AIDS, ancora poco compreso, veniva associato in modo crudele e stigmatizzante a gruppi sociali emarginati. Le istituzioni sanitarie faticavano a dare risposte chiare, mentre nei media occidentali circolavano dichiarazioni intrise di pregiudizi. Era un terreno fertile per piantare il seme del sospetto.

Nell’ottobre del 1985, la macchina della disinformazione si mise ufficialmente in moto. L’operazione sfruttò con spietata precisione il mix di paura, ignoranza e sfiducia del momento. In un mondo polarizzato, dove ogni evento veniva filtrato attraverso il telescopio ideologico della Guerra Fredda, l’idea di un virus “costruito” da una superpotenza trovò spazi inaspettati per attecchire.

Il metodo: manipolare frammenti di verità

Il KGB e la STASI non improvvisarono. I loro esperti analizzavano la stampa occidentale alla ricerca di affermazioni vere ma decontestualizzabili, pronte a essere cucite insieme in una narrazione tossica.
È il meccanismo classico della disinformazione: non si inventa tutto da zero, si deforma ciò che già esiste, rendendolo irriconoscibile.

Per dare alla teoria un’aura di rispettabilità, vennero arruolati ricercatori compiacenti, come i biofisici Jakob e Lilly Segal. Il loro ruolo era cruciale: serviva un volto credibile, qualcuno che parlasse la lingua della scienza per far sembrare autentiche accuse del tutto prive di fondamento.

I Segal elaborarono documenti pseudo-scientifici e grafici che imitavano il linguaggio delle pubblicazioni accademiche. Nei loro testi, il virus HIV veniva descritto come un costrutto artificiale, “ottenuto combinando il virus Visna delle pecore con altri agenti patogeni”… una teoria che, alla luce di ciò che sappiamo oggi, è tanto infondata quanto biologicamente assurda.

Ma allora, la paura offuscava la capacità critica. Ed è proprio in questo punto che la disinformazione trova la sua forza.

Una bugia che viaggiò per il mondo

La campagna non rimase confinata ai paesi del blocco sovietico. Al contrario, fu diffusa con capillare strategia nei cosiddetti paesi non allineati, dove il sospetto verso gli Stati Uniti, già radicato per ragioni geopolitiche, rendeva il terreno particolarmente fertile.

Nei paesi sovietici, ogni analisi che confutasse l’origine artificiale del virus veniva censurata sistematicamente. All’estero, giornalisti e scienziati che provavano a riportare l’attenzione sui dati venivano screditati o accusati di essere “al soldo degli americani”.
Era una battaglia combattuta sul terreno dell’informazione, dove la verità era solo un ostacolo da aggirare.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, i documenti interni portarono alla luce l’intera architettura della frode. Si scoprì, ad esempio, che il quotidiano indiano Patriot, spesso citato come fonte “indipendente”, era in realtà controllato dal KGB.
E che molte “prove” scientifiche altro non erano che falsi costruiti a tavolino.

Una volta rivelata, l’Operazione Denver si è mostrata per quello che era: una campagna di manipolazione globale, in grado però di lasciare cicatrici profonde. Ancora negli anni Duemila, vari sondaggi in alcuni paesi africani indicavano che una porzione significativa della popolazione credeva alla teoria della creazione artificiale del virus.

Lezioni per il presente: il caso Covid-19

Potremmo pensare che episodi simili appartengano al passato. Purtroppo non è così.

Con il Covid-19, abbiamo assistito a dinamiche di disinformazione sorprendentemente simili: narrazioni costruite su pezzetti di verità, amplificate da sfiducia verso le istituzioni, diffuse attraverso social network e canali pseudoscientifici.
E, proprio come negli anni ’80, una delle vittime principali è stata la fiducia nella scienza.

Oggi però abbiamo uno strumento che allora era molto più fragile: una produzione scientifica massiccia, trasparente e sottoposta a verifica continua. E i dati, se letti con attenzione, parlano chiaro.

Uno studio recente, pubblicato su JAMA Network Open, ha analizzato circa 28 milioni di adulti in Francia con un follow-up di quasi quattro anni. I risultati sono solidi e illuminanti:

  • Il rischio di morte per Covid-19 severo è inferiore del 74% tra i vaccinati.
  • Non è stato osservato alcun aumento della mortalità per tutte le cause.
  • Al contrario, i vaccinati mostrano un rischio di mortalità complessiva inferiore di circa il 25%.
  • Questo dato rimane valido anche escludendo le morti per Covid, suggerendo un’associazione con una migliore condizione di salute generale.

Si tratta di numeri che non lasciano molto spazio all’interpretazione: i vaccini a mRNA sono sicuri sul medio termine e rappresentano uno strumento fondamentale di protezione collettiva.

Come scienziata, ma anche come cittadina, trovo che questi risultati ci ricordino una verità importante: la scienza è un processo, non un dogma. Si costruisce un passo alla volta, con i dati, la verifica e la trasparenza.

La scienza come bussola, contro il rumore della disinformazione

L’Operazione Denver è un monito storico. Ci mostra come, nei momenti di incertezza, la disinformazione sappia insinuarsi sfruttando paure legittime, fragilità sociali e un bisogno umano profondissimo: trovare spiegazioni quando tutto ci sembra incomprensibile.

Ma ci mostra anche un’altra lezione: la verità scientifica resiste, anche quando viene soffocata, manipolata, ridicolizzata.
La resistenza non è immediata, né semplice. Richiede pazienza, dati solidi, e un impegno costante per comunicare in modo chiaro, accessibile, onesto.

Oggi abbiamo una responsabilità enorme: imparare dal passato per non ripetere gli stessi errori. Davanti al rumore delle teorie del complotto, è il metodo scientifico — lento, rigoroso, a volte imperfetto ma sempre verificabile — la bussola più affidabile che abbiamo.

Ed è una bussola che dobbiamo difendere, perché orienta non solo le nostre decisioni personali, ma la salute e il futuro della nostra collettività.

(Giulia Remedi)

Prompt:

intro: Negli anni '80, durante la Guerra Fredda, i servizi segreti sovietici (KGB) e della Germania Est (STASI) misero in atto una delle più elaborate campagne di disinformazione della storia, chiamata "Operazione Denver", nota anche come INFEKTION.

parte 1: L'obiettivo era diffondere la teoria che il virus dell'HIV, causa dell'AIDS, fosse stato creato in un laboratorio di armi biologiche degli Stati Uniti a Fort Detrick, nel Maryland. La narrazione, lanciata ufficialmente nell'ottobre 1985, affermava falsamente che il virus fosse stato testato su gruppi sociali emarginati e in Africa. Questa operazione non nacque nel vuoto, ma sfruttò abilmente il clima dell'epoca: la paura per l'epidemia, lo stigma sociale sull'AIDS, dichiarazioni pubbliche omofobe e una certa diffidenza verso le istituzioni, alimentata anche dalla scoperta di scandali passati.

parte 2: I servizi segreti selezionavano e decontestualizzavano con cura dichiarazioni della stampa occidentale, dando voce a pseudoscienziati finanziati direttamente da loro, come i biofisici tedeschi Jakob e Lilly Segal, per dare una parvenza di credibilità scientifica alle accuse contro i ricercatori statunitensi.

parte 3: La campagna ebbe un'eco globale, raggiungendo anche i paesi non allineati. Ogni voce contraria o che mettesse in discussione l'origine artificiale del virus veniva sistematicamente censurata nei paesi del blocco sovietico e attaccata all'estero. Solo dopo il crollo dell'Unione Sovietica sono emersi i retroscena di questa operazione. Documenti hanno rivelato che giornali usati come fonte, come l'indiano Patriot, erano controllati dal KGB, e che le "prove" erano falsi costruiti ad hoc.

parte 4: L'Operazione Denver è un potente esempio storico di come le teorie del complotto possano essere costruite, amplificate e strumentalizzate a livello statale, sfruttando frammenti di verità, paure reali e un clima di sfiducia per raggiungere obiettivi geopolitici, seminando disinformazione i cui effetti durano a lungo.

parte 5: con il Covid-19 assistiamo a dinamiche simili di disinformazione, spesso mirate a minare la fiducia negli strumenti scientifici di protezione, come i vaccini. A questo proposito, la scienza fornisce risposte chiare e basate su dati di larga scala. Uno studio recente, pubblicato su JAMA Network Open e condotto su circa 28 milioni di adulti in Francia con un follow-up di quasi 4 anni, offre evidenze robuste: Il rischio di morte per COVID-19 severo è risultato inferiore del 74% tra i vaccinati, Non è stato rilevato nessun aumento della mortalità per tutte le cause; al contrario, i vaccinati hanno mostrato un rischio di mortalità complessiva inferiore di circa il 25%, Questo effetto protettivo più ampio persisteva anche escludendo le morti per COVID, suggerendo un'associazione con una migliore salute generale nella popolazione vaccinata. Questi dati rafforzano l'evidenza che i vaccini a mRNA sono sicuri sul medio termine e svolgono un ruolo chiave nella protezione della salute pubblica.

parte 6: La lezione della storia è chiara: mentre la disinformazione cerca di sfruttare l'incertezza, il metodo scientifico, con i suoi studi rigorosi e i suoi dati verificabili, rimane la nostra bussola più affidabile per prendere decisioni informate per la nostra salute e quella della collettività.

Articolo: intro, parte 1, parte 2, parte 3, parte 4, parte 5, parte 6. Approfondisci dove necessario.

Assumendo personalità e stile di scrittura di Giulia Remedi, scrivi un Articolo. Usa un tono coinvolgente, diretto, e accattivante. Rendilo immersivo.

Scopri di più da Le Argentee Teste D'Uovo

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Lascia un commento